Home > Vita d'Expat > Salute > Pronto soccorso e urgenze in espatrio

Con il suo solito stile spumeggiante, Giuliettaexpat, reduce da una colossale caduta al supermercato della sua nuova città d’accoglienza, riflette con noi su come si vivono le urgenze mediche in espatrio…

 

Fedele alla causa Expatclic, in questi giorni per poter parlare con conoscenza di causa e senza andare troppo lontano nel tempo, mi sono “sacrificata” per vedere l’effetto che fa qui nella Silicon Valley l’urgenza medica, il trovarsi di corsa a cercare un dottore!

Per tutti pronto soccorso e urgenze mediche varie non sono mai simpatiche da affrontare e in un paese straniero spesso sono una fonte ulteriore di stress…ed è proprio lo stress che mi ha invasa quando spiaccicata sull’asfalto del parcheggio, con un dente rotto e la faccia sanguinante, mi sono chiesta chi chiamo? dove vado? che cavolo faccio? e poi successivamente mi sono detta ne avrò di cose da scrivere!

Un piccolo incidente, come succede  a volte, ma che può diventare poco gestibile soprattutto quando si è lontano da casa, l’incidente che spaventa gli espatriati perchè comunque la gestione del tutto può prendere dimensioni insaspettate: difficoltà di comunicazione, approccio medico diverso, procedure d’urgenza sconosciute, e a volte l’insicurezza in certi paesi.

L’esperienza aiuta, certo, e pian piano ci si abitua anche ad avere a che fare con modalità distanti anni luce dalle nostre!

Quando abitavo in Normandia nei primi anni della nostra vita d’expat, io che non avevo problemi di comunicazione mi sono ritrovata sotto i ferri in urgenza per un’emorragia interna, in un ospedale dal quale ci avevano detto e ripetuto di stare lontani per l’incompetenza, ma fatto sta che lì ero perchè non si poteva fare diversamente e lì sono rimasta, sono stata operata e mi hanno rimesso in piedi; per il poco tempo precedente l’intervento, al di là del terrore c’era l’angoscia della comunicazione, io che parlo il francese come l’italiano in quel momento avevo perso tutte le mie facoltà, e mi sono sempre chiesta se in Italia sarebbe stato diverso.

Qualche anno dopo stesso ospedale, visto il buon risultato  della prima volta non ho esitato ad andarci, lì non ero più io ma la mia piccoletta di cinque anni con il braccio rotto, quella volta ero tranquilla ma notai e registrai la donna che assisteva il suo bambino piangente e sanguinante (incidente di bicicletta) di fianco a noi: straniera, non parlava una parola di francese, non capiva assolutamente quello che i medici tentavano di spiegarle, ha dovuto aspettare l’arrivo di un interprete, cavolo, per capire cosa si era fatto suo figlio. Mi sono immaginata l’angoscia del non capire, l’impossibilità del comunicare…. e alle soglie della partenza per il Giappone (mancavano pochi mesi) mi chiesi proprio se per me sarebbe stata la stessa cosa: un muro, il bisogno di aiuto per capire le cose più semplici.

Sono partita cercando di non pensarci, ed in realtà finchè al pronto soccorso non ci si finisce sul serio non si pensa a come sarà… E’ stato a Tokyo esattamente come avevo immaginato che fosse in quell’altro pronto soccorso 10.000 chilometri più in là…

Incidente di bici, l’allora nostro mezzo di trasporto preferito, una macchina prende in pieno sulle strisce Chiara (la stessa del braccio rotto 6 mesi prima), la bambina cade sull’asfalto, sbatte forte il sedere, la schiena…. che fare? La porto al pronto soccorso dell’ospedale di riferimento della scuola, eravamo a due passi, lei stava bene ma mi chiedevo se poi non ci potessero essere conseguenze…

In ospedale mi danno da riempire la solita scheda informativa…unico problema in giapponese, che ovviamente non leggevo, ho chiesto aiuto, ma nessuno parlava inglese, mi sono barcamenata applicando le poche conoscenze che i miei primi due mesi di studio della lingua nipponica mi avevano dato… risultati minimi e due ore sballottata tra radiografie e attese, senza capire nulla… e non mi hanno neanche proposto un interprete… alla fine il medico bofonchiava tre parole in croce in inglese, sufficiente per capire che non c’erano lesioni e tutto era a posto… ma che fatica.

Altro pronto soccorso altro contesto, Chennai, India. Nuovamente una delle bambine da portare d’urgenza, punta da non si sa cosa, aveva una gamba che si gonfiava a vista d’occhio.

Un’ora e più di strada per andare all’ospedale per stranieri, quello che più o meno seguiva i canoni nostri, soprattutto igienici, ma un’ora poteva essere tanto non sapendo cosa l’avesse punta.

Il medico contattato per telefono ci ha consigliato un ospedale privato più vicino, ci precipitiamo ma per sfortuna nostra era l’ora di cena, non c’erano medici disponibili, anzi erano tutti andati a mangiare (incredibile ma vero), ci hanno detto di aspettare che il medico sarebbe arrivato più tardi, il che nel linguaggio indiano può andare dai 5 minuti alla settimana successiva.

Mi dico che forse è meglio cambiare posto, a questo punto ci fermiamo all’ospedale successivo… e lì mi sono sentita morire, ma ormai ero al punto di non ritorno, mia figlia piangeva terrorizzata dal posto, sporco e squallido, due medici visitavano i pazienti nella stessa stanza in parallelo, con molta intimità, ci hanno detto che ci volevano due iniezioni per bloccare la reazione allergica, per fortuna le siringhe le ho comprate alla farmacia di fianco, sul lettino non si è voluta sdraiare e l’ho tenuta in braccio sussurrandole all’orecchio “sì sì, piangi così non ti mettono sdraiata che sul lettino c’è uno strato di cracia che fa paura”.

urgenze in espatrioLa reazione allergica è comunque passata e nessuna malattia nesocomiale si è impossessata di noi…
Certo nel caso dell’India il problema non era la comunicazione come poteva essere in Giappone, il problema era il terrore di trovarsi in queste situazioni e in condizioni igieniche precarie

Ci sono state altre volte simili e vissute con le stesse ansie, ogni volta si impara qualcosa ed ogni volta ci si ripete che si è ferrati e pronti a tutto ma l’urgenza medica è meglio viverla a casa propria, nel proprio paese, e quando non si può farne a meno, beh, questo l’ho capito lunga distesa nel parcheggio del supermercato con in mano il mio dente e guardandomi le mani sporche di sangue, un bel pianto liberatorio ci rende più forti e pronti ad affrontare l’incognita…. e così 5 ore dopo avevo uno splendido dente nuovo assolutamente perfetto!

 

Giuliettaexpat
Palo Alto, Silicon Valley, California
Dicembre 2012

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