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Martina, “Framartina” sui forum, ha partorito a Parigi la piccola Julie: ecco le sue impressioni. Grazie Martina!!!

Il fatto di essere all’estero per me non è stato pesantissimo perché capivo la lingua: dico “capivo” perché durante il travaglio le mie facoltà di parlare francese sono diminuite moltissimo e mi sembrava di riuscire a comunicare solo col mio compagno (eppure anche lui mi parlava francese!).

La gravidanza è stata difficile, ma forse non avere intorno altre persone preoccupate (amici e parenti) mi ha aiutato a viverla meglio e a rafforzare il rapporto con il mio compagno. Certo, sentivo comunque il bisogno di un contatto con loro al telefono, via mail, via sms, e nel momento più duro (ricovero in ospedale) il fatto di non essere in capo al mondo ma a 5 ore di treno da Torino ha fatto si’ che mio padre sia potuto venire quasi subito.

Verso il nono mese ho conosciuto una ragazza madre cinese con un bimbo di tre mesi e ancora adesso penso a quanta forza mi ha dato vedere un esempio pratico di “mamma” piena di energia e serenità. Io che mi sentivo un po’ sola, ho capito che per quanto sarebbe stata dura, avere un figlio è “que du bonheur”, come dice Lifang.Quello che mi ha un po’ logorato sono le trafile amministrative e sanitarie. Per burocrazie pesanti in Francia intendo che per un’italiana la mole di documenti da compilare e di uffici da visitare è enorme, per poter risultare “in regola” per lo Stato francese. Nel mio caso, volevo soltanto essere certa di poter partorire ed essere seguita durante la gravidanza senza dover sostenere alcuna spesa (come in Italia). Siccome la mia Asl non mi ha assolutamente aiutato (anzi), ho dovuto andare di ufficio in ufficio a Parigi, perché ogni volta mancava un passaggio.
Ci ho messo molto per capire come funzionava il sistema francese. La difficoltà principale per me consisteva nel numero di organismi diversi a cui bisogna far riferimento (in particolare Securité Sociale, Caf, Mairie, Assedic) e nel fatto che ogni cosa deve essere sotto controllo, per loro: a volte mi sentivo stretta in una morsa, mi sembrava di non avere più nessuna libertà. Per esempio, arrivata in Francia, abbiamo dovuto fare il riconoscimento congiunto del feto alla Mairie, poi dichiarare che eravamo concubini e da quando, ecc. In realtà lo Stato francese dà degli aiuti finanziari che non esistono da nessuna’altra parte, credo, ma questo ha un prezzo: devi continuamente a rendere conto di cosa stai facendo, dove sei e con chi, quanto starai ecc. Io la trovo un po’ un’intrusione nella propria vita privata, soprattutto per chi come noi non è sposato, non ha ancora trovato un lavoro fisso (il mio compagno), o ha una situazione “atipica” (come me che lavoro per l’italia e devo mantenere la residenza là).
Inoltre durante la gravidanza i passaggi obbligati per poter partorie in un dato ospedale si aggiungevano a quelli amministrativi ed era un continuo “rendez-vous” di qua e di là, apparentemente inutile, ma strettamente necessario per il passaggio successivo. Anche li’, nel mio ospedale, ero “schedata” e controllata: bisognava farlo, certo, anche perché poi i problemi ci sono stati davvero (gravidanza a rischio), ma è stato molto stressante e impersonale.

In Italia è tutto più disorganizzato e aleatorio ma mi sento più libera.

 

julie 1

Non so come la mia esperienza possa essere di aiuto ad altre mamme, ma forse la cosa più importante la dice Claudia nel post su suo figlio che ha dato la maturità: rendere solido il proprio nucleo familiare in espatrio è ancora più fondamentale, perché tutto ruota intorno a quello. In gravidanza come adesso, ho sentito proprio la necessità di “essere uniti”.

Martina,

Parigi,

Dicembre 2008

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