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operazione

Giulietta condivide la sua esperienza di un’operazione chirurgica negli States. 

 

Se ne spendono di parole sul sistema medico americano, anche solo per commentare con sguardo allucinato le tariffe senza senso di ogni prestazione. Anche dopo anni negli Stati Uniti per noi stranieri c’è qualcosa di misterioso in questo sistema dominato dalle assicurazioni che dettano legge su modi, tempi e prezzi. Rimpiangiamo la buona vecchia Europa dove essere malati e curati è un sacrosanto dirittto, mentre qui in America per chi non ha i mezzi per pagare e assicurarsi, la cura può veramente fermarsi al minimo indispensabile.

Il sistema funziona, certo, essendo tutto privato funziona eccome. Ti senti quasi al sicuro circondato da strutture all’avanguardia dove sei accolto rapidamente senza attese sfinenti.

Il sistema però non funziona tanto come un servizio al cliente paziente, quanto come una vera impresa privata che deve fatturare tanto e rapidamente. Non c’è tempo per le smancerie, i medici corrono contro il tempo per soddisfare gli standard numerici delle assicurazioni e questo a discapito a volte di un reale contatto umano.

Tre settimane fa sono stata operata per la prima volta qui negli Stati Uniti e ho toccato con mano questo sistema efficiente e impersonale. Avevo l’impressione di essere in una vera e propria catena di montaggio, entra uno ed esce l’altro… e incrociamo le dita che tutto fili liscio e non ci siano intoppi.

Andiamo per gradi. Il mio intervento al ginocchio per la ricostruzione del legamento crociato disintegrato sulle piste del Montana durante la prima discesa del mattino, era programmato per giovedì 17 alle 11:45. Avevo visto il chirurgo qualche settimana prima, un’unica visita in cui in modo professionale mi aveva spiegato cosa avrebbe fatto, il resto è stato tutto organizzato per telefono nelle settimane precedenti: data, orario, esami pre operatori, alla fine risolti con il solo elettrocardiogramma. La cosa in sé mi ha un po’ inquietata, alla fin fine l’intervento era in anestesia generale, ma nessuno si è preso la briga di vedere se tutto, ginocchio a parte, andasse bene. Il mio medico di famiglia mi ha rassicurata, è la procedura, ma stai tranquilla sei giovane e sana.

operazione Comunque alla 9:45 del giovedì mattina mi presento alla clinica, due ore prima rispetto all’intervento. In un quarto d’ora sbrigo le formalità di ammissione, il solito iter, documento d’identità, carta dell’assicurazione e i soliti mille papiri da firmare. Alle 10 entro nella zona pre operatoria, mi danno un camice super sexy (che infilo anche al contrario un po’ confusa), delle calze anti trombo da mettere una alla gamba sana e l’altra da conservare per ricordo, un pennarello con il quale scrivere un grande YES sul ginocchio da operare, tanto per evitare che ci siano errori, una cuffietta per coprire i capelli. Sistemo i mei vestiti in un armadietto e faccio l’unico esame di controllo che mi fanno lì per lì, quello delle urine. Mi accompagnano poi alla mia postazione, c’è tutta un fila di letti separati da tende, qui in attesa spalle e ginocchia per essere riparate… la fabbrica dei legamenti! Mi tartassano di mille domande sul mio stato di salute, alle quali rispondo anche in modo ironico: come vanno i suoi reni? Ma che ne so, penso bene, ma se avete dei dubbi fatemi un esame…. Rivedo rapidamete il chirurgo che mi liquida con un sorriso e parte ad operare quello prima di me, incontro l’anestesista che mi chiede dei miei interventi precedenti, al primo avevo 10 anni, al secondo 29. Quello che gli interessa è il mio risveglio dall’anestesia, normalmente se ti sei svegliato bene le volte precedenti non dovrebbero esserci problemi, rassicurante sì e no.

Mi attaccano alla flebo e tengono sotto controllo battito e pressione. Io aspetto chiacchierando con mio marito, osservo il traffico di letti che partono verso le sale operatorie, sento vagamente le conversazioni che arrivano da dietro le tende.

Alle 11:30 l’infermiere viene a prendermi, invita mio marito a spostarsi nella sala d’aspetto, il nostro tempo in zona pre operatoria è scaduto. Vengo parcheggiata davanti alla sala operatoria, entro camminando. L’anestesista mi accoglie con un sorriso, in tre secondi sono nel mondo dei sogni. Riapro gli occhi promossa in zona post operatoria, la fotocopia post della precedente. Qui tutti dormono o si svegliano un po’ rintontiti.

operazioneApro gli occhi e mi sorridono, mi danno da bere e mi chiedono come sto. Io sono ancora stupita che il tutto sia già passato. Fanno entrare mio marito e mi dicono che se tutto va bene tra un quarto d’ora posso incominciare a vestirmi. Effettivamente tutto va bene, sono una paziente dal risveglio felice. Arrivano con il mio sacchettino di vestiti, spiegano a Paolo due o tre cose, e via pronti per tornare a casa, così, dopo un anestesia generale, un intervento dove mi hanno comunque trapanato la tibia e infilato un tendine di un donatore per rimpiazzare il mio legamento.


Ho un tutore che va dall’inguine alla caviglia e una parte della gamba completamente addormentata. Certo sono contenta di essere a casa mia e nel mio letto ancor prima del ritorno a casa da scuola delle mie ragazze. Sono le tre del pomeriggio e sono già di ritorno. Nessuna assicurazione avrebbe preso a carico una notte in ospedale qui negli States. Per lo stesso tipo di intervento in Europa ti tengono anche un paio di notti e direi che non è un lusso. Io stavo bene, certo, ma 24 ore dopo il dolore ha incominciato a farsi sentire in modo violento, difficile da controllare sopportando male gli antidolorifici.

Comunque questo è il sistema, funziona ma è essenziale. Tutti sono sorridenti e gentili, ma sei un numero, poi si passa al successivo senza tante smancerie. 19000$ a cui si dovrà sommare la fattura dell’anestesista, certo l’assicurazione paga la gran parte, e questo perchè noi siamo fortunati e ben assicurati, altrimenti? Beh si sopravvive anche con un legamento rotto….Benvenuti in America nella speranza che con un nuovo presidente i piccoli progressi fatti per aiutare i più sfortunati ad avere un minimo accesso alle cure di base, non vengano spazzati via. C’è ancora tanta strada da fare!

 

Giulietta Cerruti Sacconey
San Francisco, Bay Area
Maggio 2016

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