Ringraziamo di cuore Lisa Tranchellini, psicologa dell’età infantile ed evolutiva, per questo articolo ancora più interessante in tempi di COVID-19.
“Le avversità possono essere delle formidabili occasioni”.
Thomas Mann
Con questo articolo vorrei parlarvi di resilienza, concetto molto in voga negli ultimi tempi, aiutandovi a capire di cosa si tratta esattamente e come si sviluppa. Parallelamente vorrei spiegarvi come l’esperienza dell’espatrio possa essere un’occasione formidabile per coltivare la resilienza nei bambini espatriati. Uso la parola coltivare non a caso.
Cos’è la resilienza
Vedremo infatti come la resilienza non sia una caratteristica immutabile, un tratto genetico, ma un insieme di competenze e capacità che cambiano a seconda delle situazioni e che si possono apprendere e che si devono esercitare.
Le scienze umane hanno adottato il termine resilienza dalla scienza dei materiali dove viene utilizzato per indicare la capacità, di questi ultimi, di piegarsi senza spezzarsi, sotto l’azione di una forza.
Nell’individuo descrive similmente la capacità di reagire ad uno stress molto elevato, la capacità di risollevarsi più forti di prima, dopo un momento di crisi.
La resilienza è in sintesi una risposta positiva e adattiva a fronte di avversità significative.
Reazione ad esperienze traumatiche
Quindi la resilienza prevede che l’individuo si confronti con situazioni particolarmente stressanti tra cui rientrano le catastrofi naturali, i lutti, gli incidenti gravi, le migrazioni… Tutti quegli eventi che, per un certo periodo di tempo, cambiano, radicalmente e negativamente la nostra realtà, la nostra routine e anche i nostri valori.
La resilienza è considerata un fattore importante dello sviluppo, in quanto protegge il cervello e altri organi dalle possibili, nocive interferenze prodotte dall’attivazione eccessiva dei sistemi di risposta allo stress.
In buona sostanza essere resilienti significa evitare che esperienze potenzialmente traumatiche lascino segni permanenti nella nostra vita.
Viene spontaneo domandarsi come mai alcune persone, alcuni bambini, sono resilienti mentre altri no?
Per rispondere a questa domanda è necessario dare una forma più concreta a questo concetto e capire quali elementi esso contenga.
Possiamo dunque definire la resilienza come il risultato di un’interazione dinamica tra predisposizioni interne ed esperienze esterne, i cosiddetti fattori protettivi.
I fattori protettivi interni
I fattori protettivi interni sono i tratti caratteriali, le capacità e le attitudini personali che favoriscono la resilienza e tra essi si riconoscono:
- il temperamento positivo
- l’interesse per gli altri
- l’empatia
- la capacità di problem solving
- il successo scolastico
- le capacità comunicative e le abilità linguistiche
- la tolleranza allo stress
- l’autostima e il senso di se (competenza)
- le credenze e i valori
- il senso dell’umorismo
- la flessibilità
- l’ intraprendenza
Non per forza un individuo deve possedere tutti questi tratti ma uno solo non basta.
Anche se interni, questi tratti non sono innati ma si acquisiscono attraverso l’esperienza, il gioco e l’imitazione: i più potenti strumenti di apprendimento di cui i nostri figli sono naturalmente equipaggiati. Facciamone buon uso!
I fattori protettivi esterni
I fattori protettivi esterni, invece, si trovano al di fuori dell’individuo; sono i luoghi deputati alle interazioni, le opportunità per esercitare e sviluppare le predisposizioni interne utili nei momenti di bisogno.
Tra questi abbiamo:
- La famiglia che, per crescere individui resilienti, dovrebbe garantire supporto materiale ed emotivo, coesione e coerenza, fiducia, coinvolgimento e responsabilizzazione, strategie anti stress, struttura e regole (soprattutto in adolescenza).
- La scuola e la comunità (gruppo amicale, insegnanti, coach, leader spirituali…) che garantiscono le stesse opportunità della famiglia ma in contesti diversi, amplificando le occasioni di conoscenza del sé, delle proprie capacità e dei propri valori.
Più la rete sociale è ampia maggiori sono le opportunità di sviluppare la resilienza e di trovare supporto nel momento del bisogno.
Un esempio
Per capire meglio di cosa stiamo parlando osserviamo il seguente esempio:
Rita ha 9 anni. Va a scuola a piedi da sola e passa sempre vicino ad un gruppo di bambini più grandi che la prendono in giro e a volte la spintonano. Rita è così spaventata che rifiuta di andare a scuola e piange tutte le mattine o vomita la colazione.
Vediamo, in questo caso, quali interventi genitoriali favoriscono la resilienza e quali invece no:
-
Chiedo a Rita le ragioni del suo rifiuto ad andare a scuola sottolineando che non c’è nulla di sbagliato nell’aver paura. La ringrazio per essersi confidata con me. Insieme a lei esploro possibili soluzioni che siano accettabili e fattibili per Rita (chiedere aiuto alla scuola, andare a scuola con degli amici…).
-
Dico a Rita di non fare la sciocca e la obbligo ad andare a scuola dicendole che non c’è nulla di cui aver paura.
-
D’ora in poi accompagno Rita a scuola in macchina manifestando la mia preoccupazione per l’accaduto dicendole che non ci si può più fidare di nessuno di questi tempi.
Il primo di questi interventi è l’unico che stimola i fattori protettivi interni e favorisce l’interazione con quelli esterni.
Nello specifico aiuta Rita a parlare di quello che sta succedendo, a riconoscere e osservare cosa sia l’empatia a capire che i problemi si possono risolvere attraverso la condivisione e l’analisi delle possibili soluzioni e soprattutto insegna la capacità di chiedere un aiuto esterno.
Non solo, Rita impara a discriminare tra le persone e il loro comportamento (bulli), a non aver paura di esprimere le sue emozioni e di conseguenza a controllarle.
La resilienza nei bambini espatriati
Ed ora siamo pronti per parlare di espatrio!
Quello che mi preme sottolineare in questo articolo non sono le oggettive difficoltà che noi e i nostri figli affrontiamo durante l’espatrio, ma quali abilità e competenze ci vengono richieste e quindi siamo in qualche modo spinti a sviluppare, per rispondere a quelle avversità.
Ecco una lista non esaustiva di quello che ho raccolto attraverso le mie esperienze come psicologa espatriata:
- Apertura ed empatia
- Intraprendenza
- Adattamento
- Flessibilità
- Capacità di risolvere i problemi
- Creatività
- Coraggio (fiducia in se stessi e negli altri)
- Consolidamento o rivisitazione di valori e credenze personali e culturali
- Umorismo
Ed eccoli qui, tutti o quasi tutti, se non di più, i fattori protettivi interni che sono le fondamenta della resilienza.
L’espatrio è dunque un’esperienza potente quando si parla di resilienza perché stimola contemporaneamente risorse comportamentali, cognitive ed emotive dell’individuo.
Quante volte mi sono chiesta e mi è stato chiesto se vale la pena trascinare i nostri figli in questo percorso, che è indubbiamente irto di difficoltà.
Non credo esista una risposta univoca a questa domanda, ma credo esistano una serie di difficoltà che i nostri figli incontrano durante l’espatrio che noi genitori possiamo sfruttare e trasformare in preziosissimi insegnamenti, promuovendo la fantomatica resilienza:
Non posso non concludere questo articolo con una domanda: siete pronti per una formidabile occasione?