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Cristinaexpat ha raccolto la testimonianza di Katia che ci racconta come in un espatrio duro, come quello nigeriano, si possono scoprire dei preziosi momenti di condivisione e solidarietà, che non solo contribuiscono a far del bene a coloro che ne hanno bisogno ma donano animo e spirito anche a chi è coinvolto in prima persona.

 

Quando sono partita per Lagos, Nigeria, più di otto mesi fa, ho portato in valigia una serie completa di preoccupazioni come mai prima, nella mia vita.

Tra queste in primo luogo i timori legati al cambiamento di clima, l’esposizione ad alcuni rischi di malattie ed infezioni, la consapevolezza che vivere “a porte chiuse” e dietro il filo spinato avrebbe fatto violentemente a pugni con la mia voglia di libertà, il mio bisogno di autonomia, la mia necessità di essere padrona del mio tempo e del mio spazio.

Gli aspetti più comuni di un’esperienza di vita all’estero, inerenti ad un altro cambiamento di ambiente, l’adattamento ad una nuova cultura e la mancanza di legami ed amicizie nella vita che mi attendeva, non li avevo nemmeno tenuti in conto.

Mi era impossibile farlo, troppo concentrata com’ero a preoccuparmi di come avrei fatto a preparare dei pasti sani per la mia famiglia in assenza di acqua potabile, come avrei potuto scongiurare un contagio da malaria, come avrei potuto salvaguardare la serenità mia e dei miei figli abituati a tutt’altro stile di vita, in assenza di tutto quel progresso e di quel benessere diffuso, che nel mondo occidentale diamo tutti così tanto per scontati.

lagos

Lagos landscape. Lagos, Nigeria. Photo: © cristina baldan

A maggior ragione dunque, sono stata doppiamente sorpresa dalle testimonianze di amicizia e di solidarietà che non sono tardate ad arrivare, all’indomani o quasi, dal nostro sbarco a Lagos.

Per lungo tempo sono rimasta genuinamente stupita dalla prima domanda che mi veniva rivolta, reso chiaro che ero, come si dice da queste parti un “fresh fish”. Mentre altrove si dice “how do you do?”,piacere”, “enchanté” e via discorrendo, qui la gente ti guarda, capisce che sei nuova e poi esordisce con un “ …e allora come va? hai bisogno di qualcosa?”.

Il fatto rende subito evidente che neanche per loro l’inizio è stato semplice e che il paese non è esattamente una delle mete da espatrio tra le più ambite del pianeta, ma ti sollecita a tirare fuori il meglio di te e a rimboccarti le maniche, per venir fuori da quell’iniziale senso di smarrimento.

Come sempre nella vita, è proprio quando le persone dispongono di minori mezzi, che s’industriano e si organizzano meglio che in condizioni normali. Ed è cosi che nelle varie comunità internazionali di Lagos, pullulano per nostra fortuna tutta una serie di associazioni a sfondo umanitario, o di semplici gruppi di persone, che liberamente e al solo scopo di condividere del tempo e delle passioni in comune, si ritrovano per ritagliarsi dal caos della città, delle piccole oasi di piacere, facendo qualcosa insieme.

Interessata a mentenere vivo il mio francese, e un po’ per coincidenza di eventi, ho deciso molto presto di fare parte di un’associazione francofona presente a Lagos da diversi anni, che organizza molte attività per il tempo libero e la vita culturale.

Tra le varie proposte alle quali aderisco, trovo straordinaria nella sua semplicità, quella di un atelier di creazioni artigianali, che permette ad ogni persona di portare avanti secondo le proprie capacità, i suoi ritmi ed il proprio senso estetico, alcune piccole decorazioni per la casa, oggetti in legno per l’arredamento e per i bambini, bijoux e manufatti di vario genere. I supporti in legno sui quali lavoriamo sono esclusivamente commissionati a piccoli artigiani locali, l’altro materiale necessario è reperito, non senza qualche difficoltà, sui mercati nigeriani.

Il frutto del nostro impegno settimanale, viene venduto durante un mercatino a scopo di beneficenza che si svolge due volte l’anno, ed i proventi di tale vendite sostengono di volta in volta dei progetti di aiuto per comunità, ospedali, scuole.

Il bazar di Natale ha portato un contributo ad una scuola di bambini non vedenti, che di norma vengono emarginati dalla famiglia di origine che non se ne puo’ occupare come necessiterebbero e non trovano un sostegno neppure nella comunità.

Durante le nostre piccole riunioni, oltre agli immancabili caffé e fetta di torta, mentre le nostre mani sono occupate tra colori, colle e perline, arriva di tanto in tanto qualcuno che porta una di quelle valigie che io mi trascinavo dietro otto mesi or sono. Fa caldo al cuore aprire quella porta, sgravare un po’ di quel peso e offrire a sua volta un sorriso chiedendo “…come va? hai bisogno di qualcosa?”

In questo “viaggio dentro” che è per me il passaggio in Nigeria, i miei compagni d’avventura sono parte delle mie scoperte, della mia piccola, grande avventura.

Katia

…e poi? A questo articolo mancherebbe un paragrafo conclusivo, ma Katia non può scriverlo ancora, in quanto il suo processo di inserimento e di adattamento alla città di accoglienza non è ancora concluso. Ma questa sua testimonianza è tanto più preziosa quanto più si colloca nel contesto di un paese tra i più difficili ci siano per vivere l’esperienza di un primo espatrio con figli al seguito. Pertanto ringrazio Katia in modo particolare, conoscendo la fatica che si cela dietro ogni singola parola.

 

Testimonianza raccolta da Cristina Baldan (Cristinaexpat)
Lagos (Nigeria)
Giugno 2011

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