Home > Africa > Congo > Alcuni preziosi consigli per un viaggio a lieto fine
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Ringraziamo Gabriella, amicissima di Expatclic da lunga data, per questo splendido tuffo nel passato, che ha generato dei consigli sempre attuali!

 

Agli inizi degli anni ’80 io e mio marito Paolo organizzammo un viaggio per andare a trovare due carissimi amici che risiedevano per lavoro a Pointe Noire, una cittadina africana lungo la costa atlantica, nella Repubblica del Congo (quello con capitale Brazzaville, tanto per intenderci).

A quei tempi il Congo era uno stato satellite dell’ex-Unione Sovietica, cioè era legato economicamente e politicamente all’URSS, e le relazioni tra i due stati comprendevano anche una serie di collegamenti aerei a costi ridotti Mosca-Brazzaville tramite la compagnia sovietica Aeroflot: i voli erano così a buon mercato che conveniva molto di più effettuare il tragitto Milano-Mosca, Mosca-Brazzaville piuttosto che scendere direttamente in Congo da Roma con Alitalia o altre compagnie.

A chiunque avesse avuto un po’ di sale in zucca questo su e giù sarebbe sembrato a dir poco faticoso, anche perché il biglietto prevedeva due giorni di scalo a Mosca, sia all’andata sia al ritorno, con alloggio presso l’albergo dell’aeroporto Sheremetyevo; ma a noi, che non eravamo mai stati né in Russia né tantomeno in Congo, parve una splendida occasione per prendere due piccioni con una fava!

viaggioPartimmo così da Malpensa con un vecchio Tupolev, che forse ai tempi di Stalin era stato uno dei fiori all’occhiello dell’aviazione sovietica, ma che ormai era ridotto maluccio; nonostante alcuni problemi di pressurizzazione e temperatura in cabina, il viaggio andò abbastanza bene, e dopo alcune ore arrivammo a Mosca, dove ci attendevano le operazioni di controllo documenti e bagagli.

L’addetto ai passaporti rimase per oltre un quarto d’ora immobile davanti a noi a fissare alternativamente le nostre facce e le foto sui passaporti, ci misurò l’altezza per vedere se corrispondeva a quanto indicato, ci fece parecchie domande sul motivo del viaggio, e infine fummo letteralmente passati al setaccio insieme alle nostre valigie (ancora non esistevano gli attuali metal-detectors). Poi, caricati su un pulmino, ci portarono all’albergo, sempre all’interno dell’aeroporto: una costruzione fatiscente in perfetto stile socialista sovietico, dove ci furono assegnate le stanze.

Non eravamo gli unici stranieri, qualcuno aveva avuto la nostra stessa idea; ma la differenza fra noi e gli altri malcapitati era questa: mentre noi avevamo richiesto il visto d’ingresso al consolato russo di Milano, e quindi potevamo uscire dall’hotel e recarci in città, chi questo visto non l’aveva dovette restare segregato per due giorni in una parte sorvegliata dell’albergo, con porte sbarrate e presidiate dai soldati dell’Armata Rossa!

Consiglio n. 1: se durante il vostro viaggio aereo sono previsti scali di molte ore e volete visitare la città in cui vi trovate, o se attraversate, in auto o con altri mezzi, paesi diversi da quello della destinazione finale, accertatevi che non servano visti di ingresso particolari, altrimenti rischierete di dover rimanere chiusi in aeroporto o, peggio, di essere rimandati indietro.

I giorni che passammo a Mosca furono indimenticabili: Gorbacev e la “perestroika” erano ancora di là da venire, e le immagini che mi tornano ancora oggi alla mente, a parte lo splendore del Cremlino, di San Basilio e delle altre chiese, sono la desolazione dei negozi semivuoti, lo squallore dei magazzini Gum, le file chilometriche di persone in attesa di entrare al Mausoleo di Lenin, le vecchiette con le scope che spazzavano la Piazza Rossa.

Il freddo era pungente, e non vedevamo l’ora di ripartire alla volta del Congo: un altro lungo viaggio ci aspettava. Il tragitto Mosca-Brazzaville fu estenuante, sia per le decine di ore trascorse sulle scomode poltroncine del Tupolev, cercando di dormire, sia per gli altri due scali che dovemmo fare: Odessa, sul Mar Nero, e Douala, in Camerun. In aereo non erano previsti né pasti né snacks, e in nessuno dei due “aeroporti” in cui atterrammo trovammo qualcosa di “affidabile” da mangiare; avevamo lo stomaco vuoto e sentivamo i morsi della fame, avrei dato qualunque cosa per un bel panino col prosciutto…

Consiglio n. 2: se dovete affrontare un lungo viaggio, specialmente in paesi “esotici”, portatevi delle piccole scorte alimentari, naturalmente consentite dalle autorità doganali: eviterete di patire fame e sete come ho fatto io, a quei tempi ancora una sprovveduta viaggiatrice alle sue prime esperienze.

Dopo un’eternità, atterrammo finalmente a Brazzaville, con un caldo e un’umidità allucinanti: qui si ripeté la stessa trafila di controlli che avevamo subito a Mosca (evidentemente le istruzioni dell’URSS erano state emanate a tutti gli stati satellite), anche se il modesto aeroportino africano e la fanciullesca semplicità dei congolesi stridevano in confronto all’enorme aerostazione moscovita e alla rigidità del suo personale. Addirittura portarono me e Paolo in due stanzette diverse per interrogarci separatamente. Evidentemente le nostre risposte coincisero, perché dopo pochi minuti ci lasciarono andare.

Ma non eravamo ancora arrivati: dopo un breve riposo alla guest-house della società e un veloce spuntino, tornammo in aeroporto e decollammo con un velivolo piccolo e malandato alla volta di Pointe Noire. Durante il viaggio si scatenò una tempesta tropicale con fulmini impressionanti, vento forte e pioggia a catinelle; si ballava parecchio, e quando il pilota, ad un certo punto, si voltò verso i pochi e sparuti passeggeri chiedendo se qualcuno poteva aiutarlo, beh, quasi quasi mi venne un colpo…in realtà cercava solo qualcuno per reggergli (e secondo me anche per leggergli…) le carte aeronautiche, e Paolo, che aveva appena conseguito il brevetto di volo a vela (quello degli alianti…), si offrì volontario.

Consiglio n. 3: se l’aereo su cui viaggiate deve affrontare una situazione d’emergenza, se il vostro fuoristrada si blocca in pieno deserto, o in caso di altre situazioni di stallo, cercate di mantenere la calma, non saltate subito a conclusioni affrettate, ragionate sui motivi del guasto o delle difficoltà di manovra, collaborate, non fatevi sopraffare dalla paura e, soprattutto, non lamentatevi: non serve.

viaggioLa nostra vacanza a Pointe Noire fu meravigliosa, due settimane di sole, mare e natura selvaggia in compagnia dei nostri amici, un vero pieno di energia, di forza e di entusiasmo; purtroppo venne il momento di tornare a casa, e l’idea di rimettermi in viaggio e rifare a ritroso il percorso dell’andata mi preoccupava molto; prima di ripartire, oltre ai soliti oggetti di legno e malachite, comprammo anche alcuni bellissimi pezzi di dioptasio, un minerale cristallino di color verde smeraldo, che non ha grande valore commerciale se non per un collezionista di minerali e che non è facile reperire in Europa.

E partimmo, con i nostri ricordi e l’Africa nel cuore, per tornare nella nebbia della Val Padana (era novembre). Arrivati a Mosca, durante il controllo bagagli inevitabilmente saltò fuori il dioptasio, e fu l’irreparabile: SMERALD! SMERALD! cominciò a urlare il funzionario della dogana, attirando l’attenzione di altre guardie che accorsero trafelate, e noi a spiegare che non erano pietre preziose. Non so come, alla fine capirono che non eravamo trafficanti di gemme, tuttavia sequestrarono la merce, la misero in una scatola e ci consegnarono un biglietto con un numero, dicendo che ce l’avrebbero restituita al momento della partenza per l’Italia; avete presente la scena finale di Indiana Jones, quando un custode spinge un carrello con la cassa contenente l’Arca in un enorme magazzino tutto pieno di casse uguali a quella, e tu pensi che non la ritroveranno mai più? Uguale.

Consiglio n. 4: quando acquistate regali o souvenir in un paese straniero, informatevi se è consentito esportarli, altrimenti c’è il rischio di doverli abbandonare alla dogana, e credetemi, è molto doloroso separarsi da oggetti a cui vi siete già affezionati.

Trascorremmo i due giorni di sosta a Mosca col pensiero della nostra scatola, persa in quella stanza dell’aeroporto tra altre diecimila; provammo anche a tornare la sera prima di partire per vedere se potevamo recuperarla, ma non ci fu nulla da fare, ci ripeterono che l’avremmo avuta al momento dell’imbarco. E così avvenne: dopo il check-in, quando ormai eravamo già al gate, in fila per salire sul nostro volo, si materializzò una donna in divisa, e in mano aveva la nostra scatola, proprio quella! Chiese il biglietto con il numero, e ce la restituì, intatta, con il suo (per noi) prezioso contenuto, che tuttora si trova nella vetrinetta del mio salotto insieme ad altri minerali, a ricordo di quella avventura a lieto fine di tanti anni fa.

 

Gabriella
Giugno 2013

 

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