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Martina è una giovane italiana che sta per completare la sua prima esperienza di vita e lavoro all’estero. La ringraziamo di cuore per questo bellissimo articolo, nel quale ci racconta, senza veli, quello che ha significato per lei quest’esperienza. Buona fortuna per il tuo futuro, Martina! 

La prima volta che ho visitato questo paese è stato in veste di turista. In viaggio nel Regno da Tanger a Taroudant per un mese ho toccato cinque o sei tappe, respirato mille odori per me completamente nuovi, mi sono trovata per la prima volta nel caos dei mercati e delle autostazioni africani, sono stata ospitata da famiglie del posto, ho gustato sapori forti e soavi ma non ho avuto certo il tempo di immergermi del tutto nei suoi ritmi, nelle sue onde di pensiero e soprattutto non ho speso abbastanza energie per cercare di entrare veramente in sintonia con il suo popolo così variopinto e rumoroso. Quando sono ripartita immaginavo che sarei tornata. Viverci per un anno è stata tutta un’altra storia, per certi aspetti molto più affascinante, eccitante e soddisfacente, per altri versi molto più faticosa, limitante e ripetitiva. Come sono arrivata ho capito che l’imperativo era abbandonare o per lo meno smorzare i miei concetti di produttività sul lavoro, puntualità, tempo, efficienza. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e un po’ di tempo mi ci è voluto per mettere in pratica la lezione che i miei colleghi marocchini hanno cercato di impartirmi dal primo giorno piazzandomi con loro seduta ad un caffè per ore. Ancora oggi, dopo undici mesi, non posso dire di essere un’alunna modello ma qualcosa sicuramente mi hanno trasmesso e senza dubbio è qualcosa d’importante, un tesoro che porterò nella mia valigia ovunque.

Io con due alunne

Io con due alunne

Sono arrivata in Marocco nell’ottobre 2008 perché la mia candidatura per un progetto di servizio civile internazionale incentrato sull’insegnamento della lingua italiana agli aspiranti (e non) emigranti in Italia è stata valutata positivamente e sono stata arruolata: destinazione Casablanca. Gli anni precedenti l’avventura li avevo impegnati in una laurea in antropologia, nei lavori più disparati, nelle mie villeggiature semi-estive a Tunisi per studiare arabo (che è una cosa che non ha quasi niente a che fare con la centrifuga di suoni usati qui) e nella formazione come insegnante di italiano LS ed L2 agli immigrati. Nel corso del 2008 ho collaborato come volontaria con un centro di educazione territoriale per gli adulti e con un’associazione del mio paese scoprendo una grande passione per questo mestiere e la sua reale validità nel mettere delle basi alla possibilità d’integrazione fra ospitanti e ospitati. Così quando ho scoperto sulla rete questo progetto ho pensato: “Ma non sarà mica stato scritto apposta per me?”; ho avuto voglia di verificare e a vedere come sono andate le cose devo ringraziare quella voce (sarà mica stato Allah??) che mi ha detto: “Coraggio, provaci!”. La decisione non è stata delle più semplici perché ha significato lasciare tutto quello che avevo fatto di me in Italia: la mia casa che condividevo con il mio ragazzo, il mio bel lavoro da poco trovato (che mi faceva sentire molto utile ma forse non era quello che desideravo davvero) e la mia situazione più o meno stabile che mi ero creata dopo la laurea. Fortunatamente sono cresciuta un po’ con delle radici mobili e il grande cambiamento mi ha più emozionata che spaventata. E posso dire senza rimpianti (pur nella consapevolezza di qualche errore) che aprire nuove porte nella propria vita non può che portare ventate rigeneranti. Quello che sapevo prima di arrivare in questo caos di smog e voci masticanti una lingua la cui ricetta è probabilmente 100 gr di consonanti, 10 gr di vocali, 5 gr di parole francesi in parte storpiate e una buona dose di combattività era:

1.     che mi attendeva la capitale economica del paese, regno lavorativo di ogni grande imprenditore e milionario e rifugio di ogni disperato in cerca di un impiego
2.     che la città è famosa perché unico luogo nel Regno in cui le giovani affollano le spiagge in bikini.

In pratica non ne sapevo un bel niente ma avevo un’idea di quello che era il paese essendoci stata due anni prima e di cosa in linea generale mi stava aspettando. Ero emozionatissima dalla novità e dalla prospettiva di lavorare all’estero per un anno ma presto avrei scoperto che altro che bikini! a volte bisogna tirar fuori l’armatura! Sono arrivata in Marocco con un’altra insegnante ben più esperta di me a conclusione del mese di Ramadan. Per tre giorni siamo state scorrazzate in giro da un nostro collega fra pranzi colmi di ksskss (couscous) alle sette verdure, the allo zucchero con menta, pasticcerie incantevoli, caffè affollati di uomini sonnecchianti, polvere, muli, taxi sfreccianti per ogni dove. Un calderone di voci, profumi, puzze, colori, facce, occhi, sensazioni, dal quale mi lasciavo trasportare senza opporre alcuna resistenza (la mia collega ne opponeva qualcuna in più).

Morocco2Poi abbiamo iniziato il lavoro o sarebbe meglio dire il NON lavoro, perché per metterci d’accordo sulle modalità organizzative ce ne abbiamo messo di tempo… La vita all’inizio è stata poco confortevole per le condizioni un po’ disagiate dell’alloggio in un quartiere dell’estrema periferia di Casablanca, una piccola parte di vera Africa all’interno di una metropoli che aspira ad essere europea ma che raggiunge l’obiettivo solo in parte. Questo ha creato non tanto problemi pratici ai quali almeno io ero pronta a far fronte, quanto infinite ed inconcludenti dispute con il nostro responsabile marocchino con il quale pensavamo di parlare la stessa lingua ma ci illudevamo! In più il nostro modo di lavorare non coincideva con le abitudini dei nostri colleghi (entrambi marocchini) e la nostra presenza veniva forse a volte percepita come invadente. Probabilmente a volte i nostri colleghi si chiedevano: “Ma da dove sono spuntate queste due donne che consigliano questo e pretendono quest’altro? A quale prova ci sta sottoponendo Allah il grande?”. Con non pochi scontri siamo riuscite  a dare vita ai corsi d’italiano e ad impostare il lavoro nel modo più produttivo possibile; ci siamo fatte assegnare un’abitazione più decorosa ma sempre lontano dal lavoro e dal centro, handicap che ha in vari modi determinato la nostra esclusione dalla vita culturale e notturna della città. Gli appartamenti del centro hanno prezzi meno vantaggiosi e se ragionevoli sono spesso in abitazioni vecchie, umide, o che necessitano di lavori (ma il nostro principale ostacolo è stato che le conoscenze del nostro responsabile erano in altri quartieri). La vita culturale della città non è così varia come quella di Londra ma il fatto di fare le pendolari ci privava dell’energia di uscire di nuovo la sera, quando oltretutto ci si deve spostare fra un luogo e un altro in taxi.

La mia collega ha rinunciato al progetto dopo quattro mesi ed è tornata in Italia. Io ero troppo eccitata dal cambiamento, troppo motivata a portare a termine il lavoro; nel frattempo avevo rotto i miei ponti restanti con l’Italia e stavo iniziando una storia con un ragazzo marocchino che pur non essendo un motivo per rimanere m’incuriosiva. La partenza della mia collega ha significato un nuovo inizio in tutti i sensi: tutto quello che prima si faceva in due (dal cambiare la bombola del gas al tenere i corsi di lingua) in seguito l’ho fatto da sola. Sotto il punto di vista lavorativo (e decisionale in generale) è stato un cambiamento in positivo perché ho iniziato ad avere un migliore rapporto con i colleghi, il lavoro è diventato più intenso e il rapporto con gli studenti ha fortemente motivato la mia presenza qui. Per quanto riguarda il resto è stato piuttosto faticoso, forse soprattutto perché vivendo in un quartiere di periferia ho sempre dovuto rispettare una mentalità molto diversa dalla mia, non ho mai vissuto il mio quotidiano con persone a me più simili che magari ho incontrato ai corsi di lingua che ho frequentato ma con le quali poi non  mi vedevo regolarmente come può capitare con un vicino d’isolato. Comunque centro o periferia il Marocco non è secondo me un paese semplice per una ragazza da sola. Sono stati tanti i momenti in cui mi sono sentita stanca, stufa, forse anche indirettamente messa a tacere un po’ perché è spesso consigliabile rimanere in silenzio o per lo meno dissimulare quello che si pensa (su questioni come religione, matrimonio, ecc.), un po’ perché in molte situazioni non mi potevo prendere la libertà di dire apertamente come stavo vivendo il Marocco. Inoltre l’effetto che la tua presenza provoca  quando cammini per strada (dipende dal quartiere e dalla città ma si può rilevare un po’ dappertutto) o quando ti siedi su una panchina o in spiaggia a leggere un libro, cambia radicalmente se sei sola o con un’amica o se sei invece con un uomo, e per me è stato molto duro convivere con questa opposizione. Si potrebbe dire che una ragazza di 27 anni che vive da sola è un po’ difficile da trovare perché alla mia età o si è già sposate e con figli oppure si vive ancora in famiglia anche se le cose sotto questo punto di vista si stanno modificando sull’impronta della cultura occidentale a ritmi sostenuti. Per diversi motivi non ho avuto modo di trasformare i miei contatti con altre donne in vere e proprie amicizie e la maggior parte dei rapporti con gli uomini sono stati problematici, rotti o impediti da incomprensioni di ruoli e desideri. I contatti di superficie sono stati molto belli ed intensi per la loro portata ma i veri rapporti, quelli all’interno dei quali ci si può lasciare andare, quasi inesistenti, se non con altri europei. In alcuni momenti anche la mancanza di un vocabolario esteso in una lingua comune è stato motivo di comunicazione limitata o superficiale.

Morocco CasablancaCasablanca è inoltre priva di quella rete di organizzazioni che portano invece tanti europei a vivere nella capitale Rabat e a incontrarsi per motivi di lavoro e perché la città è più a misura d’uomo. Quelli che in Italia vivevo come svaghi e divertimenti qui mi sono stati quasi totalmente preclusi un po’ dal fatto che non amo il genere di locali tipici del lungomare della Corniche, con prezzi improponibili e clientela super alla moda, un po’ dalla lontananza dal centro per cui i luoghi dove mi sentivo più a mio agio li ho frequentati solo saltuariamente.I n compenso gli svaghi sono stati i weekend a Rabat, i viaggi-scoperta nelle città vicine, nel sud e nel nord, e le occasioni di maggior divertimento e relax sono state le feste organizzate da altri europei a Casablanca o Rabat. A raccontarla così sembra che quest’esperienza sia stata un calvario! Invece se mi si chiedesse di darle un voto non potrei che premiarla almeno con un 9 perché per me è stata un’occasione di profonda crescita sia a livello personale  e umano sia sul piano professionale e soprattutto un input a progettare nella mia vita altri cammini. Ha significato dare una bella spinta alla ruota e non è cosa da poco! Questo paese mi ha aperto le braccia in tanti sensi: ho incontrato persone che hanno diviso con me tutto quello che hanno e che con pazienza mi hanno fatto capire che anche i miei schemi mentali possono risultare inappropriati e incongruenti. Ho avuto modo di parlare con volti dipinti dalle rughe o scolpiti dal vento che ricambiano il tuo sguardo con occhi lucenti e profondi sorrisi.Ho provato a volte la sensazione di sentirmi a casa forse più che a casa mia. Come di ogni luogo dove vivi qualcosa d’importante ricorderò sempre con grande affetto questa Casablanca così inquinata, così rumorosa e al tempo stesso silente, questa Londra napoletana dove l’estremo lusso convive con la straziante povertà, dove vedi ogni giorno persone che sembrano arrivate da secoli diversi per incontrarsi di fronte ai tuoi occhi, dove ascolti le urla gioiose dei suoi bambini che corrono e giocano per la strada.Fra i miei studenti ce ne sono stati alcuni che mi hanno offerto così tanto affetto e riconoscenza che non saprei quantificare neanche con un’unità di misura appropriata, cosa che può accadere in ogni luogo del mondo ma che qui per me in alcuni momenti è stata la ragione che mi ha spinto a rimanere. La mia relazione d’amore invece non sarebbe forse potuta nascere ed esistere in un’altra parte del mondo ma è stata la radice che mi ha connessa più direttamente con questa terra e mi ha a volte permesso di vedere la realtà con altri occhi, pur avendomi lasciata ancora oggi piena di punti interrogativi culturali. Per questi motivi ciò a cui la mia mente andrà direttamente ricordando il Marocco, ciò che cercherò tornando qui o che spero d’incontrare altrove, ciò che comunque porterò con me a spasso per il pianeta inshallah saranno i volti di queste persone e la loro capacità di accettare la vita senza opporre inutili e dolorose resistenze.

Martocchina
Casablanca, Marocco
Settembre 2009

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