Home > Asia > Israele/Palestina Occupata > Jean Calder, un’incredibile odissea di amore e coraggio

Un giorno mio marito è tornato dalla Striscia di Gaza, dove si reca spesso per il suo lavoro umanitario, con un libro intitolato “Where the road leads, an Australian woman’s journey of love and determination” (Dove porta la strada, un viaggio d’amore e determinazione di una donna australiana). Questo libro è stato scritto da una donna incredibile che lui aveva incontrato a Khan Younis, una città nella parte sud della Striscia di Gaza, dove Jean Calder, nell’ambito del suo lavoro per la Mezzaluna Rossa Palestinese, ha creato un meraviglioso centro di riabilitazione per la popolazione disabile della Striscia di Gaza.

Mi riesce molto difficile descrivere i sentimenti che il libro mi ha suscitato. Nel seguire il suo incredibile cammino dal Libano, dove Jean ha cominciato a lavorare con bambini disabili negli anni ’80, attraverso il Cairo e quindi nella Striscia di Gaza, ho provato una grandissima gioia, all’idea che esistano essere umani così speciali, e di dolore nel leggere tutte le ingiustizie di cui Jean è stata testimone nel momento in cui ha deciso di restare con i bambini che ha scelto di aiutare.

Quando è scoppiata la guerra in Libano nel 1982 infatti, a differenza della maggior parte degli operatori umanitari, Jean ha deciso di restare sul posto e ha rischiato la propria vita per fare quello che poteva per aiutare nella situazione. E’ stato in Libano che Jean ha incontrato tre bambini i cui destini si sarebbero strettamente incrociati al suo – Hamoudi, Dalal e Badr, tre rifugiati palestinesi disabili, orfani e figli della Mezzaluna Rossa Palestinese, sono diventati la sua famiglia e l’hanno seguita, tra difficoltà logistiche e incubi burocratici, in Egitto, dove Jean ha lavorato per dodici anni, e poi in Palestina.

Quando ho finito il suo libro, che mi ha commossa, ispirata e arricchita, avevo un solo desiderio: incontrare di persona questa donna, conoscere i suoi figli e vedere coi miei occhi i risultati del suo lavoro e come il suo impegno e la sua forte motivazione abbiano contribuito a migliorare le vite di centinaia di bambini disabili e delle loro famiglie.

Purtroppo al momento io non posso andare nella Striscia di Gaza e Jean non vuole uscirne perché ha paura che le neghino il permesso di rientrarci – una situazione che ha vissuto troppe volte e che comprensibilmente provoca stress a lei, ai suoi figli e ai suoi colleghi.

Ho dunque raggiunto Jean su Skype qualche giorno fa, e sono stata felicissima di poterle parlare a lungo, e di poter salutare i suoi figli. Spero che vi immergerete a fondo in questa intervista, e vi consiglio di tutto cuore di procurarvi e leggere il suo libro. Grazie Jean per il tuo tempo, per essere una tale fonte di ispirazione, e soprattutto per stare con chi ha più bisogno.

Claudiaexpat
Gerusalemme
Maggio 2010

 

Che fortuna che questa sera avete l’elettricità!

Davvero. Spesso la corrente se ne va alle sei di sera e ci arrangiamo con le candele. Se abbiamo elettricità di sera, però, è perché l’hanno tagliata al mattino o in pomeriggio. E in ogni caso il rumore costante degli  zanana (aerei israeliani senza pilota) interferisce con l’immagine e il suono della TV, quindi se anche c’è elettricità difficilmente ci si può concedere di guardare la TV in pace. A volte ci sono anche degli aerei da guerra che circolano nei cieli, anche se non mi è ben chiaro perchè – forse per bombardare i tunnel???

Non so bene il motivo del problema dell’elettricità. Secondo alcuni la centrale elettrica che era stata bombardata dagli israeliani è stata riparata, ma c’è un problema di mancanza di gasolio, che va razionato. Qualsiasi sia il motivo, i tagli di corrente sono frequenti, spesso molto lunghi,  e causano un sacco di problemi. Molti hanno dei generatori, che però sono rumorosi, e puzzano.

 

gaza

Jean con Badr e Dalal in una recente foto di famiglia

 

Qual è la situazione generale nella Striscia di Gaza? Come vive la gente?

Non bisogna mai perdere la speranza, ma tutto gira in tondo e non sembra arrivare da nessuna parte. Recentemente abbiamo avuto la visita di un’operatrice umanitaria, che era qui per valutare un progetto, e mi ha detto che ha provato un incredibile sentimento di non futuro, ha sentito la gente chiusa, senza prospettive.

Mancano moltissimi prodotti, ma alcuni vengono introdotti attraverso i tunnels. In genere le restrizioni che mettono sui prodotti in entrata non hanno molto senso. Carta, penne e altri articoli per il campo estivo dei bambini dello scorso anno sono stati bloccati perché le autorità israeliane li hanno classificati come “articoli non essenziali”. La mancanza di alcuni prodotti nel settore sanitario possono portare a situazioni davvero pericolose per la gente.

Uscire dalla Striscia di Gaza, anche solo per andare nella West Bank (che tra l’altro  è un’altra parte della Palestina) dipende dal permesso accordato dalle autorità israeliane. Sembra che vengano negati più permessi di quanti ne siano accordati, e questo limita enormemente il movimento delle persone. Ci si può  muovere a volte attraverso il confine sud per entrare in Egitto, ma più spesso che non questo confine è chiuso, e ci sono comunque restrizioni. In ogni caso il fatto di andare in Egitto non risolve l’impossibilità di raggiungere la West Bank.

E poi le cose sono cambiate recentemente. Se prima c’era una rete di amici sempre all’erta, e appena succedeva qualcosa si poteva contare sulla diffusione immediata delle notizie, adesso mi sembra che la gente sia piuttosto indifferente – sentono un’esplosione e non reagiscono: un’altra esplosione, e allora? La gente sta perdendo la speranza. Non possono uscire; sono confinati, sia fisicamente che in una situazione che non sembra avere futuro.

 

gaza

Hamoudi con Yasser Arafat

 

Parlando del fatto di uscire, com’è la situazione per te? So dal tuo libro che da quando sei arrivata nella Striscia di Gaza la tua mobilità è stata una fonte costante di stress. Qualcosa è cambiato recentemente o hai ancora un visto turistico, nonostante il fatto che lavori lì da più di dieci anni?

Non è cambiato niente. L’ICRC (Comitato Internazionale di Croce Rossa) tenta da tempo di ottenere un tipo di visto diverso per me, che viene costantemente negato, e la spiegazione è che lavoro per un’organizzazione locale, non internazionale. Non voglio lasciare la striscia a meno di avere una garanzia esplicita del fatto che mi lasceranno tornare indietro.

In realtà è dal 2007 che non sono riuscita ad avere un permesso per lasciare la Striscia di Gaza, ad eccezione di un’occasione molto speciale, un Congresso Internazionale della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC) nel novembre del 2009, e che ha richiesto mesi di negoziazioni per ottenere il permesso e la garanzia di ritorno. Un paio di mesi dopo ho richiesto un permesso per andare a Ramallah per un incontro della Mezzaluna Rossa Palestinese, e mi è stato negato. Non ha senso, ma è solo un’altra delle strane situazioni “normali” con cui deve misurarsi la gente a Gaza.

Parlaci del tuo lavoro, del centro, come va tutto? Riuscite a continuare a lavorare tra tutte le difficoltà?

gaza

Attività all’Open Studio

Nel mio lavoro ho una serie di responsabilità perché sono Consulente in Riabilitazione e Formazione, e Dean della Scuola di Sviluppo Capacitativo della Mezzaluna Rossa Palestinese. Lavoro da Khan Younis, in passato viaggiavo spesso nella West Bank per seguire il lavoro dei centri di riabilitazione di là. Il lavoro al Centro della Mezzaluna Rossa Palestinese a Khan Younis va bene nonostante le mille difficoltà da affrontare. Il Centro di Riabilitazione lavora con oltre 600 utenti.

Al suo interno ci sono circa ducento bambini che frequentano la Scuola di Formazione Speciale, la maggior parte sono sordi, altri hanno limitazioni nell’apprendimento o qualche disabilità fisica. Questi bambini seguono il curriculum di studi del Ministero dell’Istruzione, e il prossimo anno per la prima volta nella Striscia di Gaza dei bambini sordi potranno sostenere il Tawajhi, l’esame per l’ammissione all’università. La scuola ha un programma di diploma in Educazione Speciale e Riabilitazione di quattro anni e un dipartimento attivo di educazione continuativa che offre corsi per gli impiegati della Mezzaluna Rossa e per la comunità in generale.

Altre attività del centro includono un club doposcuola per bambini del vicinato che ospita quotidianamente tra i 50 e 100 bambini, e 200 durante le vacanze scolastiche. Il punto focale delle attività di questo club è l’Open Studio, che si basa sui concetti di espressività e opportunità creative per bambini, e offre una gamma di attività artistiche, manuali, racconti, marionette, recitazione e collegamenti ad altre attività che includono musica, dabka (danza folkloristica maschile diffusa in Medio Oriente, ndr), lettura di libri, computer e sport. L’Open Studio è stato introdotto nel 1996 da un’organizzazione olandese, HOPE Foundation Olanda,  che da allora è coinvolta nel suo sviluppo continuo.

Abbiamo anche un dipartimento di sport, dove non sono direttamente coinvolta, a parte per i miei sforzi per avere un programma continuo per le donne.

Poi abbiamo attività puntuali, come quella organizzata per la Giornata della mamma: l’auditorium principale era pieno, c’erano 800 persone tra madri e bambini, un bel concerto, uno spettacolo di marionette. L’atmosfera era piena di creatività e motivazione, ed è questo che ti aiuta ad andare avanti.

Parlaci del tuo libro…

E’ stata una proposta da parte di una casa editrice australiana, preoccupata dalla situazione dei palestinesi, e che voleva che fosse raccontata da un autore locale non direttamente coinvolto in questioni politiche. L’idea dietro al libro è di aumentare la presa di coscienza di quanto sta succedendo qui. Ci ho messo un po’ più di un anno a scriverlo, e in certi momenti è stato veramente difficile. Ad esempio già all’epoca avevamo molti tagli di elettricità e una volta sono andata in Giordania per rinnovare il visto e non mi hanno permesso di tornare per quattro mesi. Non avevo portato con me il mio computer dato che pensavo di tornare a casa in pochi giorni. Avevo però lasciato una usb con Dalal (la figlia di Jean, ndr) che è riuscita a mandarmi le bozze via mail, e così ho potuto continuare a scrivere in qualche modo a un caffè Internet.

Da quando è cominciata la tua vita in Medio Oriente sei passata attraverso tantissime esperienze. Quali sono i momenti più duri e i più belli che ricordi?

E’ difficile da dirsi. Alcuni momenti della guerra in Libano sono stati davvero duri, e posso dire che anche lasciare i bambini per rinnovare il visto è sempre stato stressante, dato che non sapevo mai se sarei tornata. In realtà ogni ritorno è stato un bel momento. Ma sicuramente quando Dalal e Hamoudi mi hanno raggiunta al Cairo dal Libano è stato uno dei più felici. Ho anche un bel ricordo di un viaggio che i bambini hanno fatto in Finlandia nel 1988 nell’ambito di un programma interculturale, dove io li ho accompagnati. Incredibile che una cosa così sia stata possibile, trovarsi in un contesto così bello quando solo pochissimo tempo prima i bambini erano in una situazione impossibile e non avevano documenti ufficiali. Un altro momento felice è stato quando Dalal ha ricevuto la Borsa di Studio dalla Fondazione Ford per andare a studiare per il suo Master all’Università di Edimburgo (Dalal è la figlia di Jean, ed è cieca, ndr).

 

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A Beirut nel 1981, Jean aveva da poco incontrato Dalal e Hamoudi

 

Come stanno i tuoi figli? Dalal continua a lavorare come interprete?

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Badr

Dalal è a capo del Dipartimento del Programma di Educazione Continuativa della scuola della Mezzaluna Rossa Palestinese, insegna anche un poco e di tanto in tanto fa l’interprete. Mantiene i contatti con l’Associazione degli Alunni della Fondazione Ford, e a una recente videoconferenza con il gruppo della West Bank durante una visita da parte di un funzionario della Fondazione, è stata responsabile della traduzione simultanea per il gruppo di Gaza. Badr è assistente generale della scuola con vari incarichi.

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Dalal

Come sai, Hamoudi ci ha lasciati nel settembre 2008. Aveva da sempre un problema cronico al petto che alla fine non è più stato possibile arginare. Data la serietà della sua disabilità è stato un vero privilegio averlo con noi così a lungo. Inutile dire che ci manca da pazzi.

Mentre parliamo sembra che i colloqui di pace riprenderanno tra qualche giorno. Sei ottimista? Come vedi il futuro?

Ho visto troppo ma niente è cambiato in meglio. Cosa posso dire? Tutto e niente è possibile….

 

Jean Calder
Khan Younis, Palestina
Maggio 2010
Tradotto dall’inglese da Claudiaexpat
Foto principale: Pixabay
Le altre @JeanCalder

 

Potete acquistare il libro di Jean Calder online  qui.
A Gerusalemme lo trovate nella libreria dell’American Colony Hotel e all’Educational Bookshop.
Copie del libro sono anche disponibili alla sede della Mezzaluna Rossa Palestinese a Ramallah.

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