Ada Rovatti è una sassofonista italiana che vive e lavora a New York, da dove ha risposto ad alcune domande, che han dato vita a un’interessantissima intervista. Grazie Ada!
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Domanda scontatissima: come sei arrivata a suonare il sax? Tu hai suonato per anni il pianoforte, cosa ti ha portata a cambiare per uno strumento così diverso?
Da ragazzina mi sono avvicinata al rhythm and blues grazie a mio fratello Edoardo che era appassionato appunto di blues.
Mi sono subito piaciute le sezione dei fiati e, a dire il vero, all’inizio volevo suonare il trombone a coulisse ma poi ascoltando il suono del sassofono che è in un certo senso così simile al timbro umano mi sono “fissata” con quest’ultimo strumento.
Soltanto più avanti alla fine del liceo sono riuscita a convincere i miei genitori ad affittare un sassofono…. e da lì non l’ho più abbandonato.
Continui a suonare il piano?
Si, io ho iniziato a 4 anni a suonare il piano, poiché in famiglia avevo la nonna paterna, di cui porto il nome – Ada, che era una pianista classica, e così iniziai prestissimo con la musica.
Suono tuttora il piano, più che altro lo uso a livello di composizione, infatti tutti i brani che scrivo partono dal pianoforte.
E’ stata la musica a portarti all’estero, o tu hai portato all’estero lei? Come è stata la tua prima esperienza di periodo di vita un po’ lungo in un paese fuori dall’Italia?
Si, sicuramente é la musica che mi ha portato all’estero… devo dire che vista la mia personalità sarei probabilmente migrata comunque anche se non avessi scelto questa carriera. Sono sempre alla ricerca di qualcosa…
La prima esperienza all’estero fu a 20 anni quando sono andata a Boston, alla Berklee School of Music, dopo aver vinto una borsa di studio ai corsi di Umbria Jazz.
Sei stata in Africa, e in vari commenti ai tuoi lavori si legge che il tuo stile è sicuramente impregnato di ritmi afro. E’ così? Cosa “devi” all’Africa in termini musicali e umani?
La musica che preferisco é il jazz e come si sa ha le radici nella cultura afro-americana.
Sono stata sempre affascinata dalla musica etnica e dalla musica con ritmi complessi ma da brava italiana non posso pensare alla musica senza avere anche una parte melodica (arrivando dal paese del “bel canto”).
Il fatto che sono stata in Africa mi ha sicuramente aperto le “orecchie” a nuove sonorità e ritmi e la cultura che ho conosciuto mi ha completamente affascinato.
Io, come ho detto, sono cresciuta sentendo e suonando musica classica e naturalmente c’é un fatto generazionale per cui sono cresciuta anche ascoltando rock.
Io vedo la musica che faccio come uno specchio di quello che mi piace e di quello che fa parte della mia generazione e background.
Quindi non mi sento di catalogare cosa faccio perché sarebbe un po’ complesso… diciamo che é jazz con influenze che vanno dal rock, al gospel, al classico al latino e underground etc.
Stai vivendo a New York. Perchè la scelta di installarti lì?
Dopo la parentesi di Parigi mi sono resa conto che avevo bisogno di muovermi in una città dove avessi più opportunità di suonare e dove ci fosse una particolare concentrazione di musicisti con diversi stili e ho pensato che New York era la città ideale.
Donna sassofonista, è piuttosto inusuale. Immagino che a volte in un ambiente di colleghi musicisti uomini tu ti sia trovata a dover fare uno sforzo supplementare per essere considerata. Hai notato delle differenze tra le attitudini maschili in Italia e quelle degli uomini negli States?
In Italia le donne strumentiste che fanno jazz sono nettamente in minoranza e sono ancora viste con un certo occhio di sorpresa e forse di preconcetto per via del fatto che una donna fa un mestiere che é più di dominio degli uomini… ma credo che succeda in diverse professioni.
Negli Stati Uniti siamo sempre in minoranza ma meno che in Italia… c’é sempre sorpresa ma gli americani sono più aperti di mentalità e si adattano più facilmente alle novità.
Mi é capitato diverse volte di essere in situazioni dove venivo giudicata musicalmente solo per il fatto di essere donna senza neanche essere ascoltata…
prima ero solita rimanerci male ma adesso mi fa sorridere… tra donne musiciste abbiamo così tante storie buffe di questo genere.
La settimana scorsa ho ricevuto una recensione del mio Cd che é uscito da poco (una recensione di una nota rivista americana specializzata in musica Jazz… inutile dire che chi ha recensito il CD é un uomo), la prima frase é la seguente:
“Il Cd di (Ada) Rovatti appare dubbioso dalla sua copertina, poiché la leader é rilassata seducentemente su un divano bianco tenendo a distanza il suo sassofono”.
A voi il commento.
Come sono i tuoi ritmi di lavoro? Ti dedichi unicamente alla musica? Viaggi spesso?
Sì, mi dedico solo alla musica, compongo, arrangio per orchestra, suono, insegno e ultimamente sto viaggiando abbastanza.
Solamente nell’ultimo anno sono stata in Russia, Inghilterra, Emirati Arabi, Colombia, Venezuela, e ho girato per gli Stati Uniti.
Come ogni musicista i miei ritmi di lavoro sono completamente irregolari.
Non esiste il sabato o la domenica, si lavora sempre… si é come uno sportivo che si prepara alle olimpiadi… bisogna sempre allenarsi…
Essere musicista non é una professione, é un modo di vita, si ha bisogno delle 24 ore per assorbire, rielaborare, approfondire quello che si studia, si sente e si vuole raggiungere.
Oramai non c’é soltanto il fatto di dovere praticare lo strumento, bisogna essere bravi con il business, spendere ore sul computer, insegnare, comporre, arrangiare, in più ai sassofonisti molte volte é richiesta anche una conoscenza del flauto traverso e clarinetto, se si vuole lavorare in Big Band.
Bisogna anche inventarsi un po’ il lavoro perché negli ultimi anni, nonostante il livello si alzi sempre di più, c’é proprio un po’ di crisi del settore.
E’ un momento strano perché c’é molto fermento a livello musicale, siamo tanti della “nuova generazione”, abbiamo tanta voglia di fare e idee ma c’é poco interessamento nell’investire capitali nella cultura musicale di un certo tipo (classica – jazz etc).
Ma il problema é molto più complesso… a partire dalla maggior parte delle scuole che non introducono le nuove generazioni a una certa cultura musicale… e che crescono sentendo per la maggior parte robaccia.
Dall’avvento delle discoteche la richiesta della musica dal vivo é crollata, oltre all’invenzione dei sample e musica elettronica, quasi tutto il lavoro di registrazione, dai cd, pubblicità etc. é stato sostituito dall’elettronica…
Purtroppo le varie unioni etc. non hanno fatto granché per tutelare la professione del musicista.
Adesso con l’avvento dei Cd, ipod, internet stream, internet radios etc., la pirateria ha portato via anche l’ultimo modo di poter fare qualche soldo, cioé i diritti d’autore e vendita di Cds…
Insomma, non é un momento molto roseo ma c’é molta voglia di fare e c’é tanta passione.
New York dev’essere un luogo privilegiato per chi fa jazz. Puoi raccontarci brevemente la “tua” New York?
La mia vita a New York è simile a qualsiasi altra vita di un musicista in un’altra grande città.
Certo che New York offre tanti spunti e c’é molto fermento in qualsiasi settore, dall’arte, alla finanza, alla moda, etc., quindi si é sotto pressione per “raggiungere”, “creare” e involontariamente si assorbono idee, e spunti.
New York non si ferma mai e si sente che si deve sempre correre a raggiungere qualche meta… il che ti rende molto produttivo ma ti può anche “burn out” come si dice qua, cioé bruciare.
Io tento di essere il più possibile coinvolta nella musica, oltre a suonare insegno, compongo, arrangio, lavoro con programmi musicali al computer, ho anche un piccolo spazio per registrare.
Come ho detto prima la musica per un musicista non é un lavoro ma uno stile di vita, é come una lampadina che non si spegne mai…
Quali sono i/le musicisti/e che hanno influenzato il tuo lavoro?
Ci sono tanti muscisti che mi hanno influenzato e mi influenzano giornalmente.
I “grandi” del jazz come Coltrane, Rollins, Gordon, Mobley , Monk, Mingus e tanti altri sono dei pilastri del linguaggio jazz e credo che ogni musicista abbia assorbito il loro linguaggio a prescindere da che strumento suoni.
Tra i più moderni apprezzo molto Bob Mintzer, Mike Brecker, Donny McClaslin e fonte di inspirazione giornaliera é sicuramente mio marito Randy Brecker.
Com’è il tuo rapporto con l’Italia? Ci torni spesso? Ci lavori? Come ti ci trovi, sia in termini umani che professionali, quando ti ci rechi?
Torno abbastanza spesso in Italia, soprattutto perché ho i genitori che vivono ancora là.
Sto iniziando a lavorare più spesso in Italia e spero che pian piano si sviluppino diverse opportunità di collaborazioni con artisti locali perché non c’é come essere a “casa”.
Ho lavorato spesso in Italia con il quartetto di Patrizia Scascitelli, ottima pianista e compositrice italiana che vive da anni qua a New York e con la quale ho stretto anche una forte amicizia.
Progetti futuri?
Sto iniziando a mettere le basi del mio prossimo CD come bandleader (ho già 3 Cd a mio nome) e quindi sono nel pieno della composizione e sto raccogliendo idee…
Vorrei poter registrare il mio quartetto con l’orchestra d’archi ma sto cercando uno sponsor o un’etichetta discografica che possa investire in un progetto di queste dimensioni.
Ho iniziato di nuovo ad arrangiare per Big Band e presto i miei arrangiamenti dovrebbero essere disponibili al pubblico.
Sto anche scrivendo esercizi per duetti.
Intervista a cura di Claudiaexpat
Maggio 2006
Potete acquistare i cd di Ada sul suo sito: www.adarovatti.com
Negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone sono anche disponibili nei negozi specializzati. (Tower Records, Virgin Megastore, etc).
Ada ha anche donato un suo pezzo per un Cd – compilation di brani scritti e suonati da donne e tutto l’incasso delle vendite va a diverse associazioni per la cura e prevenzione del tumore al seno.
Si può acquistare sul suo sito or su www.cdbaby.com nonchè sui vari siti delle musciste che hanno donato i loro pezzi.
Si intitola “Sax In The City” ed è frutto dell’idea di una cara amica di Ada, nonché bravvissima sassofonista, Laura Dreyer, https://www.lauradreyer.com