Ringraziamo Antonella, antonellaa sui forum, socia onoraria di Expatclic e da sempre grande ed entusiasta sostenitrice del sito, per questa riflessione sulla casa, ricca di spunti e di idee per continuare le nostre discussioni su cosa è casa secondo noi espatriate. Grazie Antonella!
Premessa: quello che segue non è un noioso saggio di storia e antropologia ma solo una strada per raccontarvi la mia esperienza di casa. Una riflessione sulla casa declinata alla nostra situazione di espatriate.
La casa è per gli esseri umani ciò che per gli animali è la tana, il nido. L’esigenza di un rifugio o di un riparo di un luogo sicuro dove riposarsi, ripararsi, mettere su famiglia è comune a uomini ed animali.
Nei disegni dei bambini la casa non assomiglia alla casa reale ma ha un significato simbolico legato alla famiglia e alla personalità, Il disegno di una casa senza tetto e magari con la pioggia rappresenta la sensazione di non protezione.
Per gli esseri umani la casa è un bene primario e per la maggior parte di essi corrisponde a un edificio, un bene “IMMOBILE” per la precisione. Per alcuni rappresenta uno status symbol, come una bella macchina, da mostrare agli altri. Un segno della propria affermazione sociale. La casa contiene poi mobili e oggetti utili e inutili.
A proposito di oggetti che ci circondano ecco un esempio tra quello che contengono le nostre case oggi e quello che contenevano le case qualche secolo fa. Confrontate il collage sempre attuale di Richard Hamilton del 1956 “Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?» (cosa rende una casa di oggi così diversa, così attraente?) e il quadro di G.M. Crespi della servetta con un angolo di cucina del 1700. Gli oggetti che ci circondano e di cui ci circondiamo vengono investiti di un significato simbolico e affettivo quasi magico che può dare sicurezza e rappresentare un legame affettivo (i gioielli della nonna) .
L’uomo non ha sempre vissuto in case “immobili”. Il passaggio da cacciatore, raccoglitore nomade ad agricoltore sedentario segna una tappa dell’evoluzione dell’uomo.
L’essere nomade al giorno d’oggi può avere due connotazioni: una negativa relativa agli zingari, ai senza fissa dimora, a popolazioni considerate primitive, o positiva come ricco viaggiatore come possessore di più case in giro per il mondo, e avventuriero romantico e selvaggio o “diverso” come i personaggi del Circo.
Per me la casa come edificio, appartamento o villa che sia ha sempre avuto un grande difetto: l’immobilità e il suo essere sempre uguale.
Questa poca affezione all’idea di casa propria ha cominciato a manifestarsi quando raggiunta l’età adulta sentivo parlare gli amici di mutui decennali o ventennali per una casa e mi suonava come autocondanna ai lavori forzati e alla reclusione a vita.
Il sentimento di evasione è stato sempre presente, forse perchè, nonostante abitassi in un appartamento grande con i miei, non mi sentivo a casa mia e neanche con “una stanza tutta per me”.
La presa di coscienza sulla mia vera natura di nomade comiciò a fare capolino quando iniziai a leggere brani dalle “Vie dei Canti” e “Anatomia dell’irrequietezza” di Bruce Chatwin . Fu nello stesso periodo in cui conobbi quello che sarebbe diventato mio marito. Lui si era appena separato e viveva in uno spazio ristretto.
Nei libri di Chatwin si parla della natura dell’uomo e del suo legame con gli oggetti. Chatwin sostiene che in qualche maniera il possesso di troppi oggetti e l’essere legato ad essi ostacola l’uomo nella sua natura di nomade e quindi lo rende frustrato e incline a malattie. Egli stesso aveva quindi deciso di sbarazzarsi di tutto ciò che non gli serviva e limitarsi a tenere solo il’indispensabile, anche solo in ragione dei suoi viaggi.
Tra i primi cambiamenti in conseguenza di tutto ciò vi fu il grande ripulisti che feci nella mia stanza e nella mia vita. Lentamente, a partir da quel momento la mia vita cominciò a muoversi e con essa le mie quattro carabattole.
Da quel momento ho fatto dei ripulisti periodici, diciamo ogni anno ad agosto, fino all’ultimo molto veloce, forse troppo, con annesso trasloco prima della partenza per la Malesia.
Questa ha coinciso con il trasferimento di parte delle mie cose nella nuova casa di mio marito e in parte dai miei. Fino a qualche mese dopo il mio arrivo in Malesia avevo gli incubi del tipo dove ho messo questo e dove avrò messo quello… e quest’altro l’avrò buttato o no?
La casa in Malesia non era molto personalizzata (eravamo nell’appartamento arredato di un residence) ma non ci interessava neanche più di tanto perchè lo sentivamo come un luogo di transizione.
Quando abbiamo lasciato la Malesia in fretta e furia ho dovuto selezionare poche cose, farle stare nelle tre valigie e buttare il resto o quasi. Ad Abu Dhabi invece abbiamo arredato l’appartamento ma niente o quasi dei mobili esistenti ci seguirà negli spostamenti.
Tutte le volte che vado a casa di qualcuno, soprattutto espatriati, mi guardo intorno e mi chiedo se effettivamente si porteranno dietro tutte quei ninnoli o oggetti d’arredo, quadri, mobili etc. Un’altra cosa che non mi spiego è come si fa ad avere una casa che sembra uscita da una rivista, non tanto per l’ arredo pregiato ma per la totale assenza di tracce umane, tipo scarpe in giro, giacche appese, chiavi sui ripiani, bottiglie o bicchieri.
Tutti questi movimenti veloci e il fatto di non avere mai un posto grande abbastanza per contenere tutti i miei beni, mi ha dato sempre un pò di inquietudine, soprattutto per due motivi: primo perchè le cose a cui sono più legata sono i miei libri e secondo perchè vorrei che stesse tutto dentro un unico contenitore e non pensarci più.
Sono condannata invece a riorganizzare e risistemare sempre tutto affrontando continuamente la faticosa scelta di cosa tenere e cosa buttare. Ma sto divendando brava e sempre più essenziale in questo.
Il 2012 è un anno di grandi cambiamenti, soprattutto cambiamenti imprevisti. Il più grande desiderio della mia vita – girare il mondo – si sta realizzando, ma non avevo considerato a quale velocità e che per questo una casa intesa come bene immobile è una zavorra o una complicazione. Ancora una volta si tratterà di riorganizzare e impachettare il tutto per rendere più snello il cammino per un nuovo viaggio.
Concludo con una leggenda indiana:
c’era una volta Napi, che era l’aiutante del Sole: il Sole riscaldava la Terra mentre Napi faceva tutti i lavori di manutenzione. Un giorno Napi aveva terminato presto i suoi lavori, e dato che non era abituato a tenere le mani ferme, prese un blocco di argilla e cominciò a modellarla. Una dopo l’altra fece le figurine di tutti gli animali della Terra. Era molto soddisfatto del suo lavoro: soffiò sopra ogni figurina, dando a ciascun animale un nome e un luogo da popolare sulla Terra. Era rimasto un piccolo blocchetto di argilla. Napi lo pasticciò un po’, poi fece un’altra figurina e disse: “Ti chiamerai uomo, ed abiterai tra i lupi”. Napi tornò al suo lavoro, ma un giorno arrivarono gli animali a protestare: il bisonte non riusciva a vivere in montagna perché era troppo ripida, le capre della prateria non amavano vivere nell’acqua, la tigre non si adattava vicino al mare e così via. Allora Napi ridiede a tutti nuove abitazioni, e questa volta furono tutti soddisfatti. Tutti, tranne l’uomo, che vaga dappertutto per trovare un luogo che lo soddisfi.
Antonella
Abu Dhabi
Marzo 2012