Home > Asia > Turchia > Cartolina da Ankara, la mia delizia turca
Ankara

Paola è una grande amica di Expatclic. Ha vissuto in tutto il mondo, e ha un blog nel quale ama narrare le sue avventure di espatriata d’hoc. Lei scrive in inglese e Expatclic traduce in italiano per la gioia di chi vuole godersi i suoi scritti nella propria lingua Natale. In questa cartolina che Paola ha scritto da Ankara, ci spiega cosa fare e vedere in questa che sembra considerata una città minore in Turchia, ma dove Paola ha saputo trovare fascino e anche divertimento!

Cosa fare ad Ankara se arrivate da Istanbul”. E’ stata questa una delle prime presentazioni offerte dai partecipanti del Ministero degli Affari Esteri presso cui stavo facendo un corso. Avevano il pubblico in pugno. Sembra che Ankara sia talmente poco eccitante che le uniche vie di scampo per chi arriva da Istanbul siano a) andare per negozi b) andare per bar, c) andare alla stazione e prendere un treno per Istanbul ogni fine settimana.

Ebbene, io sono stata ad Ankara per tre settimane, e non mi interessava particolarmente andare per negozi o per bar. E andare ad Istanbul era poco pratico.

Avevo di fronte due brevi week-end con un sacco di lavoro preparatorio. Per arrivare a Istanbul ci volevano quattro ore e mezzo di treno. Sapevo che non me la sarei gustata immersa com’ero nell’idea del lavoro. Decisi quindi che Istanbul avrebbe aspettato fino a quando avrei avuto un’intera settimana di relax per esplorarla. Comunque ero ad Ankara, e mi piace quando sono in posti nuovi. La città doveva avere qualcosa da offrire, e io l’avrei trovato.

La prima settimana faceva freddo. Imparai perfettamente la strada tra l’hotel e il Ministero: ampi viali trafficati lungo i quali correvano enormi edifici, e ponti pedonali. Di sera ogni tanto uscivo e imparai le mie prime poche parole di turco: “ciao”, i due modi per dire “salve” (uno per quando si arriva e uno per quando si parte), “per favore”, “grazie”, “succo d’arancia”, “entrata”, “uscita”, “acqua”, “come ti chiami” e “lavaggio auto” (e va bene, diciamo che pur non essendo particolarmente utile Oto Kuaför è troppo forte).

Con il fine settimana arrivò il sole. Decisi di visitare due o tre posti raccomandati dalla mia guida della Lonely Planet tenendo il terzo per il week-end dopo. Passeggiai nella Citadel, la parte più vecchia della città, le cui mura risalgono al VII secolo.

ankara8Le strette stradine che si snodano in questa parte della città erano piene di tappeti,  di bancarelle di artigianato e di ristorantini.

Le donne erano sedute chiacchierando di fianco alla strada, lavorando borse all’uncinetto. Una famiglia, seduta sui gradini fuori da una casa che cadeva a pezzi, mi invitò a unirmi a loro per il chai.
Mi tolsi le scarpe (dato che le loro erano tutte ben allineate lì vicino), mi sedetti, e per un po’ sorseggiammo il nostro tè ridacchiando e sorridendo.

ankara7Dall’alto delle mura del castello, mi gustai la splendida vista su Ankara e sulle montagne innevate.

Il tramonto era stupefacente.

La domenica mattina andai al Museo delle Civiltà Anatoliche. Questo museo ha vinto il premio di “Miglior Museo Europeo dell’Anno” più di dieci anni fa, ed è ancora splendido, con artefatti archeologici dall’Età della Pietra attraverso gl Assiri, gli Ittiti, i Frigi e i Lidi. Organizzato stupendamente.  E la mia guida parlava un inglese ragionevole.

ankara5Quel pomeriggio andai a un hammam in un’area molto chic della città, raccomandata da uno dei partecipanti al mio corso, e poi mi feci fare il manicure nella porta accanto. Un modo perfettamente rilassante per chiudere il mio fine settimana, e per aggiungere qualche parola alla mia lista: “sapone”, “vieni”, e “rosa perla”.

Il secondo fine settimana, dopo qualche giorno di freddo e pioggia, il sole fece di nuovo capolino. Era Pasqua, e mio marito mi aveva raggiunta. Cominciammo di nuovo dalla Citadel e dal Museo delle Civiltà Anatoliche, che questa volta si rivelò particolarmente interessante, dato che la nostra guida parlava un misto di italiano e spagnolo.

ankara4

E poi andammo al posto che mi ero tenuta da parte:  Anit Kabir, il mausoleo di Ataturk.

Ataturk era un generale dell’esercito che guidò il movimento nazionale turco dopo la caduta dell’Impero Ottomano, sconfiggendo le forze alleate e scongiurando quindi la divisione. E’ stato il fondatore della Repubblica di Turchia e ha trasformato le vestigia dell’Impero nello stato moderno e secolare che è oggi la Turchia. La struttura del monumento, ben conservata, è piena di visitatori che offrono i loro rispetti a questo grande uomo, e si sente davvero la presa che aveva sul suo popolo adorante.

ankara2Avevamo ancora mezza giornata, quindi decidemmo di andare ai Musei di Entografia e a quello di Pittura, verso la fine della lista di cose da fare in Ankara suggerita dalla Lonely Planet. Ci dissero ‘Klo zed’, e capimmo che era la pausa pranzo. Quindi tornammo all’hotel per un riposino e poi di nuovo fuori, per una bibita sull’alta torre del bar.

A questo punto avevo aggiunto alla mia lista di parole turche “”, “no”, “minuto”, “sinistra”, “destra”, “carino”, “grande”, “piccolo” e “stop”.

E dopo tre belle settimane di lavoro, giunse il momento di tornare a casa, alle 4 del mattino di un sabato. Ma c’era stato un errore: al nostro arrivo all’aeroporto ci venne detto che il volo delle 4 non esisteva: era partito il giorno prima. Tutti i voli che partivano per destinazioni utili nelle prossime 24 ore erano pieni, ma riuscimmo a trovar posto su uno che andava ad Amsterdam passando per Istanbul il mattino dopo alle 5. Quindi via di nuovo all’hotel.

E dunque, di colpo, avevo un sabato in più. Gironzolai in uno stupendo negozio di musica e libri di quattro piani, con un bar all’ultimo, e mi comprai un po’ di musica tradizionale più il besteller in cima alle classifiche intitolato “Last Train to Istanbul”, che mi sembrò adatto. Tornando all’hotel mi comprai qualche Delizia Turca. Sicuramente le mie capacità di negoziatrice si erano affinate nelle ultime tre settimane: ho sempre contrattato nei mercati, ma qui funzionava anche in rispettabili ed eleganti negozi.

Dopo un bel riposino, erano le 4 del pomeriggio. Quindi, cosa si fa il terzo week-end ad Ankara? Citadel e museo già fatti due volte. Ovviamente si prova con il Museo Etnografico, dato che secondo la Lonely Planet è aperto fino alle 5:30. Ma no,  ‘Klo zed‘, ci dice il guardiano. Okay, e il museo d’arte? Il taxi ci porta lì. ‘Klo zed.’ Perché? La risposta non è comprensibile. Nessun problema, è una bella serata – tutti i fine settimana ad Ankara sono caldi e soleggiati – perché non tornare al Mausoleo di Ataturk, dato che ci sono stata una volta sola, e fare qualche foto un po’ più carina?  ‘Klo zed‘, dice l’autista del taxi.

Più tardi, guardando le notizie alla BBC World Service, ho visto che c’erano state grandi manifestazioni ad Ankara, vicino al Mausoleo…
Mi trovavo comunque con qualche ora davanti a me e un forte desiderio di fare qualcosa. Ho controllato di nuovo la guida. Una moschea? Il taxista non sembrava contento di portarmici. Un parco? Esitava.

ankaraOkay, allora vada per un vero e genuino hammam antico. La Lonely Planet raccomandava il Şengül Merkez Hamamı. Il taxista era d’accordo, e in un attimo arrivammo all’entrata di una viuzza tranquilla, dove sotto all’insegna dell’hammam due donne sorseggiavano sedute il loro tè. Un bambino giocava di fianco a loro.

Mi avvicinai. Tre donne ostruivano lo spazio delle porte doppie. Mi infilai, ed entrai in una stanza squallida, dai soffitti alti, circondata da cabine su due livelli. C’erano tantissime donne, alcune in tenuta lunga e velo sulla testa, altre in tenuta ridotta. Intorno a un grande tavolo molte di loro bevevano tè e chiacchieravano. Una piegava una montagna di slip.

Mi sentivo un po’ fuori posto, ma questa non è una novità.

Hammam?’ ho chiesto. Un’enorme donna sorridente in mutandine e reggiseno neri mi ha raggiunta e presa per mano, mi ha guidata in una cabina e mi ha dato un asciugamano e un paio di enormi zoccoli – o meglio, suole di legno con una striscia di plastica in cima.

Depilasione?’ mi ha chiesto.
Ho esitato, dubbiosa, per non dire di più. Mi ha alzato il braccio e mi ha guardato le ascelle.
Depilasione”, ha detto con fermezza.
E va bene, quando sei ad Ankara… Non entrerò in dettagli truculenti, ma è stata un’esperienza incredibile, con donne che arrivavano a chiacchierare, guardare, confrontare i risultati, ridacchiando quando urlavo le due parole più importanti della lingua turca, “stop” e “no”, mentre la mia addetta dell’hammam piegava, lavorava e modellava il suo grumo di cera simile a cicca su tutto il mio corpo.

Dopo questo processo, ero pronta per il mio hammam. Ho capito che la signora, persino più grande, incaricata della mia pulizia, era la sorella di quella della “depilasione”. Mi sono stesa sul tavolo di marmo. E molto piano, lei ha cominciato a cantare, aumentando gradualmente il volume fino a che la sua canzone, triste e profonda, ha riempito l’aria fumosa, e mi ha fatto venire le lacrime agli occhi – no, non lacrime, fiotti. Ho alzato la testa e ho guardato i suoi occhi chiusi, l’aria concentrata mentre spostava su e giù sulle mie braccia il guanto fatto all’uncinetto, il suo stomaco gonfio che riempiva lo spazio tra noi.  ‘Benli benli, benli benli,’ cantava, mentre mi immaginavo un storia di amore perduto, guerra, morte, disastro… Poi una giovane donna che era stesa di fianco a me – sì, qualcuno parlava qualche parola di inglese in quel posto – mi ha chiesto “Di dove sei?” e io le ho risposto: “Per favore dimmi di cosa tratta questa canzone…”. “E’ una canzone tradizionale”, mi ha detto. “Dice che è difficile vivere con qualcuno che è brutto”. Che banalità, ho pensato. “Brutto dentro”, ha aggiunto, mentre la signora dell’hammam cominciava di nuovo a cantare, e io scoppiavo a piangere. Splendido. Che maniera di concludere le mie tre settimane!

Traduzione dall’inglese a cura di Claudiaexpat

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