Home > Famiglia e Bambini > Bambini > Nathalie in Mongolia – un’adozione all’ultimo respiro
adoption internationale

Marie è ormai una splendida adolescente e Nathalie vive attualmente a Parigi. Di seguito la testimonianza raccolta da Claudiaexpat ai tempi del Perù.

Nathalie è canadese e segue il marito per il mondo. Ha vissuto in Cina, e adesso vive in Perù. Durante il suo soggiorno in Cina ha adottato Marie, una bambina mongola. Ci siamo incontrate e Nathalie mi ha raccontato la sua esperienza. Al termine del racconto mi ha messo tra le mani il diario che ha tenuto durante tutto il tempo che è durata la pratica dell’adozione, un gesto che mi ha commossa. Ringrazio Nathalie per la disponibilità e la fiducia.

Claudiaexpat

 

adozione in mongolia

Marie al momento dell’adozione

 

Quando ci siamo trasferiti in Cina cominciavamo a parlare di adozione perchè non riuscivo a restare incinta. La mia prima figlia, frutto del mio precedente matrimonio, era arrivata senza lunghe attese, quindi il fatto di non riuscire in una seconda gravidanza ci portava a considerare delle alternative, anche se ancora non avevamo cominciato ad interessarci concretamente all’adozione. Una coppia di nostri amici canadesi che vivevano come noi a Pechino aveva adottato una bambina mongola, un amore di bambina, e noi avevamo seguito la cosa da vicino, oltre che innamorarci della loro nuova figlia.

La Mongolia in quel periodo non si era ancora conformata alle norme generali per le adozioni internazionali, e permetteva l’adozione dei suoi bambini solo a stranieri residenti sul territorio mongolo. I miei amici erano riusciti ad adottare la loro bambina tramite una persona in loco e perchè il marito lavorava per la cooperazione canadese, che aveva rappresentanza anche in Mongolia. Dato che il contatto che loro avevano sul posto sembrava di tutta fiducia, abbiamo deciso di tentare, anche perchè i nostri amici ci hanno spiegato passo per passo come fare. Abbiamo praticamente riprodotto il loro dossier identico, e l’abbiamo mandato alla signora di Ulan Batoor, che chiamerò Sira, che parlava inglese e da dieci anni si occupava di adozioni.

Il dossier è stato presentato alle autorità mongole, che dopo poco hanno richiesto di mandare un’assistente sociale e un’interprete a Pechino per verificare la nostra idoneità all’adozione. Un viaggio a nostre spese, e con nostro grande sconcerto totalmente inutile, dal momento che le due donne si sono trattenute a casa nostra molto poco, e non ci hanno neanche fatto domande… al punto da sentirci imbarazzati e dal voler, noi per primi, raccontare di noi stessi per dare la giusta impressione… Ad ogni buon conto dopo questa corta e imbarazzante visita è cominciata l’attesa.

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Una delle prime foto tutti insieme

Dopo qualche mese (circa nove da quando avevamo presentato il dossier) Sira ci ha contattati per dirci che l’orfanotrofio con il quale lei lavorava aveva una bambina per noi. 8 mesi e in perfetta salute, putroppo non aveva fotografie da mandarci. Ci consigliava dunque di prepararci per andare a prendere la bambina, riservandosi di darci l’ok definitivo durante il fine settimana.

Noi non avevamo particolari esigenze rispetto al bambino/a da adottare, ma avevamo chiarito che non eravamo pronti ad adottare bambini con gravi malattie, pur coscienti del fatto che alcune patologie si possono sempre manifestare avanti negli anni. Il secondo messaggio di Sira conteneva però una notizia terribile: il rapporto medico che l’orfanotrofio le aveva fornito sulla bambina era stato preparato da medici russi, ed era quindi in russo. Dato che lei conosce questa lingua, si è presa la briga di leggerlo personalmente e ha trovato una clausola che tutti avevano trascurato: la bambina era figlia di una donna affetta da un grave disturbo mentale, motivo per il quale non aveva potuto occuparsi della piccola, e che nell’80% dei casi è ereditario e porta alla pazzia.

Spiazzati e delusi da questa repentina notizia, ci siamo rincuorati quando, due giorni dopo, Sira ci ha ricontattati per dirci che l’orfanotrofio, in considerazione del fatto che la svista nel rapporto medico era colpa loro, aveva deciso di farci scegliere una bambina tra quelle che ospitava. Siamo dunque partiti alla volta di Ulan Bator. Sira ci ha prenotato una stanza d’hotel e il giorno dopo è venuta a prenderci per portarci all’orfanotrofio.

Arrivati, la direttrice, una vera matrona, ci ha accolti nel suo ufficio e ha cominciato a discutere animatamente (in mongolo) con Sira, che assumeva un’espressione via via più tesa e irritata. Ad un certo punto ci dice che non è più possibile scegliere il bebé, e in quello stesso istante entrano due infermiere con una bambina e me la mettono tra le braccia. Era Marie. Ho sentito all’immediato un amore e un legame profondo verso questa bambolotta con delle guancie realmente smisurate… che importava, a quel punto, non aver potuto scegliere!!!!

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Con il papà

Nei tre giorni successivi prendemmo Marie al mattino per portarla in vari ospedali per fare tutte le visite e i test del caso. Un altro colpo di scena l’abbiamo avuto quando il primo dottore che ha letto i risultati dei suoi esami del sangue ci ha detto che la bambina aveva l’epatite B, cosa del resto assai comune tra la popolazione mongola. Non sarebbe stato un gran problema in sé se non per il fatto che pianificavo un viaggio in Canada subito dopo l’adozione, e metterla in contatto con la famiglia, la mia altra figlia e tutti gli amici con un’epatite B in corso non mi sembrava la cosa più opportuna. Appena usciti dall’ospedale, e mentre rimuginavamo sul da farsi, il dottore ci ha inseguiti chiamandoci a gran voce, e quando ci ha raggiunti ha messo la mano sulla spalla di mio marito e ha detto “sono spiacente…” … suspence… abbiamo davvero sentito i cuori fare un tonfo verso il basso, finchè non ha aggiunto: “ho sbagliato a leggere i risultati… non ha l’epatite, ha solo sviluppato l’anticorpo…”.

Sollievo e gaudio, ci disponiamo a passare i giorni che ci separano dal momento in cui potremo finalmente prendere Marie con noi conoscendo il paese e facendo piccoli acquisti. Rientrati da una breve gita di un paio di notti fuori da Ulan Bator, riceviamo la telefonata di Sira, che con aria abbattuta ci dice “non muovetevi, vengo subito a parlarvi”. Altro colpo al cuore. Arriva, e in un soffio ci dice che il nostro dossier è stato rifiutato. Che lei non si spiega come sia potuto succedere, che è la prima volta in dieci anni che vede rifiutato un dossier a quel punto del processo. Non sappiamo più cosa dire. Immagino che sia così che ci si sente quando si perde un figlio in gravidanza. Disperati cerchiamo di dormirci sopra, il giorno dopo, sempre con l’aiuto di Sira, ci mettiamo a smuovere mari e monti, lei tra le autorità locali, noi a livello diplomatico. In breve veniamo a sapere che si vocifera che il dossier sia stato respinto da un funzionario che ha una forte antipatia per l’assistente sociale che era venuta a fare il sopralluogo da noi a Pechino all’inizio del processo. Dopo vari tentativi riusciamo ad ottenere un appuntamento con tale funzionario.

Ci accoglie gelidamente nel suo ufficio il giorno dopo. Mentre noi gli spieghiamo una serie di cose non alza neanche lo sguardo e continua a battere sulla tastiera del suo computer, gli occhi fissi sullo schermo. Mio marito dà un forte pugno sul tavolo, che lo scuote un po’, e a quel punto acconsente a riaprire la pratica e riverificare il tutto. Riusciamo anche ad ottenere che lo faccia nel giro di pochi giorni. Il lunedì successivo attendiamo in tensione la telefonata di Sira, che finalmente arriva e ci rassicura: il dossier è stato approvato pienamente, non ci saranno più impedimenti a prendere Marie con noi…

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Marie e Nathalie oggi

Ma non è finita. Non possiamo portar Marie fuori dalla Mongolia senza un passaporto. Andiamo dunque a prenderla all’orfanotrofio, la portiamo dal fotografo, e poi andiamo all’ufficio passaporti. Sopresa!!! La stampante usata per produrre i passaporti è rotta, nessuno può aggiustarla in tempi rapidi, e dunque non ci possono fare il passaporto… insistiamo, piangiamo, preghiamo, solo per scoprire alla fine che esiste una stampante d’emergenza, ma che non la vogliono usare perchè è martedì, e nella credenza mongola il martedì è un giorno sfortunato per emettere passaporti, porterebbe troppa sfortuna alla piccola Marie. Di nuovo imploriamo, spieghiamo, piangiamo, finchè finalmente il magico documento viene prodotto e depositato nelle nostre mani.

Finita l’odissea, il giorno dopo andiamo a prendere Marie per portarla via con noi definitivamente. La matrona dell’orfanotrofio non ci saluta e ha un muso che tocca terra. Ma dopo tutto quello che abbiam passato, vi assicuro, questo è il male minore!!!

Nathalie
Lima, Perù
Gennaio 2006

 

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