Home > Vita d'Expat > Lavoro > Intervista a Claudia Cucchiarato, autrice di Vivo Altrove

Claudia Cucchiarato è una giornalista italiana che vive e lavora a Barcellona. Autrice del libro Vivo Altrove, edito da Bruno Mondadori, un libro che raccoglie le storie di giovani italiani che hanno lasciato l’Italia, Claudia è anche ideatrice del Manifesto degli Espatriati, un’iniziativa che ha avuto grande risalto sulla stampa italiana e sta riscuotendo molta partecipazione. Anche di questo ci parla Claudia nell’interessantissima intervista che segue. Grazie Claudia !!!

 

Raccontaci un po’ di te: nata a Treviso, ti trasferisci a Barcellona molto giovane – cosa ti ha portata in Spagna?  Di cosa ti occupi?

Durante l’Università a Bologna avevo fatto un anno accademico di Erasmus a Barcellona tra il 2001 e il 2002. La città mi era piaciuta tantissimo, avevo stretto amicizie molto importanti e mi era rimasta la voglia di tornare a viverci. Appena mi sono laureata, alla fine del 2004, ho finito i due anni di lavoro in una radio bolognese che mi hanno permesso di iscrivermi all’ordine dei giornalisti pubblicisti e ho chiesto un’altra borsa di studio europea. Con la borsa Leonardo sono tornata a Barcellona a maggio del 2005, per lavorare nel quotidiano La Vanguardia. L’esperienza è stata talmente stimolante e le cose sono andate talmente bene che non ha più avuto senso per me tornare in Italia. Continuo a lavorare per La Vanguardia, poi ho iniziato a collaborare con altri giornali spagnoli, ho lavorato e lavoro tuttora per alcune case editrici locali. Poi sono arrivate le collaborazioni con La Repubblica e il contratto con L’Unità… insomma, le cose sono venute tutte da sole e con facilità mi sono ritrovata a fare il lavoro che avevo sempre sognato, nella città che avevo scelto per il mio futuro.

vivo altroveHai da poco scritto un libro, Vivo altrove, edito da Bruno Mondadori, nel quale dai voce a giovani italiani che hanno deciso di costruirsi una vita fuori dall’Italia. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro, e come ti sei organizzata per farlo?

La spinta a scriverlo viene dalla necessità di spiegare a qualcuno (a me stessa, ai miei genitori, ai miei amici…) i motivi per cui non vivo più in Italia. Non a caso il titolo del libro è anche un’affermazione. Quando sono arrivata a Barcellona, nel 2005, mi sono subito resa conto che tantissimi miei connazionali coetanei avevano fatto e continuavano a fare la stessa scelta. Ho iniziato a scrivere di questo “boom” o “moda Barcellona” per La Vanguardia e per La Repubblica. Mi sono trasformata in una specie di “esperta” del fenomeno e ho pensato di raccogliere le storie di tutte le persone che avevo incontrato in quegli anni in un libro. Con il passare del tempo però mi sono accorta che non si trattava di un fenomeno esclusivamente barcellonese: era ed è pieno di giovani italiani in tutte le grandi città del mondo, soprattutto nelle capitali europee. La casa editrice Bruno Mondadori mi ha contattata grazie all’intercessione di un mio ex professore dell’Università di Bologna (anche in Italia ci sono professori che aiutano i propri ex studenti: è una buona notizia). E dopo un primo colloquio programmatico è nato il progetto “Vivo altrove”, che non parla solo di cervelli in fuga, ma racconta le storie di alcuni tra le centinaia di migliaia di giovani italiani che hanno abbandonato il nostro Paese negli ultimi anni per sfinimento, per cercare qualcosa di nuovo, e trovare un posto diverso (e molto spesso migliore) in cui vivere.

A chi dovrebbe interessare questo libro, secondo te?

Dovrebbe interessare chiunque. Non voglio sembrare pedante, ma credo che le storie di chi in questo momento vive altrove, perché ha scelto di stare “ovunque ma non in Italia”, sono le storie che raccontano un Paese mancato, un futuro in via di estinzione. Sono uno spaccato che spiega dove sta andando l’Italia: fuori da se stessa. Ancora non se ne parla a sufficienza a mio parere, nonostante sia un argomento di discussione quotidiana in quasi tutte le famiglie italiane. Detto questo, ho scoperto che più che da giovani che vivono all’estero o che stanno progettando la “fuga”, il mio libro viene apprezzato soprattutto dai genitori. Per loro è un mondo tutto da capire quello dei nuovi migranti. I genitori di questi “esuli” moderni mi mandano messaggi pieni di gratitudine e di amarezza: constatano impotenti una sconfitta, appoggiano le scelte dei loro figli, ne prendono atto e ne soffrono, in silenzio.

In concomitanza col lancio del libro, hai dato vita anche a un’iniziativa che hai chiamato “Il Manifesto degli Espatriati”. E’ un’idea tua? Com’è nata e a cosa mira?

L’idea è nata dall’esperienza di due blog: il mio e quello gestito da Sergio Nava, autore del libro “La fuga dei talenti” (https://fugadeitalenti.wordpress.com/). Io e Sergio ci siamo conosciuti qualche mese fa per la presentazione del mio libro a Milano e ci siamo trovati subito d’accordo nel pensare che era ora di smettere di lamentarsi o limitarsi a raccogliere lamentele nei nostri rispettivi spazi web. Abbiamo quindi deciso di allearci e di passare dalle parole ai fatti, riassumendo tutto quello che dell’Italia non piace alle persone che abbiamo intervistato negli ultimi anni. Il Manifesto degli Espatriati raccoglie in nove punti queste considerazioni e si conclude con un decimo punto, in cui i firmatari si impegnano a lavorare affinché queste “pecche” del sistema Italia vengano risolte. In poche settimane abbiamo già raccolto quasi 1.000 firme, una cifra simbolica che ci riempie d’orgoglio: anche Garibaldi arrivava dall’estero.

Di questo manifesto mi ha colpito in particolare l’ultimo punto: “Noi giovani professionisti italiani espatriati intendiamo impegnarci, affinché l’Italia torni ad essere un “Paese per Giovani”, meritocratico, moderno, innovatore. Affinché esca dalla sua condizione terzomondista, conservatrice e ipocrita. E torni ad essere a pieno titolo un Paese europeo e occidentale.”. Mi sembra un intento estremamente bello, ma anche molto ambizioso. Come pensate di agire in questa direzione?

Aprendo innanzitutto un dibattito. Iniziando a sfondare la porta dell’indifferenza che da molti anni circonda questo dissanguamento del nostro Paese. Il primo passo sarà portare il Manifesto firmato all’attenzione delle principali cariche dello Stato e dei mezzi di comunicazione. Vogliamo inaugurare una discussione, fare proposte e introdurre idee per cambiare la situazione. Osservare da fuori serve per avere una prospettiva più ampia e distaccata. Vivere in un contesto che si considera più meritocratico o più vivibile può aiutare a capire quali sono i punti deboli e anche a “copiare” modelli alternativi da istallare nel nostro Paese.

Nel Manifesto si parla molto di estero in senso generalizzato, ma è evidente che esiste estero ed estero. Mi pare di capire che il focus della vostra iniziativa siano i giovani sparsi in Europa. Sui nostri forum da anni riceviamo richieste da parte di giovani e meno giovani che ambiscono a trasferirsi soprattutto in Spagna, mentre altre donne, già residenti in questo paese, non smettono di far notare che la situazione in Spagna è drammatica, sicuramente dal punto di vista dell’impiego, ma anche rispetto all’accoglienza degli stranieri in generale. Tu che sei “sul campo” cosa puoi dirci a questo proposito?

Per me la Spagna è stata ed è tuttora un Paese estremamente accogliente e aperto. La principale differenza che noto con l’Italia è la tendenza a lasciar libero ogni cittadino di esprimere le proprie capacità e le proprie esigenze, indipendentemente dalle origini, dall’età, dal modo di vestire, dalle tendenze sessuali o dalla fede religiosa. C’è un grado di “controllo” o “giudizio” sociale molto inferiore rispetto all’Italia. Allo stesso tempo, è un Paese che ha avuto uno sviluppo economico molto veloce e tardivo, basato su un modello poco stabile: l’edilizia e il turismo. Per questo sta soffrendo più di molti altri e sarà difficile creare posti di lavoro nel breve periodo. E per questo attualmente io sconsiglio di trasferirvisi a chi non ha già un contatto di lavoro o un’idea precisa per mantenersi. Dall’altra parte però continua ad essere un posto in cui si vive molto bene, un luogo pieno di persone ottimiste, brava gente. Credo che questa sia la caratteristica più importante, la chiave del successo spagnolo e anche, purtroppo, della situazione attuale critica in cui versa l’economia del Paese.

vivo altroveNell’iniziativa che hai lanciato, il Manifesto, stai coinvolgendo i network di italiani all’estero. Cosa pensi di questa realtà? Pensi che gli italiani all’estero siano ben rappresentati, che abbiano interlocutori validi in rete e a livello locale? Come vedi il futuro di tante giovani network che si creano per riunire gli italiani e le loro storie?

Credo che la grande quantità di siti, blog, iniziative e forum di cui dispongono gli italiani all’estero sia innanzitutto un segnale. Ci dice che siamo tanti, che siamo informati e che abbiamo bisogno di trovarci in un punto anche virtuale per raccontarci, trovare consiglio, trovare aiuto o anche solo dare sfogo ai nostri pensieri. Tutto questo l’ho constatato quando ho lanciato il sondaggio sugli italiani all’estero nel sito di Repubblica. 25.000 storie in meno di tre settimane la dicono lunga sulla voglia di far ascoltare la nostra voce. Perché sentiamo che la nostra voce non è ascoltata da chi dovrebbe rappresentarci. Il fatto che il Ministero degli Esteri e il Ministero degli Interni non abbiano mai pensato a un modo per sopperire alla mancanza di dati e di informazioni sulla nuova emigrazione è significativo a sua volta: non siamo abbastanza interessanti (anche a fini elettorali) probabilmente. Il fatto che la TV italiana non abbia ancora dedicato nemmeno un minuto a questo fenomeno, salvo alcune eccezioni di scarso valore, dimostra che l’argomento è scomodo. Il fatto che le associazioni di italiani all’estero che si beneficiano di finanziamenti pubblici non siano mai riuscite ad attrarre i nuovi migranti o a comunicare con loro, mette in evidenza un disinteresse e un distacco dalla realtà quasi imbarazzante: eppure basterebbe poco, anche solo mettere online i giornali in italiano che periodicamente si stampano in tutte le sedi delle associazioni sparse nel mondo.

Il web serve come valvola di sfogo e punto di riunione, è il nostro mezzo di comunicazione, il nostro ambiente e la nostra linfa. Credo che siano proprio questi network il luogo in cui il dialogo di cui parlavo pirma può iniziare. Ma dobbiamo anche essere in grado di uscire dal virtuale, incontrarci nel reale e fare in modo che si creino le condizioni per scegliere di tornare in Italia, proprio come abbiamo scelto di andarcene.

 

Claudia Cucchiarato
Barcellona, Spagna
Ottobre 2010
Intervista raccolta da Claudiaexpat

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