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Claudiaexpat, luglio 2009
Traslochi internazionali: una sfida all’equilibrio famigliare
Omeostasi
Il sistema nervoso viene “informato” di quello che succede da segnali provenienti sia dall’ambiente interno che da quello esterno. Interviene nel processare tali segnali con le sue capacità innate e con quelle apprese. Tutto ciò al fine di mantenere quella che Claude Bernard ha definito “la permanenza delle condizioni vitali nell’ambiente interno”, che, a sua volta, Walter Cannon ha descritto come una funzione di automantenimento o omeostasi, e Sigmund Freud come “principio del piacere” (Fonte, 1998).
Il concetto di omeostasi si rifà all’idea che una famiglia riesca a mantenere costanti nel tempo le sue condizioni di equilibrio. Queste condizioni, o modi di equilibrio, come abbiamo visto, sono particolari per ogni famiglia.
Nel capitolo precedente sono anche state analizzate le crisi nei cicli vitali famigliari. Di fatto durante il ciclo vitale famigliare si manifestano vari eventi che agiscono sull’equilibrio famigliare ed esigono meccanismi di adattamento per recuperarlo.
La stabilità più il cambiamento danno l’equilibrio del sistema. L’omeostasi viene mantenuta attraverso una retroalimentazione negativa, intesa come una forza frenante, ostacolatrice, paralizzante o disturbante nei cambiamenti. D’altro canto troviamo anche una retroalimentazione positiva. In questo caso si tratta di una forza facilitatrice, energizzante, promotrice di cambiamenti e di movimenti.
Ci sarebbero dunque due forze: una verso il cambiamento e l’altra verso la stabilità, le quali insieme, alternativamente, rendono possibile la crescita.
Una famiglia in omeostasi costante produrrebbe una rigidità assoluta nella sua struttura, impedendo lo sviluppo dei suoi membri. Paradossalmente i ritmi famigliari destinati originalmente a conservare l’equilibrio rendono impossibile, in un secondo momento, la crescita dei suoi membri, dato che mantengono rigidamente lo status quo.
Quindi il cambiamento richiede che la famiglia abbandoni momentaneamente questo stato di omeostasi, in modo che, una volta prodotto il cambiamento, si ricrei un nuovo equilibrio. Da questo processo dinamico di cambiamento ed equilibrio si avanza in un movimento dialettico crescente, verso uno stato di maggiore crescita e di sviluppo famigliare.
In cambio, la mancanza di omeostasi porterebbe il sistema a uno stato di caos. Movimento permanente, senza alcun equilibrio, senza riposo, senza pause. Si potrebbe fare un’analogia di questo “stato” di una famiglia con le relazioni lavorative. In questo caso la mancanza di omeostasi si tradurrebbe in un lavoro senza vacanze, nè domeniche, nè riposi.
I cambiamenti sono provocati da stimoli. Ci sono stimoli dal mondo interno, dal mondo famigliare, e dal mondo esterno. Alcuni eccedono la nostra capacità di adattamento. E’ in questo momento, quando la nostra possibilità di risposta si incontra alterata, che ci troviamo di fronte al fenomeno chiamato stress.
Quello dello stress (stress, distress) è un concetto relativamente nuovo, che riguarda l’era moderna. Ci sono molte definizioni di stress:
“Stress è il risultato della relazione tra l’individuo e l’ambiente. Da lui valutato come minaccioso, che va al di là delle sue possibilità per via della richiesta di troppi compiti, ruoli interpersonali e fisici. E pone in pericolo il suo benessere” (Lazarus e Folkman, 1986).
“Stress è la somma delle tensioni mentali e fisiche alle quali ci sottomette ognuna delle circostanze della nostra vita – dalla nascita alla morte -, obbligandoci a reagire in qualche modo, sia che dette circostanze rappresentino fatti desiderabili e benefici o indesiderabili e pregiudicanti” (Springer, 1977).
Di fronte alle esigenze o situazioni troppo minacciose, oggettive o percepite come tali, l’organismo risponde con un’attivazione generale, denominata da Seyle “sindrome generale di adattamento”, che tenta di mobilizzare le risorse necessarie ad affrontare la minaccia. Questa condizione è quella che si definisce “stress”. Lo stress serve da motivazione per il superamento di ostacoli, tuttavia la presenza continuata di un agente stressogeno può esaurire le energie del soggetto, facendolo sentire troppo stimolato, e passando in questo modo dallo stress allo stress acuto o al distress (Silpak, 1991).
Etimologicamente il termine stress significa tensione, e viene utilizzato per descrivere una varietà talmente grande di stati patologici che si è convertito in un concetto troppo vago e ambiguo. Non per questo però smette di essere utile. Soprattutto quando si parla di traslochi.
Oltre all’enorme quantità di definizioni dello stress, c’è anche una grande gamma di scale per situare gli agenti stressogeni più devastanti e causa di questo shock psichico e fisico. Le scale degli agenti stressogeni vengono definite in base alle esperienze e alla personalità del soggetto vittima del collasso psichico. Ad esempio la scala Jamer (1998) indica che i traslochi sono la terza causa di stress dopo le perdite (principalmente morti di essere amati) e i divorzi, che si incontrano rispettivamente al primo e secondo posto.
La famiglia si sente più sicura in quello che conosce, nei suoi ritmi di funzionamento, nei suoi modelli di reazione. Questi ritmi, modelli e modalità derivano sostanzialmente dalla propria dinamica interna, ma sono anche soggetti a una dinamica esterna.
Il luogo dove abita una famiglia è determinante per questi modelli, modalità e comportamenti. La differenza tra cosa è normale e cosa non lo è può variare molto da una cultura all’altra. Ciò che è considerato normale da una cultura può essere molto mal visto da un’altra.
Josefina M., arrivata in Egitto, vide con orrore come la signora che stirava bagnava le sue camicie sputandoci sù l’acqua dopo averla messa in bocca; questo le causò un tale senso di estraneità da discompensarla completamente; non riusciva a comprendere e ad accettare che in quella cultura quest’azione fosse considerata accettabile e non un atto di aggressività o attacco personale, come lo visse lei. Disperata, chiamò il marito, che dovette precipitarsi a soccorrerla e a calmarla, dato che si trovava in stato di shock.
E’ per questo che la omeostasi famigliare si trova tanto minacciata dovendo affrontare lo stress del trasloco. Nel momento specifico del trasloco la sicurezza e l’autostima possono sentirsi minacciate, per tutti gli integranti della famiglia, in misura minore o maggiore. La sensazione più specifica di fronte all’esperienza della migrazione è la vulnerabilità.
Monica C., madre di due bambini di 7 e 9 anni, raccontava che prima di ogni trasloco “entrava in panico”, con forti emicranie che non aveva in altre occasioni, e sentiva che il suo destino nella vita era minacciato:
“Quando arriviamo in un nuovo paese è come se fossimo analfabeti, non sappiamo niente delle abitudini, del cibo, etc. Sembriamo idioti, parliamo male, non capiamo le battute… Non riesco a sopportare l’incertezza che mi provoca il cambiamento, non sapere dove vivrò, a che scuola manderò i miei figli, se capirò la lingua…. Prima di ogni trasloco sento come un terremoto sotto i piedi…”.
Lo “stress famigliare” si definisce dunque come uno stato derivante dallo squilibrio, reale, tra la domanda (trasloco internazionale) e la capacità di soddisfarla (risorse, gestione della situazione), nel funzionamento di una famiglia.
Nei periodi di elevato livello di stress è più probabile che le persone usino reazioni più antiche e conosciute, anche se non sono le più adeguate alla situazione attuale. Questo accade, in generale, perchè le vecchie reazioni forniscono la protezione necessaria alla delicata situazione. Nel caso di un trasloco, equivarrebbe a controarrestare l’incertezza di un nuovo luogo, muovendosi in uno “spazio simbolico protetto”.
Nel normale sviluppo di una famiglia la crescita include la perdita di vecchi modelli di relazione e l’acquisizione di nuove conoscenze.
Quando la famiglia M. arrivò a Singapore, Mario (14) e José (13), che nel paese anteriore, la Francia, tornavano a casa da scuola da soli, dovettero tornare a dipendere dalla madre che li portava e tornava a riprenderli. In questo modo erano tutti più tranquilli. Sia i figli che la madre trovarono naturale questa soluzione. In Francia l’avrebbero vissuto come una retrocessione, ma a Singapore lo vedevano come un passo avanti di fronte al timore verso ciò che non conoscevano.
Questo significa che, di fronte a quanto è minaccioso in una nuova realtà, tornare a una risposta anteriore porta sollievo. Di fronte all’estraneità completa di nuovi cammini, si riconosce nel simbolico una strada conosciuta, sicura e tranquillizzante. Il cammino della risposta che solleva dalla vulnerabilità insita nel trasloco.