
Silvia ci racconta del suo lavoro per un’organizzazione che si occupa della gestione dei richiedenti asilo nello stato del Victoria, in Australia.
La situazione degli “asylum seekers” è una spina nel fianco di questo paese, un motivo di vergogna per molti australiani e un problema di cui pochi, al di fuori dell’Australia, sono a conoscenza.
L’Australia è considerato da molti un paese ricco di opportunità e spazi aperti, ma questi spazi non sono aperti a tutti e i numerosi richiedenti d’asilo che lasciano paesi distrutti dalla guerra, dalla persecuzione e dalla fame, arrivando in Australia trovano che l’unica opportunità a loro offerta è un letto in un dormitorio in uno degli “off shore detention centres”. In molti casi il Governo Australiano rifiuta di accogliere i richiedenti asilo sul territorio e ha istituito centri di detenzione in due isole del Pacifico, Manus e Nauru.
Nel 2015 una nuova legislazione, il “Border Force Act”, è stato istituito dal Governo Australiano per impedire al personale impiegato nei campi (medici, psicologi…) di parlare pubblicamente di quello che succede all’interno dei “detention centres”.
La maggior parte dei richiedenti asilo proviene dall’Afghanistan, dall’Iran e dallo Sri Lanka.
Silvia ci parla con professionalità e passione di quello che fa, delle difficoltà che i richiedenti asilo devono superare, ostacoli che noi donne espatriate conosciamo bene, accentuati dal trauma e dalla tragedia del passato e dall’instabilità e dalla paura per il futuro.
Grazie di cuore, Silvia.
L’organizzazione per cui lavoro è una delle tre che ha vinto l’appalto nel Vittoria (ma non solo) per la gestione dei richiedenti asilo che vivono nella comunità. Ciò significa che il Dipartimento dell’Immigrazione subappalta la gestione dei richiedenti asilo nella loro zona a delle agenzie che si occupano di prendersi cura del loro welfare e di mantenere una comunicazione aperta e continua col Dipartimento.
Entrando più nel dettaglio, organizzazioni come quella per cui lavoro supportano i richiedenti asilo con informazioni e aiuto pratico su temi quali la salute (fisica e mentale – tema molto sentito in questo gruppo) la ricerca di una casa, di un lavoro, il miglioramento della lingua, l’assistenza alla famiglia, ma anche la celebrazione di feste ed eventi culturali e tutto ciò che riguarda lo sviluppo e il beneficio della persona, siano essi adulti o bambini.
Il tema dell’assistenza legale viene invece delegato ad agenzie specifiche che trattano le richieste di visto e di asilo.
Naturalmente il supporto psicologico diventa uno degli aspetti più importanti di questo lavoro, considerando l’alta vulnerabilità dei partecipanti e lo stress quotidiano legato all’incertezza del loro status.
Essendo un lavoro di collaborazione col Governo, parte del nostro ruolo consiste anche nel facilitare la comunicazione tra gli utenti e il Dipartimento per quanto riguarda i diritti e i doveri richiesti dal visto temporaneo col quale vengono rilasciati nella comunità.
La maggior parte dei richiedenti asilo vive infatti nelle comunità con un “Bridging Visa” che ha limiti in termini di spostamenti, accessi ai servizi e possibilità di studio e di lavoro.
Una piccola parte degli utenti vive invece in “Community Detention”, ossia gli è permesso di vivere nella comunità ma con grosse restrizioni e controlli dato il loro status da detenuti. Infatti a questo gruppo non viene dato un visto ma solo la possibiltà di attendere una risoluzione riguardo al loro status nella comunità invece che in un centro di detenzione. A questo gruppo appartengono infatti i gruppi più vulnerabili, come le famiglie con bambini piccoli o con condizioni mediche complesse, che soffrirebbero troppo nei detention centres.
Il livello di assistenza dato loro è di gran lunga maggiore rispetto a quello riservato ai richiedenti asilo col visto temporaneo e consiste in visite a casa, accompagnamento ai servizi, contatti settimanali ed educazione all’inserimento passo a passo. Essendo considerati detenuti, il livello di comunicazione e controllo col Dipartimento è molto elevato, rendendo spesso la tensione giornaliera alta e frustrante.
Problemi come il limitato uso della lingua inglese, la comprensione dei servizi, la socializzazione e la ristrettezza finanziaria, se già costituiscono scogli difficili per un qualunque migrante, possono infatti diventare barriere insormontabili per i richiedenti asilo
Gli utenti provvisti di “bridging visa” sono invece considerati capaci di vivere indipendenti nella comunità e in bisogno solo di un’assistenza limitata che consiste in un breve contatto mensile a un drop-in service per le emergenze.
In realtà le agenzie sanno bene che la richiesta di aiuto che arriva anche dal gruppo col bridging visa è molto alta, date le continue difficoltà che i richiedenti asilo incontrano nel quotidiano, sia per motivi finanziari che di adattamento. Alcuni utenti tendono infatti a presentarsi al drop-in service più volte a settimana perchè incapaci di sbrigarsela da soli.
Problemi come il limitato uso della lingua inglese, la comprensione dei servizi, la socializzazione e la ristrettezza finanziaria, se già costituiscono scogli difficili per un qualunque migrante, possono infatti diventare barriere insormontabili per i richiedenti asilo, spesso sofferenti di ansia dovuta all’instabilità della loro condizione e dal trauma dovuto alla loro storia personale.
Le organizzazioni si impegnano quindi a facilitare l’adattamento al nuovo contesto di vita ottimizzando le risorse disponibili, indirizzandoli a servizi di aiuto specializzato: counselling per trauma, servizi di aiuto medico per rifugiati, corsi per imparare a scrivere un CV e affrontare un colloquio di lavoro, corsi di inglese base, opportunità di volontariato, etc.
Come spesso succede, le risorse non bastano mai e dato che i numeri gestiti dalle organizzazioni sono molto alti (dai 70 a oltre 100 clients per operatore) il livello di supporto fornito può essere molto limitato, soprattutto per coloro in possesso di “bridging visa”, che hanno diritto a 2,5 ore di aiuto al mese.
Per fortuna la maggior parte del personale che lavora nel settore è decisamente appassionato e impegnato, e fa il possibile per offrire il miglior servizio, creando reti e link tra agenzie, sessioni informative ad hoc su temi di interesse, organizzando eventi e programmi di aiuto, spesso andando ben oltre ciò che è richiesto dal proprio ruolo.
Il lavoro nel settore è drammaticamente cambiato negli ultimi anni, dall’introduzione dei “detention centre offshore”, cioè non sul territorio australiano, ma sulle isole di Manus e Nauru e la politica di “non-resettlement”. I visti da rifugiati sono stati infatti annullati per chiunque sia arrivato via barca e abbia richiesto asilo dopo l’agosto del 2012. Molte famiglie e minori sono quindi stati sposati da Christmas Island (territorio australiano) a Nauru, e gli uomini su Manus island, in condizioni di vita da campo profughi.
la situazione dei richiedenti asilo resta un tema sconcertante, scottante e altamente politico
Questo ha creato un livello di ansia e instabiltà altissima anche tra quegli utenti che già vivevano nella comunità, ma rischiavano di essere deportati. Fino a qualche mese fa la restrizione di non poter lavorare aveva anch’essa aggravato la situazione mentale di molti che si vedevano abbandonati in una condizione di dipendenza dai sussidi e impotenza nell’attesa (spesso per anni) di essere processati per il visto. I servizi sociali e medici vedono tutt’ora i livelli di deterioramento della saluta mentale e fisica che questa politica punitiva ha portato aprendo un dibattito sulla funzionalità di un sistema che guarda solo al presente ignorando le conseguenze future. Aggiungere traumi a chi è già traumatizzato crea maggiore dipendenza dai servizi e incapacità di acquisire indipendenza in quella comunità dove comunque questa gente vive per anni in attesa di avere una decisione sulla richiesta di asilo.
Nonostante il grosso lavoro di sensibilizzazione ed advocacy fatto da gruppi di sostegno attivi nella comunità australiana, la situazione dei richiedenti asilo resta un tema sconcertante, scottante e altamente politico.
Le agenzie si trovano spesso in bilico tra promuovere silenziosamente i diritti dei propri clienti e assicurarsi di non perdere il lavoro. Per i professionisti coinvolti in questo settore la sfida è infatti di continuare a lavorare per un’agenzia che prende fondi governativi e deve quindi rispondere alle regole del gioco del governo o schierarsi coi gruppi di advocacy che però spesso si trovano distanti dalla realtà perchè al di fuori dei giochi. Dopo più di 4 anni nel settore mi piace pensare che, per quanto difficile, “stando nella tenda” posso vedere più chiaramente cosa sta succedendo e posso silenziosamente provare a modificare alcune piccole cose.
Silvia
Melbourne, Australia
Maggio 2016
Articolo curato da Barbara Amalberti (Barbaraexpat)
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