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cosa fai di bello

Con questo piccolo testo voglio inaugurare una serie di riflessioni sulla nostra condizione di donne espatriate. Spero vi divertano quanto a me diverte scriverli…

Claudiaexpat

 

Illustrazione di Antonella Antonioni

 

Siete a un cocktail: felici di uscire di casa dopo una giornata pesante, vi siete messe qualcosa di carino, e avete accompagnato il vostro compagno/marito a casa del collega o all’hotel tal dei tali, pregustando la gioia di poter conoscere nuove persone, chiacchierare con altre donne e respirare un po’ di aria nuova.

L’ambiente è vario, si parlano almeno tre lingue differenti, e sotto allo stesso tetto sono riunite minimo dieci diverse nazionalità (molto stimolante). Vi si avvicina un trentenne dall’aria aperta e intelligente, che con tono simpatico vi chiede da dove venite. Chiarite le vostre origini, girandogli la domanda, e rispondete alla seconda, e quasi sempre inevitabile, “da quanto tempo siete nel paese”. A quel punto arriva la domanda clou, LA FATIDICA, l’odiosa, quella col tempo imparerete a rifuggire, ad aggirare, ad ignorare, a disprezzare…

 

“cosa fai di bello?”

 

Le prime volte, statene certe, risponderete senza darvi troppo pensiero che siete lì con vostro marito, il quale lavora nell’azienda o nell’organismo tal dei tali. Quando al quarto cocktail avrete capito con certezza che a questa risposta segue un’immediata perdita di interesse da parte del vostro interlocutore, o che il soggetto in questione vede in quel momento esatto una persona dall’altra parte della stanza che sicuramente non vedeva da dieci anni, e che deve dunque precipitarsi a salutare, vi farete più furbe, o almeno ci tenterete. E alla fatidica, risponderete: “faccio un sacco di cose: sono nel comitato genitori della scuola dei miei figli, imparo a dipingere sul vetro, faccio volontariato in un orfanotrofio, frequento un corso di cucina hindù e imparo a parlare giapponese”.

La prima volta vi sentirete soddisfatte di voi stesse, anche perchè questa risposta vi aiuterà a ricordare quante cose effettivamente state facendo (roba che il vostro interlocutore non ci riuscirebbe mai, se avesse anche solo un figlio meno di quanti ne avete voi….), ma già la seconda capirete che neanche questa attacca. Alla vostra risposta seguirà un cortese: “ma vah?”, e vedrete l’occhio dell’interlocutore vagare con un guizzo al di sopra delle vostre teste, alla ricerca di una via d’uscita o di qualcosa di più interessante, magari un impresario del petrolio, o un funzionario delle Nazioni Unite.

Forti di questa esperienza, decidete di usare uno stratagemma. In fondo è vero, non guadagnate una lira, ma qualche cosa che per voi ha lo stesso valore di un lavoro la state facendo. Es: siete alla testa di un comitato di donne che ha dato vita a un importantissimo progetto di salute nell’ospedale più disastrato della città. Oppure traducete articoli su articoli per Amnesty International o per Survival, o ancora gestite qualche associazione per la difesa dell’ambiente, da casa vostra e con la vostra connessione Internet.

Decidete dunque di usare questa strategia: quando vi viene chiesto “e cosa fai di bello?” oppure, ancora più diretto, “e lavori?”, risponderete con aria di nulla che sì, lavorate a capo di un’importante organizzazione che protegge le foche grigie, oppure che traducete una media di cinquanta cartelle al giorno dall’inglese all’arabo e viceversa per un affermato organismo di difesa dei diritti umani.

A quel punto, se vi va bene, l’interlocutore si dimostra soddisfatto e passa a chiacchierare d’altro, e per quella sera potete magari arrivare a stringere una bella amicizia, ma se il vostro interlocutore è della specie pignola, o di quelli che rispetto alle mogli accompagnanti hanno il prosciutto sul cervello, allora vi chiederà: “e riesci a viverci?” oppure, più grossolano: “e ci guadagni?”. E lì, a meno di trasformarvi in spudorate bugiarde, dovrete stancamente ammettere che no, non ve ne viene in tasca proprio una lira….

A questo punto, dopo una media di dieci cocktail e altri eventi sociali dai quali uscite sempre piuttosto mortificata e ferita nel vostro amor proprio, potete scegliere varie strade…. ma non aspettatevi che nessuna di queste risolva completamente il problema. Se partire in espatrio a seguito del vostro compagno/marito vi porta, volenti o nolenti, a rinunciare alla vostra carriera, verrete automaticamente  “marcate” indipendentemente dalle strategie che decidere di scegliere.

Strategia n. 1: vi trovate un lavoro in loco o ve ne inventate uno online. Ci sono donne che hanno bisogno di lavorare, laddove per lavorare intendo occupare una posizione professionale retribuita in qualsiasi (o quasi) ambito, e che se non lo fanno si sentono frustrate e inutili. Se appartenete a questa categoria, e non avete ancora trovato lavoro, la fatidica vi risulterà ancora più indigesta. Consiglio dunque di smuovere mari, monti e laghi per trovarvi al più presto un lavoro.

Il che però potrebbe non essere così semplice: ammesso che la vostra posizione vi consenta di lavorare nel paese in cui risiedete, perchè purtroppo a volte gli accordi tra i governi e le varie compagnie, organismi e enti stranieri prevedono che le mogli a seguito non possano esercitare una professione in loco, dovrete trovare il giusto canale lavorativo. Innanzitutto c’è il problema della lingua: se avete la fortuna di dominare a un buon livello l’idioma del paese che vi ospita, siete già a buon punto, ma se vi trasferite, ad esempio, in Cina, e per lavorare dovete padroneggiare anche solo discretamente il mandarino, la faccenda già cambia. C’è poi il fatto che magari la vostra stessa formazione professionale può essere limitante: ad esempio, se siete architette, potrete felicemente lavorare nella ristrutturazione delle case (per dire), ma sarete magari tagliate fuori da tutto quello che è insegnamento, ambito aziendale, etc.
Inventarsi un lavoro online non è cosa che si fa dall’oggi al domani, ma soprattutto che frutta rapidamente. Potreste non aver dimestichezza con le nuove tecnologie, oppure avere una splendida idea e tutti i mezzi per realizzarla, ma nella migliore delle ipotesi resterete comunque per un lungo periodo in attesa di veder fruttare la vostra attività.

Poniamo comunque che tutte le insidie finora presentate non ostacolino la vostra ricerca di un lavoro o la creazione di un’attività online, e che troviate qualcosa da fare che vi piace e vi soddisfa. State pur certe che nel 90% dei casi, il vostro lavoro non soddisferà l’interlocutore. Perchè? Perchè nella mentalità corrente, i lavori che fanno le mogli a seguito, e che vengono trovati successivamente al trasferimento sul posto, sono lavori di seconda classe: il LAVORO vero, quello solido, ben pagato e continuato nel tempo, è quello di vostro marito. Però per carità! Poter rispondere alla fatidica dicendo che lavorate in modo retribuito, è già un bel passo avanti!

Strategia n. 2: imparate a fregarvene dell’opinione altrui. E’ questo un discorso molto vasto e che andrebbe forse trattato in altre sedi, anche perchè esula dalle tematiche puramente legate all’espatrio, per coinvolgere l’immagine della donna nella società, la nostra autostima, il nostro ruolo in seno alla famiglia, etc. In generale diciamo che questa è la tattica che meglio funziona se siete persone che vivono l’espatrio con serenità e convinzione indipendentemente dalla vostra collocazione professionale. Per esperienza diretta e dopo aver parlato con un campionario realmente vasto di donne a seguito, mi sento però di affermare che il disinteresse delle persone di fronte al fatto che non si lavora e quindi non si percepisce uno stipendio, è quasi sempre motivo di umiliazione e frustrazione, anche se temporaneo. Ci vuole un’esperienza corroborata e una grande forza di carattere per non farsi intaccare dall’atteggiamento di chi perde interesse all’immediato di fronte a una donna che è all’estero per accompagnare il proprio marito. E questo ci porta alla :

Strategia n. 3: decidete di intraprendere una crociata in favore delle mogli accompagnanti e alla prossima occasione nella quale vi verrà rivolta la fatidica, partirete al contrattacco con una filippica assordante sul ruolo che ricoprite, i suoi vantaggi e svantaggi, etc.
E’ pur vero che finchè non troviamo la forza di rompere i clichés che ci etichettano e limitano, e di clichés sulle mogli accompagnanti ce ne sono davvero a bizzeffe, non vedremo grandi cambiamenti negli atteggiamenti che la gente ha nei nostri confronti. Accompagnando il proprio marito all’estero si ricade per forza di cose in un ruolo classico, che in Italia ormai è visto come desueto e non moderno: si torna cioè ad occuparsi dei figli e della casa a tempo pieno, rivestendo quel ruolo di angelo del focolare contro il quale abbiamo magari lottato con i denti quando eravamo in patria. Ci sono però degli elementi che fan sì che questo ruolo all’estero ricopra un’importanza differente. La presenza della madre diventa ad esempio fondamentale per i figli nel momento in cui cambiano paese e si scontrano con una nuova lingua, una nuova cultura, un nuovo ambiente, e si devono riformare da zero un gruppo di amici. Questo non è certamente il caso quando si vive in modo continuato in Italia, con la famiglia, gli amici, gli usi, e la cultura che non cambiano mai.

Quando parlerete con la gente troverete immediata comprensione su questo argomento, tant’è che verrà liquidato in modo abbastanza spiccio, sottintendendo che non è necessario spiegare troppo a fondo quanto sia complesso l’adattamento dei figli a un nuovo paese, e quanto sia importante il ruolo della madre in queste fasi, perchè è perfettamente comprensibile. La realtà è che purtroppo chi non ci passa direttamente e in prima persona non può capire neanche lontanamente cosa ciò significhi e implichi. E questo succede purtroppo anche a chi vive delle esperienze all’estero, ma non ha figli, o, in casi disperati, anche a dei padri che vivono all’estero ma hanno un lavoro che li assorbe talmente tanto da non lasciar loro spazio per percepire quello che accade nella loro famiglia. Quindi non è tempo sprecato cercare di portare l’attenzione sull’enorme quantità di tempo, dedicazione, energia e impegno che le madri devono mettere in conto all’arrivo in un nuovo paese.

Ma arriva il momento in cui i figli sono ambientati, e si sono creati un loro giro di amici e di attività, che sollevano parzialmente la madre dall’impegno che caratterizza tutto il primo periodo. Oppure si dà anche il caso di donne che accompagnano i loro mariti e non hanno figli, e pur disponendo di una grande quantità di tempo, decidono di non lavorare per dedicarsi ad altre cose. Quello che bisogna cercare di comunicare in modo più diretto possibile alla gente è il fatto che l’esperienza all’estero è già di per sé una formazione e un momento di arricchimento culturale e professionale e di preparazione a future situazioni della vita. Non è necessario lavorare a stretto contatto con la gente e percepire uno stipendio per crescere, imparare, progredire e scoprire. Non è tassativo occupare un posto di lavoro fisso e in un ambito definito per poter esprimere la propria creatività e la propria voglia di fare.
Se incappate dunque in un interlocutore che vi sembra particolarmente sensibile e di spirito aperto, non esitate a parlargli del vostro ruolo e di come vi sentite in quanto moglie accompagnante che non lavora. Sicuramente gli aprirete nuovi canali di riflessione, e a poco a poco contribuirete a cambiare questa odiosa e appiccicosa immagine di donna che passa il tempo a bere té con le amiche e va, elegantemente vestita, a regalare scarpe smesse ai bambini poveri.

 

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Articolo senza scadenza

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