Home > Asia > India > La mia vita in Kerala: la storia dell’italiana Mara

Siamo davvero felici che Mara, che vive in Kerala, abbia sentito che era giunto il momento di tirare le somme del suo espatrio in questo paese a noi così poco conosciuto – e che abbia deciso di farlo con Expatclic ! Perchè come leggerete, il suo articolo è scritto con profonda sincerità e trasparenza. E’ il racconto di una donna che non ha paura di guardare il suo disagio, il suo sentimento di inadeguatezza, ma che non teme nemmeno l’affrontarlo. Una donna che sa cogliere i momenti della vita per quello che sono, e li sa tessere in un disegno più grande, in un senso più ampio. Così Mara ci racconta di sè, del suo arrivo, del suo lento ambientamento, e del suo nuovo rapporto con il paese che l’ha accolta e al quale ha intrecciato il suo destino. Con un quadro realista e appassionante del paese. Un GRAZIE davvero di cuore, Mara, e tantissimi auguri per il tuo futuro!!!

 

Dopo lunghe riflessioni eccomi qui a scrivere la storia del nostro espatrio da Torino alla città di Cochin, Stato del Kerala – India, e la mia vita in Kerala. Non sono stata un’expat serena per molto tempo: l’idea che mi ero fatta dell’India vivendo in Italia si rivelò profondamente diversa dalla realtà in cui mi trovai all’improvviso; la cultura, gli usi e costumi, il clima umido, le abitudini alimentari, non fecero che peggiorare la mia sensazione di straniamento.

Un giorno però, grazie all’infinita pazienza di mio marito e alla mia voglia di imparare qualcosa sempre e comunque, ho finalmente raggiunto un mio equilibrio, sto camminando con determinazione lungo il percorso assegnatomi dal destino, ho smesso di cadere, ma se tuttora guardo giù so che sto comunque camminando su una corda molto fine.

vita in kerala

La laguna di Cochin

Quando lasciammo il gelo torinese, all’alba del 28 dicembre 2008, della nostra destinazione avevamo nozioni approssimative, frutto di alcuni viaggi in visita parenti e ricordi lontani di infanzia, quando mio marito, nato e vissuto a Nuova Delhi fino all’età di vent’anni, soleva venire in Kerala per trovare la nonna e la famiglia d’origine, in occasione delle vacanze estive. Fu mio suocero ad accoglierci il giorno dell’arrivo e, con evidente emozione, ci guidò all’appartamento selezionato ed arredato da lui con cura minuziosa nelle settimane precedenti.

Ricordo il nostro primo giorno a Cochin, insieme ai molti a seguire, con un vortice di sensazioni contrastanti ed un senso di vuoto nell’anima per il trovarsi a metà tra la vita appena impacchettata in Italia e la nuova vita in Kerala tutta da incominciare. Mi guardavo intorno, osservavo con occhi terrorizzati questo paese che qui viene chiamato “God’s own country” per via della sua bellezza naturale che i miei occhi tristi non vedevano: i miei sensi occidentali coglievano solo gli odori forti, i rumori frastornanti, il caos dei clacson ed esseri viventi che brulicavano per le strade sovraffollate, le infrastrutture assenti o pericolanti, la sporcizia.

Una delle spiagge

Impiegammo i primi due mesi ad ambientarci e girovagare come due alieni disorientati, guidati da un autista di auto-rickshaw, Johnson, che con la sua vespetta ci fece fare le incursioni più improbabili in luoghi dalla bellezza mozzafiato, come il lungomare al tramonto, le isole che, come gemme, impreziosiscono il golfo di Cochin e la roccaforte antica di Fort Kochi fondata dai portoghesi nel corso del 1500.

Visitammo altresì luoghi maleodoranti e di aspetto fatiscente, come l’Ernakulam market, che tuttavia dipinge un quadro molto nitido della vita quotidiana, e soprattutto rappresenta un enorme calderone dove è possibile trovare di tutto un po’. Spendemmo un’infinità di tempo e tutta la nostra pazienza nel capire dove fare la spesa e dove trovare tutto ciò che ci serviva; ricordo la frustrazione e la rabbia per gli innumerevoli viaggi a vuoto e le ore passate nel traffico e nei clacson, il senso di sconfitta per non aver trovato ciò che cercavamo, la lista della spesa lasciata in gran parte incompiuta, le mani nere per la polvere accumulata sugli oggetti nei piccoli supermercati, l’incomprensione della gente locale di fronte alle nostre richieste, che a noi sembravano così scontate.

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Pranzo durante una tipica riunione di famiglia

Imparai presto a cucinare il cibo locale, visti gli innumerevoli tentativi sprecati di trovare i “nostri” sapori. Mi ritrovai a dare in escandescenze o scoppiare in pianti improvvisi quando non trovai dei banalissimi guanti in gomma per lavare la montagna di piatti che, cucinando indiano, si è costretti a sporcare; oppure per la farina che, non essendo raffinata come da noi, non mi permetteva di fare una semplice torta margherita.

A febbraio 2009 iniziammo a lavorare per l’hotel appartenente alla stessa catena americana per cui lavoravamo già a Torino. Capii allora cosa significa essere vittima di parole come “pregiudizio” e “preconcetti”: qui si pensa che tutti gli europei siano come nei film occidentali, ossia privi di valori e molto arroganti. Per molti giorni fui lasciata da sola e senza guida nella hall e anche i rari tentativi di approccio da parte del mio responsabile furono buchi nell’acqua perché non ero in grado di capire una sola parola di quanto tentasse di dirmi nel suo inglese con fortissima cadenza malayalam (la lingua locale).

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L’hotel nel quale lavoriamo

Un giorno, durante una conversazione con una collega manager, fu dato per scontato che noi europei mangiamo solo toast, a colazione pranzo e cena e che quindi dovevo proprio essere fortunata a non avere l’onere di cucinare! Insomma attraversai tempi duri all’inizio della mia vita in Kerala, e le lunghe ore di lavoro che si era obbligati a trascorrere in hotel non aiutavano di certo. Che fosse alta o bassa stagione, bisognava comunque far presenza per almeno 10 ore ogni giorno, per 6 giorni alla settimana.

La nostra vita privata ne risentì non poco e diventammo malamente gelosi della domenica, l’unico giorno di libertà. Ricordo che se qualche parente aveva la brillante idea di venire a farci visita – ovviamente senza avvertire, come si usa qui – mi infuriavo e mi sentivo rubare l’ossigeno dai polmoni perché in quell’unico giorno dovevamo dedicarci alle pulizie di casa, alla cucina, al bucato, alla spesa settimanale e magari al riposo. Ci sentivamo intrappolati in un sistema di lavoro-casa senza sosta e senza svago perché qui chi si ferma lo fa solitamente la domenica, che è una giornata dedicata alla famiglia, alla chiesa o tempio che sia, ad un buon pranzo, siesta, tè e snacks alle cinque e via si ricomincia con un nuovo lunedì.

Rinunciammo così alle nostre gite in moto, in bicicletta, ai ritrovi con gli amici, le passeggiate in centro. Ci ritrovammo presto a dover abbandonare molto di ciò che costituiva le nostre abitudini e che tutto sommato ci rispecchiava. Feci per la prima volta shopping di capi d’abbigliamento in Sri Lanka, durante le vacanze natalizie del 2009, perché qui, ancora oggi dopo due anni, non ho mai trovato nulla all’infuori di saree e kurta pijama.

Simone

Il tempo passò velocemente in questo vortice frenetico di lavoro-incombenze domestiche-lavoro finché un bel giorno scoprii che presto saremmo diventati genitori. Non ebbi molti dubbi: questo remoto angolo di mondo si era portato via tutto ciò che ero ma compresi improvvisamente che mi stava rendendo molto più di ciò che si era preso, mi stava dando un figlio e la gioia di diventare madre.

Iniziò così una sorta di accettazione, di rivalutazione, di voglia di ampliare i propri orizzonti, aprire gli occhi, abbandonare i sensi e lasciare che la muraglia che avevo costruito attorno a me, per il dolore della perdita di me stessa, si sgretolasse a poco a poco.

Smisi di prendermela con tutti perché non trovavo gli oggetti a cui ero abituata, perché la gente non parlava un inglese comprensibile, perché non potevo camminare per strada vista l’assenza di infrastrutture adeguate o perché, durante le conversazioni, molti uomini ne approfittavano per pulirsi narici o schiarirsi la gola con tanto di espulsione in diretta del corpo del reato.

Lasciai che la vita in Kerala a poco a poco entrasse dentro di me e imparai a capire e rispettare, anche se ammetto che ancora oggi non comprendo e non tollero molti aspetti di questa realtà che, nell’ampiezza massima del suo sviluppo economico e sociale, mantiene ancora molti atteggiamenti così vicini alla natura da risultare quasi selvaggi.

Ma si sa, l’India è il paese delle contraddizioni e il Kerala, pur nella sua unicità, non poteva essere da meno. Ecco che cosa ho imparato quando ho smesso di guardare tutto con gli occhi occidentali che qui erano solo in grado di giudicare in base all’apparenza cogliendo i soliti stereotipi banali di caos, sporcizia, spiritualità e povertà.

Il Kerala è l’unico stato al mondo dove sia mai stato eletto democraticamente un primo ministro comunista, la politica è una fede e se da un lato prevede scioperi che paralizzano per giornate intere qualsiasi tipo di attività, dall’altro ha garantito il raggiungimento del 91% di alfabetizzazione (il più alto in tutta l’India). E’ uno stato multiculturale che affonda le proprie radici in epoche antiche di grandi scambi commerciali con le civiltà più vetuste e colonialismo europeo. Ad oggi permane un ventaglio di diversi credi religiosi quali, Induismo, Cristianesimo, Islamismo ed Ebraismo; ciascuna comunità è profondamente tradizionalista ma vive seguendo i dettami della propria fede con un rispetto reciproco incredibile. La tradizione ed il rispetto per i valori sono concetti molto forti e sentiti nel cuore di ciascun “Keralite”.

vita in keralaLa famiglia è il punto di partenza e di arrivo per ciascun individuo, che viene cresciuto e curato con l’aspettativa di restituire un giorno le stesse cure ai genitori anziani e bisognosi. L’educazione è garantita a tutti, maschi e femmine, ed è considerata la chiave del successo di domani. I matrimoni sono quasi sempre combinati perché si tratta di veri e propri investimenti finanziari volti a garantire il benessere dei figli per tutta la loro vita. La famiglia della donna porta sulle spalle l’onere della dote dal cui valore dipenderà il livello sociale del futuro marito. La figlia femmina sarà destinata, una volta sposata, a lasciare la propria famiglia di origine ed entrare nella famiglia del marito prendendosi cura dei suoi genitori come se fossero i propri.

Le famiglie allargate sono una realtà ancora molto frequente. La figura della donna è controversa: raggiunge un livello di educazione e cultura molto elevato a cui spesso però non segue un risvolto professionale perché la donna gioca un ruolo sociale fondamentale, perno attorno al quale si struttura la famiglia.

Il Kerala è una terra dai valori forti, ma le emozioni sono tenute racchiuse nelle mura domestiche e poco trapela in pubblico. La società ha un grande peso morale e molte scelte vengono fatte in nome del perbenismo e delle regole non scritte.

La povertà è ai minimi livelli grazie alla posizione strategica dello stato, che ha sempre garantito la possibilità di ottimi scambi commerciali.

La vicinanza degli Emirati Arabi ha inoltre fatto sì che molti capifamiglia vi trovassero occupazione per poter mandare i salari in diram alle famiglie a casa e guadagnare sul cambio valuta. Il mercato dell’oro è altrettanto fiorente e i negozi che lo commercializzano sono frequenti quanto i bar nel nostro paese. Molte volte però non si tratta di semplici botteghe ma di veri e propri palazzi dove ciascun piano è dedicato ad una tipologia diversa di gioiello.

Abbiamo imparato ad aver fiducia negli ospedali perché ho portato avanti la mia gravidanza qui dando alla luce nostro figlio nell’ospedale della città. Tutto a pagamento, visto che la sanità è privata, ma un’assistenza impeccabile, una pulizia immacolata ed una squadra di ostetriche e infermiere amorevoli come mamme.

Noi tre

Abbiamo imparato a fare la spesa, aiutati anche dal fatto che la città di Cochin è come un enorme elefante che lentamente si sta destando dal torpore ed incamminando verso un rapido sviluppo. In due anni sono spuntati come funghi centri commerciali di stile occidentale ma non è ancora stato raggiunto il livello esagerato di consumismo tipico dei nostri paesi “civilizzati”.

Abbiamo anche imparato a divertirci capendo che lo svago qui non è da concepire come un’attività da incastrare per forza nei sabati sera o nei week-end. Basta uscire dalla città per trovarsi immersi in spettacoli naturali di una bellezza incredibile e, incastonati qui e là, resorts di tutti i livelli e stili dove potersi concedere delle fughe romantiche e rilassanti all’insegna di massaggi ayurvedici, attività sportive, passeggiate ed esperienze con la fauna locale. Non ci sentiamo più frustrati perché non possiamo bere una birra in molti dei locali pubblici, d’altronde sono limiti imposti dalla società per preservare le famiglie da immagini negative.

La maggior parte dei keralites non parla un buon inglese…ma lo parla! Una volta imparato a riconoscere l’accento il gioco è fatto. E anche se chiunque ti incontri desideri innanzitutto chiederti sempre le stesse cose – da dove vieni, cosa fai, dove lavori – non è sempre per giudicarti ma a volte è benevola curiosità visto che non sono abituati ad europei residenti qui.

Non ci sentiamo più soffocare per l’impossibilità di camminare, muoversi in città o fare del buon jogging: pensandoci bene e guardando il traffico, l’idea di un autista sempre a disposizione non è così male e per lo sport basta trovare casa in una delle decine e decine di grattacieli in continua costruzione che, se da un lato alimentano una speculazione edilizia massiccia, dall’altro sono dotati di comfort come gas centralizzato e piscina e/o palestra su terrazze con vista su distese infinite di palme e la laguna di Cochin.

Se dovesse mai capitarvi, ricordate di cercare casa a Cochin scegliendo un appartamento in questi nuovi grattacieli, sceglietelo in alto per godervi il panorama ma attenzione, lontano da strade a scorrimento intenso e lontano, lontanissimo dai templi a meno che non vogliate godervi i canti liturgici hindu che iniziano alle 5 del mattino e durano almeno un’ora, e i comizi politici che vengono sempre organizzati nei cortili fronte tempio…chissà,  forse per guadagnarsi l’approvazione “divina”.

Con la mia barricata, sono caduti anche molti dei pregiudizi che si annidavano nelle menti dei locali e posso dire che sto riscontrando un’accoglienza ed un calore umano a volte commoventi. In fin dei conti qui vige la filosofia del “Esiste sempre una soluzione, mai andare nel panico, se non si risolve oggi lo si farà domani, a tutti è concessa una seconda possibilità anche in caso si sbagli”.

Non conosco il domani e non so con esattezza per quanto tempo durerà ancora la nostra vita in Kerala ma oggi so come affrontare ogni nuovo giorno che avrò la fortuna di vivere. Ho imparato a non costruire più muri tra me e la realtà esterna, qualunque essa sia, a vivere e lavorare in un paese dove non ho trovato nulla, ma proprio nulla, di simile ai miei precedenti 30 anni di vita in Italia, a tollerare anche gli aspetti più beceri e incomprensibili di questo mondo. La parola chiave è Amore; l’amore per mio marito e la nostra piccola famiglia e poi, l’amore per mio figlio che nascendo qui, mi ha legata per sempre a questo angolo di mondo, così lontano da me ma ora così vicino.

Spero di avervi dato un’idea chiara di cosa sia il Kerala: parlare di India è tutt’altro che affar semplice e dare ordine ai pensieri e alle sensazioni provate nel corso di questi due anni è impresa ancor più ardua. Ma una cosa è certa e di fondamentale importanza: commettiamo un errore madornale ogni qual volta generalizziamo e usiamo espressioni del tipo “In India funziona così…”. L’India è un subcontinente che racchiude in sé più di 21 stati, ciascuno si differenzia per lingua, tradizioni, cultura, religioni, clima, cibo e molto altro. Io vi ho dato un quadro approssimativo della mia personale esperienza di vita in Kerala.

 

Mara
Cochin, Kerala, India
Marzo 2011
Foto ©Mara

 

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