Questo è il riassunto dell’incontro del nostro Gruppo di Supporto che si è svolto il 21 maggio sul tema “Come affrontare l’invecchiamento dei genitori quando si è lontani”.
Hanno partecipato amiche da Svizzera, Svezia, Italia, Inghilterra, Indonesia, Sud Africa e Gerusalemme. Barbaraexpat da Melbourne ha moderato la discussione.
L’invecchiamento, la malattia e la morte dei nostri genitori e di altre persone care sono purtroppo tematiche che toccano molte di noi da vicino e per questo incontro abbiamo avuto un numero record di partecipanti. Eravamo in nove e, per cominciare, abbiamo dovuto imparare a gestire microfoni e telecamere. Ma dopo pochi minuti, grazie alla guida tecnica della nostra Claudia, abbiamo trovato il giusto compromesso e abbiamo dato vita ad un incontro intenso, carico di empatia e onestà.
Nel raccontare le loro esperienze uno dei punti comuni a molte delle partecipanti si è rivelato il famigerato senso di colpa. Queste sono alcune delle frasi usate per manifestare questa spiacevole sensazione:
“… sensi di colpa per l’impossibilità di esserci”
“Mi sento in colpa di non starle vicino negli ultimi anni…”
“Ho trovato la mia strada, sono molto contenta nella mia vita, ma ciò non toglie la colpa che sento spesso al loro riguardo”.
Abbiamo cominciato la discussione parlando delle lunghe telefonate a casa per ascoltare liste di malanni e lamenti, e dei viaggi dall’altra parte del mondo, che vorrebbero essere “vacanze”, ma spesso sono una serie di impegni per cercare di gestire una situazione che va a rotoli. Tutto questo nel disperato tentativo di essere più vicine, poter aiutare, ascoltare, curare, sollevare, essere più presenti. Rimane, nonostante tutto, la sensazione di non poter fare abbastanza.
A volte succede di non avere più la forza per essere presenti e l’eterno correre, l’interrompere la propria vita, il mollare tutto, diventa pesante e siamo colte quasi da un rifiuto. Da qui nasce un subbuglio interiore che crea altri sensi di colpa, non solo per non poter essere presenti, ma, in un certo senso, per non voler essere presenti.
Il dolore e l’impotenza di fronte a queste situazioni era evidente nelle parole di ognuna delle partecipanti che, con grande coraggio e generosità, hanno condiviso le loro esperienze.
Fortunatamente i sensi di colpa non sono insuperabili e con riflessione ed accettazione, di noi stessi e delle nostre scelte, c’è la possibilità di vivere più serenamente.
Un altro elemento emerso dalla discussione è il senso di disorientamento, descritto da una partecipante come “questo non sapere più dove stare”, che si prova dovendo vivere due vite separate. La vita nel nostro paese d’adozione, con lavoro, figli, marito, amici e tran-tran quotidiano e l’altra, nel nostro paese d’origine, dove i genitori hanno bisogno di noi e da dove, almeno con il pensiero, ci è impossibile staccarci. L’eterno convivere con queste due realtà suscita ulteriore disagio.
Si è parlato delle dinamiche famigliari, soprattutto quelle che si creano quando i fratelli, o altri famigliari rimasti a casa, diventano gli assistenti principali ai bisogni quotidiani dei genitori. Questo può creare risentimento e distacco che, a lungo andare, rischia di logorare i rapporti. Benché questi sentimenti negativi siano difficili da accettare, è pressoché impossibile cambiare gli altri, non ci rimane che lavorare su noi stessi, per imparare a gestire i rancori e a convivere con ciò che siamo e facciamo della nostra vita.
E quando noi abbiamo bisogno di loro?
Due delle partecipanti stanno vivendo la gravidanza lontano dalla famiglia e hanno condiviso il loro desiderio di avere i genitori più vicini e coinvolti in questo percorso speciale e gioioso. Un’altra sta attraversando un momento personale complicato, e l’appoggio della famiglia, anche se lontana, le darebbe sollievo. Non sempre genitori e famigliari sono disposti a partire per seguire i bisogni dei figli espatriati, o si rendono conto delle situazioni che si vivono lontani e riescono prontamente a offrire la giusta vicinanza. In alcuni casi ci ritroviamo a dover affrontare situazioni, sia gioiose come la gravidanza e nascita di un bimbo, che dolorose, come una malattia o un problema personale, da sole.
Abbiamo toccato l’argomento solo brevemente, esaminando le nostre reazioni dinnanzi alla frase: “Hai scelto tu di andartene”. La scelta dell’espatriare è sicuramente molto personale, ma non per questo dovrebbe precludere il sostegno della famiglia in un momento di bisogno. Invece è come se la scelta scavasse un divario tra i due stili di vita – quello di chi resta e quello di chi è partito – che viene mantenuto e alimentato dalla scarsa volontà di uscire dai cliché sulla vita dell’espatriata, e capire che anche chi vive all’estero affronta dolori e problemi come tutti. Il tentativo continuo di far capire a chi resta quello che l’espatriata davvero attraversa, può diventare talmente logorante, che c’è chi ha suggerito di mettere le energie nel potenziare le reti di solidarietà tra espatriate, piuttosto che impegnarsi in una battaglia persa in partenza.
Alcune partecipanti hanno condiviso strategie pratiche tra le quali il contatto regolare via Skype con i genitori ma anche con coloro che si occupano del loro benessere (fratelli, badanti…) e visite più frequenti quando possibile. Questo non solo aiuta i genitori ma aiuta anche noi a sentirci più presenti e partecipi.
Ma lo scopo dell’incontro è stato soprattutto quello di offrire, più che consigli, sostegno emotivo e la forza del gruppo sta soprattutto nell’ascolto e nella condivisione. Il fatto di poter esprimere questi sentimenti ed essere capite, anziché giudicate, ha creato un’atmosfera di vicinanza e affetto che mi ha accompagnato per tutta la settimana.
Per finire voglio precisare che, nonostante l’incontro abbia offerto un’opportunità di sfogo, le esperienze e le emozioni che ne conseguono, sono state raccontate senza nessun vittimismo ma con pura e semplice sincerità e gratitudine per essere ascoltate e capite.
Grazie a tutte!
Barbara Amalberti (Barbaraexpat)
Melbourne, Australia
Giugno 2017