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Anna è una giornalista spagnola che ha studiato a Barcellona, sua città natale, dove ha anche cominciato a lavorare molto giovane. Nel 2005 suo marito ha accettato un posto da giornalista a Washington e Anna l’ha seguito con entusiasmo insieme ai suoi due figli, che allora avevano 5 e 11 anni. Dopo quattro anni di espatrio negli Stati Uniti il marito di Anna è stato trasferito in Israele, ed è qui, A Gerusalemme, che l’ho incontrata e intervistata. Abbiamo parlato della sua vita professionale e dei suoi sentimenti di donna espatriata. Oggi vi riproponiamo la sua intervista perchè ci sembra che sia una buona fonte di ispirazione per donne che, come lei, seguono il marito senza rinunciare a mantenere in vita la propria identità professionale. L’ultimo grande lavoro di Anna è un interessantissimo libro su quattro donne ebree ultraortodosse – due che sono fuggite dall’ebraismo ultraortodosso, due che l’hanno abbracciato.

Grazie Anna!

 

Anna, tu sei giornalista e per tutta la vita hai lavorato nel giornalismo televisivo in Spagna. Come ti sei sentita quando a tuo marito hanno proposto di trasferirsi negli Stati Uniti? 

L’idea mi ha entusiasmata da subito, non ci ho pensato due volte perchè mi è sembrata un’opportunità unica per tutta la famiglia. Per me e mio marito, sia a livello professionale che personale, e per i nostri figli, che avevano l’opportunità di studiare in inglese e, ancora più importante, di conoscere da dentro la cultura nordamericana. Tuttavia questo trasferimento ha significato lasciare il mio lavoro, almeno temporaneamente. Una volta finito il nostro espatrio, e non so quando questo accadrà, riprenderò il mio posto, o almeno lo spero perchè la situazione è molto critica. La Spagna sta passando per una crisi tremenda.

Quindi hai vissuto quattro anni negli Stati Uniti e uno qui, e hai dovuto occuparti in qualche modo. Cosa ti sei inventata? 

Negli Stati Uniti ho scritto un libro, a quattro mani con mio marito. Io ho fatto la prima parte centrata sui vari aspetti della società nordamericana, e lui si è incaricato della seconda, della parte politica. E’ stata un’esperienza straordinaria perchè ha coinciso con la nascita e il successo di Obama. Con lo “Yes we can“. Viviamo un’epoca storica che secondo gli analisti non si viveva dai tempi della corsa presidenziale che portò Kennedy al potere. Scrivere questo libro, che si intitola “Look at esto. La vida debajo del armonioso césped de America” (Look questo, la vida sotto l’armonioso cespuglio americano, ndt), mi ha spinta ad approfondire quei piccoli dettagli della società statunitense che ti permettono di capirla. E’ stato un buon modo per approfittarne doppiamente.

Credo che in questa situazione la cosa più importante, se possibile, è di reinventarsi, decorare la propria vita, cercare un’occupazione che ti dia la sensazione di esser parte del settore produttivo.

Come hai preso la decisione di scrivere un libro? Avevi contatti con qualche casa editrice o hai deciso di scriverlo comunque, e poi proporlo? 

Scrivere è il mio lavoro, sono giornalista, mi sono formata in quest’area, quindi per me un libro era la continuazione naturale di quello che stavo facendo in Spagna. Avevo contatti con qualche casa editrice perchè prima di pubblicare questo libro io e Albert, mio marito, ne avevamo pubblicato un altro, e io un altro ancora, in solitario. “Look at esto”, scritto in catalano, è quindi il mio terzo libro. Ma mi son messa a cercare un editore solo quando il libro era già molto avanti perchè non volevo alcun tipo di pressione, di data di consegna. Così potevo scrivere con tranquillità. Sono una donna che scrive piano, ho bisogno di molto tempo per pensare.

Quale pensi che sia il problema principale delle donne espatriate? 

Allontanarsi dal proprio posto di lavoro. Da una parte impari tantissimo. Hai un’esperienza di vita straordinaria. Vivere così è un lusso. Ma non prendiamoci in giro, ha anche una componente complicata perchè ti allontana dal mercato del lavoro e in alcuni casi in maniera definitiva. E questo, per alcune donne, può portare a forti conflitti di coppia. Inoltre si tratta di una doppia rinuncia, la rinuncia professionale e anche quella economica. Credo che in questa situazione la cosa più importante, se possibile, è di reinventarsi, decorare la propria vita, cercare un’occupazione che ti dia la sensazione di esser parte del settore produttivo. L’importante è non bloccarsi, evolvere, imparare a cercare un posto, per piccolo che sia, nel quale poter sviluppare le proprie capacità. Anche se per le donne che sono costantemente in viaggio trovare quest’equilibrio dev’essere molto complicato. Bisogna dar fondo all’immaginazione.

Ma questo periodo finisce e ci si trova di colpo con figli e marito ben ambientati e con un vuoto che va riempito.

Quindi credi che la donna espatriata, in un modo o nell’altro, debba trovare una collocazione nella società produttiva?

Per me è fondamentale. E’ fondamentale uscire, svilupparsi, guadagnare, anche se poco. Le espatriate hanno un’opportunità unica che, se sfruttata al meglio, fa crescere come persona ma anche come professionista. Nel mio caso mi è servita per concentrarmi nella scrittura, cioè migliorarla, perchè ho avuto tempo per riflettere e per scrivere con tranquillità. Non mi sono mai, mai annoiata. E penso che qualsiasi donna possa trovare un posto al di fuori del suo paese. Anche se per far questo ci vuole una dose di immaginazione e uno sforzo estremo, soprattutto se si hanno figli, perchè sono le donne che devono incaricarsi, per ovvie ragioni, di aiutare i figli ad ambientarsi nel nuovo paese. L’espatrio è anche una buona occasione per studiare, per fare tutto quello che non si può fare quando si vive nel proprio paese. Vivere all’estero è una scuola di vita per tutta la famiglia. Adesso, dopo un anno  a Gerusalemme, sto cercando materiale per un nuovo libro. Vedremo cosa ne esce.

Scrivere libri, studiare, tentare altri cammini quando non si hanno strutture fisse e ben chiare (come succede normalmente in espatrio) può rivelarsi molto duro o addirittura impossibile. Come ti sei organizzata?

Ovviamente bisogna esercitare una certa autodisciplina. Nella vita di una donna espatriata c’è sempre un primo periodo caotico durante il quale bisogna impegnarsi perchè l’ambiente circostante si organizzi bene – i figli/e, la scuola, il circolo sociale, una routine che faccia sentire tutta la famiglia sicura. Ma questo periodo finisce e ci si trova di colpo con figli e marito ben ambientati e con un vuoto che va riempito. Io cerco di mantenere una routine approfittando delle mattine, quando i figli sono a scuola: vado a scrivere in una biblioteca perchè mi piace la calma del posto e favorisce la mia concentrazione. A parte il fatto che possono esserci momenti complicati, quello di cui sono sicurissima è che anch’io lavoro e, in quanto lavoratrice (nel mio caso scrittrice) ho bisogno di tempo per me, per le mie interviste, per scrivere, per riflettere. Chiaro, ho due figli e un marito che non sa mai dove si troverà domani, ma una buona organizzazione mi aiuta a continuare con la mia vita professionale e a goderne. Bisogna approfittare del momento perchè la vita è più corta di quanto pensiamo.

 

Anna
Gerusalemme
Giugno 2010
Intervista raccolta e tradotta dallo spagnolo da Claudiaexpat
Foto in testa all’articolo di Jean Clauzet

 

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