Home > Europa > Svizzera > Intervista ad Irene Pellegrini, dottore in sociologia
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Deborahexpat si è incontrata con Irene Pellegrini, dottore in sociologia, italiana che ha dato vita a una coinvolgente ricerca, che sicuramente vi interesserà.

 

In un freddo e piovoso pomeriggio di aprile, mi sono incontrata in un bar di Zurigo con Irene Pellegrini, dottoressa in sociologia, la quale mi aveva precedentemente chiesto se potevamo vederci per poter parlare di Expatclic, come associazione di italiani presente anche su suolo svizzero. Irene, infatti, sta conducendo una ricerca di post dottorato all’Università di Ginevra per studiare come la lingua e la cultura italiana siano cambiate in Svizzera, dal boom dell’immigrazione italiana negli anni ’50, quando gli immigrati arrivavano qua con solo la valigia di cartone, ai giorni odierni con la rivoluzione digitale e l’espansione di social media e del mondo digitale in generale.

Trovo molto carino anche il titolo del suo progetto, che rispecchia in pieno le sue intenzioni: “Dalla valigia di cartone al web”. In effetti, italiani di prima, o seconda, o terza generazione ci sono un po’ ovunque in tutto il mondo e l’emigrazione italiana c’è sempre stata, più intensa in alcuni periodi, più diluita in altri. Ma non è sicuramente un fenomeno solo di recente data, quando si parla (forse erroneamente) della cosiddetta “fuga di cervelli”. Approfittando della disponibilità e gentilezza di Irene e data la mia curiosità e gioia nel conoscere gente nuova, le ho fatto una piccola intervista.

 

Chi è Irene Pellegrini?

(Ride) Devo iniziare da quando sono nata? Scherzi a parte, sono maremmana (di Grosseto) ma all’età di 19 anni mi sono spostata a Roma, città che amo e che mi ha adottata. Quindi mi sento sicuramente metà maremmana e metà romana. A Roma ho frequentato la facoltà di sociologia all’Università la Sapienza: nel 2004 ho conseguito la laurea e a questa sono succeduti quattro anni di dottorato e due anni di post dottorato. Quest’ultimo è stato un progetto quasi interamente autofinanziato, ma l’argomento mi stava molto a cuore e così ho deciso di proseguire anche se mi è costato sacrifici.

Di solito si dice che un sociologo dovrebbe essere distaccato dalla ricerca che fa. In realtà, nel mio caso gli argomenti dei miei vari progetti di ricerca sono sempre stati di stampo autobiografico. Dagli anni passati alla Sapienza dove ho trattato argomenti come l’omofobia e l’omofobia nelle scuole, al presente dove sento forte la presenza italiana in suolo svizzero, più che in altri posti dove sono stata (per esempio San Francisco e Dublino). Sono arrivata a Zurigo un anno e mezzo fa per seguire la donna che amo e girando per le strade a volte dimenticavo di non essere in Italia, perché ad ogni angolo si può sentire l’italianità integrata in questo paese. Pur tenendo fuori il discorso cibo/cucina, che quello richiederebbe una ricerca a parte.

 

irene pellegrini

Deborah (in primo piano) con Irene durante l’intervista

… e così è nata l’idea di questo progetto?

Sì, è nata proprio così: guardandomi attorno. Io sono un’autobiografica ….. c’è chi direbbe che sono egocentrica (ride). La mia professione ha a che fare con la narrazione, in primis con i racconti delle persone. Mi vengono idee basate su quello che vivo sulla mia pelle. Ho sempre voluto e non ho mai rinunciato ad esercitare la mia professione. Ho iniziato quindi a lavorare sull’idea di questo progetto quando sono arrivata a Zurigo, mentre studiavo tedesco, davo lezioni di italiano e avevo iniziato a collaborare con l’associazione “Coscienza Svizzera”, che è un gruppo di studio ed informazione per la Svizzera italiana. Poi ho preso contatto con Sandro Cattacin, professore ordinario al dipartimento di sociologia dell’Università di Ginevra con il quale ho perfezionato il progetto e ho cercato fondi per finanziare la ricerca. Dopo un po’ di attesa, finalmente siamo riusciti ad ottenere un finanziamento per un post dottorato part-time al 50%, anche se poi nella realtà ci lavoro al 150%. Ma è un tema che mi affascina, ho la completa responsabilità della ricerca e mi sembra che attorno a me ci sia fiducia, quindi non sento il peso del lavoro che sto facendo.

Mi potresti parlare un po’ più nel dettaglio del progetto?

Il progetto dura tre anni, condotto dall’Università di Ginevra e finanziato dall’Istituto federale per la cultura e dall’Università di Friburgo. L’obiettivo è quello di ricostruire la comunità di italiani in Svizzera, soprattutto la parte tedesca e francese, dagli anni 50 ad oggi…anzi, fra tre anni. Una ricostruzione storico-sociale. Insieme a me, lavora Toni Ricciardi, dottore in storia, che si occupa appunto del risvolto storico del progetto, mentre io copro quello sociologico. Questa ricerca di tipo storico-sociale, dovrebbe darci anche la possibilità di esplorare come sono cambiate le modalità di comunicazione degli italofoni tra di loro e degli italofoni con gli svizzeri.

L’ipotesi da cui partiamo è che ci sia una presenza totale della lingua italiana, soprattutto nella svizzera tedesca, dovuta sicuramente all’immigrazione passata, poi anche dal fatto che la Svizzera è un contesto piccolo, dove vivono tanti stranieri (più del 20% della popolazione svizzera è costituita da stranieri), per cui le lingue e le culture per forza si mischiano. E ormai si mischiano da più di 60 anni. Quindi è nostra intenzione andare ad esplorare cosa è successo ai percorsi degli italiani anche al di fuori dell’italofonia. Mi piacerebbe portare alla luce proprio le storie di vita, incrociate tra diverse estrazioni culturali, linguistiche, geografiche, sociali e vedere quale è l’apporto dell’italiano in tutto questo. Quindi non soltanto l’ortodossia.

È giusto proteggere la lingua italiana in Svizzera, perché è una lingua ufficiale e perché tutte le minoranze dovrebbero essere rappresentate, tanto più quando così numericamente importanti. Però difendere una minoranza culturale e linguistica non significa fare una gerarchia di minoranze e d’identità e soprattutto pensare che l’italiano sia solo degli italiani. Dal momento in cui si espatria, quindi dal momento in cui stiamo parlando degli italiani fuori dai confini italiani, stiamo dando una dimensione dell’italiano che non è più solo degli italiani. Così come il tedesco, il francese, il turco, l’arabo, etc … Quindi l’idea è di andare verso una concezione multiculturale e multi linguistica della società.

Vecchia macchinaQuando è iniziato il progetto?

Dal primo marzo 2016, quindi da poco più di un mese. Infatti al momento sono ancora nella fase esplorativa del mondo digitale e di raccolta dati. Andare ad esplorare queste nuove modalità di comunicazione significa, per forza (o per fortuna), esplorare il mondo digitale. Quindi con l’idea di avere questo accesso al mondo digitale e con questa idea democratica/partecipativa della ricerca, l’aver aperto una pagina Facebook del mio progetto è significato avere a valanga una serie di input che dovrò gestire.

Come raccogli le informazioni?

Io non sto seguendo il metodo convenzionale utilizzato in sociologia, ossia l’impiego di questionari standardizzati, preferisco incontrarmi con le persone e fare interviste che in sociologia si chiamerebbero “aperte” o raccolta di racconti di vita, ascoltarli mentre mi raccontano la loro esperienza. Mi piace l’idea di poter instaurare un rapporto con gli attori sociali della mia ricerca. Forse facendo così mi perdo qualcosa, ma posso sempre poi ricontattarli chiedendogli di rispondere a quelle due-tre domande che non abbiamo coperto. Il viceversa non sarebbe possibile, il rapporto non si sarebbe instaurato se avessi semplicemente spedito un questionario via e-mail. Vorrei che il rapporto andasse avanti nel tempo. Quelli che raccolgo io non sono dati nel passato, che è compito dello storico, ma sono dati che si svolgono longitudinalmente nel tempo, nel futuro.

Al momento mi sto focalizzando principalmente sull’intervista ad associazioni. Poi in particolare sto esplorando l’italianità da un punto di vista musicale e sportivo.

Quando c’è stato il boom della migrazione degli italiani verso la Svizzera?

La primissima ondata risale agli inizi del 1800 ed erano soprattutto persone provenienti dal nord dell’Italia, perché geograficamente più vicini. Poi c’è stato un boom d’immigrazione negli anni ‘50, nel dopoguerra, anche dal sud. La Svizzera era l’unico paese in Europa a non essere distrutta e quindi aveva bisogno della manodopera che potevano fornire gli italiani (c’era una richiesta di manodopera altissima), che non potevano esercitarla in Italia, poiché il paese era ancora distrutto. Quegli immigrati italiani lavoravano in Svizzera, spedendo periodicamente soldi ai famigliari rimasti in Italia. E questo esodo dall’Italia alla Svizzera è durato per 20 anni, fino alla metà degli anni 70, per cui gli italiani erano la prima comunità di stranieri in Svizzera. In tanti sono rimasti, quindi ci sono seconde e terze generazioni. Altri, invece, sono ritornati in Italia per il pensionamento o quando i figli sono arrivati all’età scolastica (per poter dar loro un’educazione scolare italiana). A quel punto avevano già guadagnato e risparmiato abbastanza per poter aprire un’attività o comunque ricominciare la vita in Italia.

La presenza italiana è sempre stata molto forte, ma ha avuto un calo ad un certo punto. Accanto a ciò, negli ultimi anni, credo anche per la brutta idea che l’Italia ha dato politicamente, c’è stata un po’ una crisi dell’italiano come lingua e cultura in Svizzera. Quasi come se non si fidassero più degli italiani. Da due-tre anni, la comunità italiana in Svizzera ha ricominciato a crescere, sicuramente dovuto alla crisi economica in Italia e vedremo che succederà istituzionalmente al gruppo italiano. Certo è che, essendo lingua nazionale, l’italiano ha delle facilitazioni (per esempio parte dei fondi per questo progetto sono stati messi dalla Federazione svizzera, soldi che probabilmente non avrebbe investito per uno studio della lingua spagnola in Svizzera). Quindi l’italiano in Svizzera ha uno statuto particolare che non ha nel resto del mondo.

valigiePensi che i recenti referendum votati in Svizzera a favore della diminuzione degli stranieri in terra elvetica possano influenzare anche la presenza italiana?

No, non credo. Credo che i cittadini europei e quindi anche noi italiani, non verremo toccati da queste restrizioni, a livello di rilascio del permesso di soggiorno. Poi la facilità di trovare lavoro, quello è un altro discorso. Probabilmente però ne risentiranno gli extra-comunitari.

Trovi differenze tra l’emigrazione degli anni ‘50 e quella attuale?

L’emigrazione che viviamo adesso, nella maggior parte dei casi, è diversa da quella che hanno vissuto gli italiani che si spostavano negli anni ‘50. Oggigiorno, noi abbiamo le spalle coperte, bene o male. Possiamo fare affidamento sui genitori e amici, e sicuramente le distanze si sono accorciate sia grazie al miglioramento dei mezzi di trasporto (che sono diventati anche più economici), sia a livello digitale. Credo che noi possiamo considerarci privilegiati, rispetto ai nostri antenati, i quali, come abbiamo già detto, spedivano regolarmente del denaro ai fratelli, sorelle, zii, cugini, nonni rimasti in Italia. Però, oggi come ieri, ci vuole tanta determinazione. Io vedo tanti blog e siti in cui pubblicizzano l’uscita dall’Italia e quindi l’emigrazione come una cosa bellissima, senza difficoltà. Non è così! Non stanno aspettando te, non si trova l’oro fuori dall’Italia. Non dico che non si debba fare, ma ci vuole determinazione e coraggio.

Poi, diciamocelo, non è che lo spostamento in Svizzera oggigiorno avvenga nel vuoto, siamo avvantaggiati dalla presenza di una comunità italiana consolidata e solida. La nostra comunità è sicuramente più estesa e consolidata rispetto alle persone dell’est Europa, per esempio. Parlando più in generale, a questo riguardo, io mi ritengo fortunata di essere italiana quando sono all’estero, perché bene o male gli italiani sono accettati, rispetto ad altre nazionalità, che ne so, i turchi. Nonostante ci piaccia piangerci addosso, noi siamo fortunati più di altri. Adesso. Sono sicura che per i nostri antenati sia stata tutta un’altra storia. E sarebbe giusto dare un po’ di giustizia storica a queste persone. E invece si fa il contrario, perché adesso c’è la “fuga dei cervelli” e prima cos’era??? La fuga degli “ignoranti”? Io personalmente mi sono sentita in fuga, ma mai un cervello (ride)! E guardandomi attorno, non è che tutti gli italiani all’estero siano degli “Enrico Fermi”. Sicuramente ci sono anche persone super intelligenti, ma ci sono anche persone comuni che sono scappate da una situazione che gli andava stretta.

Come possono fornire il loro contributo, gli italiani residenti in Svizzera?

Sicuramente possono seguire la pagina Facebook del progetto (“Dalla valigia di cartone al web”), cliccando su “mi piace”. Lì è dove pubblico aggiornamenti sulla ricerca e articoli correlati. E possono anche dare il loro aiuto, contribuendo all’album fotografico “L’italiano tutti i giorni”. L’idea è quella di fotografare le presenze fisiche ed inaspettate dell’italianità in Svizzera, per esempio una scritta in italiano che non c’entra niente in quel contesto, dal momento che siamo al di fuori dell’Italia e quindi da un contesto italiano. Così come gli errori di traduzione che si possono trovare su prodotti al supermercato, per esempio. Se poi fanno parte di una associazione, di un gruppo musicale o di un gruppo sportivo di italiani in Svizzera, mi possono contattare al mio indirizzo mail Irene.Pellegrini@unige.ch e sarò felice di intervistarli. Sono comunque sempre a disposizione per domande e curiosità.

E dopo tre ore di chiacchiere e di confronto sulla lingua e la cultura italiana in Svizzera, tre ore che sono state talmente piacevoli da essere passate in un batter d’occhio, ci siamo salutate dandoci tre baci sulle guancie come fanno gli svizzeri (ormai viene naturale a tutte e due)…a proposito di unione di culture!

Deborah Patroncini  (Deborahexpat)
Zurigo, Svizzera
Maggio 2016

 

Link nell’articolo:
Coscienza Svizzera, https://www.coscienzasvizzera.ch/
Sandro Cattacin, https://www.differences.ch/contact-us.php
Toni Ricciardi, https://www.differences.ch/contact-us.php
Istituto federale per la cultura, https://www.bak.admin.ch/index.html?lang=it
Facebook, Dalla valigia di cartone al web, https://www.facebook.com/valigiaweb/
Album su Facebook, L’italiano tutti i giorni, https://www.facebook.com

 

 

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