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attacchi con l'acido

Paola vive in Bangladesh, da dove ci manda questo articolo interessante e sconvolgente sugli attacchi con l’acido nel suo paese d’accoglienza. Grazie Paola!

“Milioni di donne e ragazze in tutto il mondo sono assalite, picchiate, violentate, mutilate e persino uccise in quella che costituisce una terribile violazione dei loro diritti umani […] Dobbiamo sfidare alla radice la cultura discriminatoria che permette a questa violenza di continuare. In questa Giornata Internazionale, chiedo a tutti i governi di mantenere le loro promesse per fermare ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze in ogni parte del mondo, e invito tutti ad appoggiare questo importante obiettivo”.

Questo è il messaggio del Segretario Generale alle Nazioni Unite Ban Ki-moon per La Giornata Internazionale delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne di quest’anno, che è stata il 25 novembre. Io ho appoggiato l’occasione unendomi a un team del DFID (il Dipartimento del Regno Unito per lo Sviluppo Internazionale) per visitare uno dei progetti che appoggiano, l’Acid Survivors Foundation (ASF).

La violenza con l’acido è una forma crudele d’aggressione, che viene quasi sempre perpetrata sulle donne. E’ particolarmente orribile perchè è premeditata: l’assalitore deve procurarsi l’acido e trovare il modo di arrivare alla vittima. L’acido gettato sul viso della vittima provoca profonde bruciature e un danno fisico e psicologico a lungo termine.

La violenza con l’acido esiste in tutto il mondo, e attualmente è più comune in Asia del sud. Gli attacchi sono spesso spinti da sete di vendetta: una donna che ha rifiutato le avances di un uomo, o una famiglia che ha rifiutato una proposta di matrimonio per la loro figlia.

In Bangladesh, la povertà molto diffusa, la corruzione, un debole stato di diritto, e l’ineguaglianza di genere, sono tutti fattori che contribuiscono al problema.

Le ragioni sono diverse: spesso può essere una disputa per un terreno, o di famiglia: le donne sono considerate come beni di consumo, e danneggiarle rende loro impossibile sposarsi o trovare un lavoro.

Recentemente ci sono stati attacchi anche su bambini: può accadere che un uomo che vuole un figlio maschio getti dell’acido alla sua bimba alla nascita.

I bambini soffrono anche quando non sono le vittime dirette, perchè magari dormono di fianco alle loro madri quando viene effettuata l’aggressione. Conosco una ragazzina di quindici anni che ha il volto sfigurato per questa ragione.

E’ difficile portare gli assalitori davanti alla giustizia: spesso si nascondono, o vengono protetti dalla famiglia o dal mondo criminale.

Fortunatamente, grazie al lavoro dell’ASF, il Bangladesh sta avanzando con successo verso l’eliminazione della violenza con l’acido nel paese.

L’organizzazione esiste dal 1999. Fornisce cure mediche dopo l’aggressione, fisioterapia, supporto psicologico, riabilitazione, aiuto legale, e prevenzione. Produce vestiti a pressione, che sono usati nel trattamento delle bruciature. Lavora per educare la comunità, ad esempio con la campagna “Use Water Save Life” (Usa l’acqua, salva la vita). Le bruciature che vengono curate oggi sono molto meno gravi che in passato, perchè la gente sa che deve sciacquarle immediatamente con grandi quantità d’acqua.

Un altro aspetto del loro lavoro è il portare l’attenzione sul problema: l’ASF è riuscita a guadagnarsi l’appoggio di figure d’alto profilo come star della musica o celebrità sportive. Lo slogan “Good Men Don’t Throw Acid” (I bravi uomini non lanciano l’acido), anche se scioccante per le nostre orecchie occidentali, si è dimostrato altamente efficace.

E l’ASF ha sia il partito al potere che l’opposizione al fianco: la legge è stata cambiata, e adesso gli assalitori riconosciuti colpevoli vengono condannati a morte con impiccagione (la sentenza poi viene commutata in ergastolo, con un minimo di 27 anni da servire).

La campagna di sensibilizzazione ha avuto un enorme successo: il Giorno Internazionale della Donna nel 2006, le sopravvissute dalla violenza con l’acido hanno sfilato in una grande marcia. I migliaia di manifestanti che le seguivano per esprimere la loro indignazione erano quasi tutti uomini: da professori universitari a guidatori di riskshaw.

Il numero di attacchi con l’acido in Bangladesh è sceso da 367 nel 2002 a 115 nel 2010. Lo scorso anno ci sono stati 91 attacchi e 118 sopravvissute.

Il Bangladesh non è il solo paese in cui si usa la violenza con l’acido: nel 2008 gli attacchi con l’acido sono stati denunciato in 23 paesi, incluso il Regno Unito.

Il Bangladesh si sta ponendo come il portavoce della lotta contro la violenza con l’acido. Sulla scia del suo successo, organizzazioni simili all’ASF sono state create in Uganda, Cambogia, Pakistan, Nepal e India. Speriamo che la visione dell’ASF di un ‘Bangladesh libero dalla violenza – in particolare dall’acido e altre forme di violenza che usano le bruciature – dove tutte le sopravvissute della violenza abbiano accesso alla giustizia e restino membri pieni della società’ diventi realtà.

La sede della Fondazione è un edificio piccolo e modesto nel sobborgo di Banani a nord di Dhaka. Durante la nostra visita siamo stati accolti da dottori, assistenti sociali e vittime.

Dopo una presentazione che mostra strazianti fotografie dei danni fisici inflitti dagli esecutori degli attacchi con l’acido, abbiamo partecipato a una sessione musicale con le vittime.

Un giovane dottore ci ha mostrato l’ospedale con venti letti e la sala operatoria. Abbiamo visto una vittima uomo: aveva avuto una relazione con la moglie di un altro uomo.

Poi due sopravvissute ci hanno raccontato la loro storia.

Hasina, un lungo ciuffo di capelli neri che copre il suo occhio destro danneggiato, ha parlato a voce alta e con molta sicurezza. Dieci anni fa, nel suo villaggio, c’è stato un litigio tra lei e un ragazzo che viveva nella sua stessa casa: non era un parente, ma era stato cresciuto nella sua famiglia. Il disaccordo era su una questione insignificante: l’acqua che doveva essere raccolta da un pozzo. Il ragazzo le ha lanciato l’acido nel cuore della notte. Lei non capiva cosa stava succedendo, e si è messa a urlare più forte che ha potuto. La sua famiglia pensava che stesse esagerando. E’ corsa fuori e si è rotolata in terra, continuando a urlare dal dolore. I vicini l’hanno ignorata. Quando finalmente qualcuno si è mosso, è stata portata all’ospedale governativo di Dhaka, dove è stata operata tre volte. E’ stata poi mandata all’ASF.

Sono stati fantastici“, ci ha detto. “All’ospedale governativo erano duri, ma qui mi hanno trattata con amore“.

Ha avuto varie altre operazioni.

Ero determinata ad avere giustizia“, ci ha detto. “Ho subito denunciato l’autore alla polizia. Per otto anni non l’hanno trovato, ma poi l’hanno arrestato. Nel giro di un anno ha avuto una sentenza a vita“. Ha continuato: “Ma alla mia famiglia non piace che io vada al villaggio. Dicono che porto male. Non mi lasciano parlare alle giovani spose, nè tenere in braccio un bebè“.

Hasina ha continuato a lavorare alla Fondazione per diversi anni, adesso ha un lavoro col governo.

Roxana, il volto calloso e pieno di cicatrici, ha parlato con voce flebile. Il suo è forse un caso più “classico” di molestia. Ha rifiutato le avances di un ragazzo del suo villaggio, ma lui ha continuato a seguirla e a farle richieste, nonostante la famiglia di lei gli avesse detto esplicitamente che lei non era interessata. Alla fine lei è andata a Dhaka a studiare per diventare tecnico di laboratorio, e pensava di esserselo tolto di torno. Ma lui la seguiva.

Mi sono spostata in un alloggio diverso; ho cambiato il numero di cellulare; ho persino cominciato ad indossare il burka“, racconta. Alla fine pensava di essersene liberata, e ha finito gli studi e trovato un buon lavoro.

Ma nel 2010, durante un festival per l’Eid nel suo villaggio, lui è riapparso. Lei sarebbe partita il giorno dopo. Quella notte, mentre dormiva tra un nipotino e una sorella, ha sentito un rumore alla finestra. Si è alzata per vedere cosa stava succedendo, e il ragazzo, dall’esterno, le ha tirato l’acido in faccia. Lei ha capito subito cos’era successo, ha chiamato aiuto e si è sciacquata la faccia a lungo. La sua famiglia l’ha molto sostenuta. Ha avuto varie operazioni alla Fondazione delle Sopravvissute dall’Acido.

Ma i miei datori di lavoro non hanno volute riprendermi“, ci ha detto.

E l’assalitore? E’ in carcere?

No“, ha risposto. “E’ nell’esercito. Non verrà mai condannato“.

 

Paola Fornari
Dhaka, Bangladesh
Dicembre 2012
Articolo tradotto dall’inglese da Claudiaexpat
Photo ©Paola Fornari

 

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