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Aleexpat e Claudiaexpat stanno vivendo in questi mesi un’esperienza di “vedovanza bianca”, con il marito lontano chilometri mentre loro tengono le fila della famiglia nel loro paese d’accoglienza. Eccovi le loro testimonianze.

Febbraio 2014

Aleexpat

Claudia la chiama “vedovanza bianca”, io preferisco chiamare questa condizione l’espatrio dell’espatrio, una sorta di espatrio al quadrato ed in termini di sacrificio, penso proprio che lo sia. Vivere all’estero e trovarsi ad avere un marito che a sua volta lavora in un altro paese estero è una situazione difficile e complessa, ma in fin dei conti gestibile, perché quando il gioco si fa duro noi, donne-expat,  sappiamo tirare fuori tutte le risorse che abbiamo!

Vedovanza bianca2In quasi quattordici anni di vita all’estero periodi di vedovanza bianca ce ne sono stati. Alcuni brevi e sopportabili, quasi piacevoli se devo essere sincera. Ritrovarsi talvolta ad avere spazi e tempi solo propri crea una certa soddisfazione. Altri periodi sono stati più lunghi e decisamente meno gratificanti. Nei sei mesi passati io a Schiedam, in Olanda, e lui a Sharjah, negli Emirati, ci vedemmo solo per quindici giorni, ma nel frattempo nacque il nostro secondo figlio ed io riuscii a vendere casa e preparare il trasloco (ecco le famose illimitate risorse femminili!).

È da un anno che mi trovo a vivere nuovamente questa condizione e grazie alle esperienze passate, vivo la situazione in modo abbastanza sereno, cercando di fare del mio meglio giorno per giorno, non ignorando, ma affrontando con un certo zen i fisiologici alti e bassi.
Mio marito lavora a Kuala Lumpur (Malesia), io ed i ragazzi, tre figli di dodici, nove e cinque anni, viviamo qui a Perth (Western Australia). Ci sono una serie di motivi per cui abbiamo deciso di non spostarci come famiglia, valutati e discussi uno a uno. Queste scelte sono difficili e vanno analizzate con attenzione perché alla fine riguardano non solo noi adulti, ma anche i figli. Il seguire o il non seguire il proprio partner nei vari spostamenti è una scelta critica e come famiglia, abbiamo pensato e lo pensiamo tuttora, di avere fatto una scelta logica, sofferta ma necessaria.

Così, da un anno appunto, sono iniziati i miei nuovi ruoli di part-time-wife e full-time-mother (ruolo non proprio “nuovo”, ma meno “condiviso” rispetto a prima)! A Perth, dove abito, vi sono parecchie donne che vivono questa situazione. Molti mariti lavorano nelle miniere a nord del Western Australia, a turni, quelli che vengono chiamati FIFOfligh-in fligh-out. A noi, ahimè, non è stato garantito neanche questo: mio marito torna quando possibile, combinando le festività malesi con le festività australiane e cercando di sfruttare al meglio le vacanze. I suoi ritorni non sono programmati con largo anticipo, ma decisi insieme mese per mese.

Vedovanza bianca3Come si riescono a gestire figli, con la scuola e tutte le attività che girano loro intorno, la casa, ed i propri interessi (nel mio caso studio e lavoro)? Nella nostra famiglia ci scherziamo sopra perché quando la mamma si ritrova ad avere tutto sulle spalle, subisce una trasformazione. Come il Colonnello Hathi, il grosso pachiderma de Il Libro della Giungla, comando la truppa con “militaresca autorità”, urlando “Disciplina! Disciplina! Disciplina innanzitutto!!!”. No, non sono poi così severa, ma devo ammettere che il mio modo di sopravvivere alle migliaia di cose da fare è instaurare una routine molto chiara, con orari e attività definiti che tutti seguono, senza stress o drammi. I miei figli si ritrovano ad avere dei punti di riferimento chiari, le cose da fare sono condivise, nessuno cerca di spostare i limiti. Descritta in questi termini la vita sembra rigore e regole, in realtà avviene tutto in modo spontaneo, come spontaneo è il supportarsi l’uno con l’altro.

La tecnologia aiuta molto ad accorciare le distanze. Attraverso Skype o Facetime io e mio marito siamo sempre in contatto, e anche lui può godere della gara di nuoto o della festa di compleanno quasi come dal vivo!
Certo, non sempre va tutto liscio.  Ci sono dei periodi in cui mi sento con il fiato corto, perché sembra che me ne succeda una ogni giorno (il vetro della doccia che esplode, la ruota bucata, gli operai che tagliano per sbaglio i fili del telefono….) e non avendo un “back up” tutto diventa un puzzle da completare in breve tempo.
Ci sono dei periodi in cui ai ragazzi manca il papà più del solito, la loro loquacità davanti al monitor del computer è nulla e non vogliono capire ed accettare scelte che gli sono cadute addosso.  Abbracciano il computer e baciano lo schermo dell’iPad ed io che li vedo non so se sorridere di tenerezza o piangere di disperazione. Ma poi agisco, li supporto, cerco di distrarli tra una battaglia di baci, un’uscita a pranzo non programmata, un’avventura in bicicletta.

Il periodo di vedovanza bianca sarebbe dovuto durare un anno, purtroppo si sta protraendo per un altro anno  e questo rende la situazione talvolta pesante e frustrante. Sono però di natura una persona ottimista, mi dico che comunque si tratta di una condizione temporanea che prima o poi finirà. Trascorriamo in Malesia ogni vacanza scolastica, ossia ogni undici settimane di scuola ci trasferiamo a Kuala Lumpur per quindici giorni. Il trasferimento è sempre molto eccitante ed i ragazzi sono sempre molto entusiasti. La Malesia richiama la terra di Sandokan, i pirati, i tesori nascosti. Ma anche il misticismo indù dei templi e delle caverne. I miei figli apprezzano la scoperta di nuove culture, sono abituati a viaggiare, viene loro facile, forse più che a me, accogliere e apprezzare le differenze interculturali. Se poi il tutto è vissuto insieme al papà, non ci sono frontiere, tutto appare possibile!

 

Claudiaexpat

Vedovanza bianca4Essere sola con i miei figli per me non è certo una novità: il lavoro di mio marito l’ha sempre portato in viaggio, tantissimo. Quando io e Alessandro, allora treenne, eravamo appena arrivati in Congo, mio marito è partito per una lunga missione in pieno Ebola nell’allora Zaire. In Honduras erano più i periodi in cui lo vedevo entrare e uscire con la valigia che quelli che passava a casa, dal Perù girava l’America Latina in lungo e in largo. E sicuramente è vero quello che dice Alessandra: noi donne, mamme, mogli expat sviluppiamo rapidamente la capacità di cavarcela ovunque e sempre, proprio perché sappiamo che tanti saranno i momenti in cui i nostri figli e figlie dovranno contare solo su di noi.

I viaggi continui, però, anche se frequenti, non si avvicinano neanche lontanamente alla condizione di vedovanza bianca o espatrio al quadrato (mi piace molto il termine coniato dalla mia amica Aleexpat), quando ci si ritrova sole per un periodo lungo, un periodo durante il quale succedono tante cose, i figli, crescono, cambiano, e i ritmi si assestano su un’assenza. Io lo sto vivendo in questi mesi, dato che alla chiusura del contratto di mio marito a Gerusalemme, ho deciso di tornare qui con mio figlio per fargli finire la scuola nell’ambiente dove studia e vive da 4 anni. Mio marito fa consulenze che lo portano in luoghi a volte molto lontani da qui, mentre io e mio figlio ci siamo organizzati una vita gerosolomitana su misura per noi e per la nostra situazione attuale. Come per Alessandra, questa scelta è stata molto ponderata: spaccare la famiglia e sparpagliarla in vari punti del mondo è doloroso, e nel prendere questa decisione si valutano davvero  bene fino in fondo tutti gli elementi del caso. Sicuramente aiuta sapere (e ricordarsi spesso!) che il periodo è temporaneo, ma la lontananza in espatrio porta con sé alcune difficoltà delle quali bisogna essere coscienti quando si prende questa decisione.

Molto dipende dall’età e dal numero di figli, e dal luogo in cui si decide di vivere il periodo. Se con dei bimbi piccoli la situazione è resa pesante dal dover essere fisicamente sempre presenti, senza poter mai staccare, mentre diventa forse più facile consolarli nelle loro malinconie, con i grandi è più semplice organizzare una routine in assenza di un genitore, ma diventa molto più complesso gestire gli scossoni della crescita. Se si gestisce un figlio solo, come nel mio caso, è più facile instaurare una routine perché il rapporto diventa esclusivo, mentre doversi gestire tra più figli/e richiede un input di energia maggiore. Allo stesso tempo però, è più semplice per la prole rapportarsi a questa situazione di assenza se ci sono fratelli o sorelle coi quali condividere il periodo dell’espatrio, o comunque della “mono genitorialità”. Un figlio solo avrà come unico riferimento la madre (prendo sempre a esempio il nostro caso), sulla quale scaricherà in modo massiccio tutte le gioie e i dolori della sua vita.

Gioie e dolori che peraltro in espatrio sono spesso esacerbati. Ad esempio io sto vivendo l’esperienza in un posto più complicato della media, dove il livello di tensione da gestire è più alto che in altri luoghi. Qualche giorno fa, proprio mentre cominciavo questo articolo, un blindato della polizia israeliana è entrato nella via in cui abitiamo, e sono scesi due poliziotti armati fino ai denti, che hanno cominciato a setacciare la zona. Dal nostro balcone li vedevamo correre in giro nervosissimi, entrare nei giardini dei nostri vicini, e urlarsi cose a noi incomprensibili, fino a quando hanno trovato il ragazzo che aveva scavalcato il muro che separa la West Bank da Gerusalemme, e l’hanno fatto salire in malo modo sul gippone. Assistere a scene di questo tipo non è mai facile – un marito in questi casi sarebbe stato utile per condividere e ribilanciare i sentimenti e sminuire la tensione.

Vedovanza biancaIn generale quello che trovo difficoltoso nell’esperienza è il non avere un contatto diretto con mio marito quando devo prendere decisioni improvvise o quando l’adolescenza di mio figlio mi mette di fronte a situazioni più complesse della media. Essere in due permette di agire in maniera più cosciente e ponderata, e condividere la responsabilità delle scelte rende la gestione del quotidiano molto più semplice. Come Alessandra, anch’io utilizzo Skype e posta elettronica per restare in contatto quotidiano, e questo mi permette naturalmente di continuare il confronto e di sentirmi meno sola nelle decisioni che devo prendere. Recentemente però, ho trascorso un mese quasi senza comunicazioni, dato che il marito si trovava a Cuba, dove collegarsi a Internet era complicato, e il tutto è coinciso con momenti piuttosto complessi e con un accumulo di decisioni da prendere ed emozioni da gestire non sempre semplice. La mia ricetta per stare a galla in questi casi è sempre la stessa: l’amicizia. E non mi stancherò mai di dirlo: gli espatriati stringono amicizie più solide, più profonde, hanno uno slancio più coinvolto nelle questioni degli altri, e creano con più immediatezza una comunità calda e avvolgente. Io ho la fortuna di aver trovato casa proprio di fronte a un’incredibile famiglia di amici che son sempre pronti a farsi in quattro per noi, e ho una rete di supporto ben consolidata e pronta ad entrare in azione in caso di necessità. Questo è stato, in effetti, un elemento importante nella decisione di tornare qui – nei quattro anni che ho trascorso a Gerusalemme, ho consolidato dei rapporti forti e profondi. So che se ho delle persone amiche intorno a me, posso affrontare tutto.

 

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