Home > Testimonianze > Amicizia in espatrio: mantenere i contatti sì o no?
amicizia in espatrio

Giulianaexpat ci racconta una storia di amicizia in espatrio, un’amicizia che è finita con la partenza della sua amica, che preferiva tagliare i ponti con tutto quello che si lasciava alle spalle rientrando nel suo paese, il Giappone…

L’amicizia in espatrio è destinata ad avere una scadenza?
Quando mi è capitato nella vita di dover salutare amici per me importanti, o perché io partivo o perché loro se ne andavano, ho sempre cercato di mantenere i contatti. Anzi, in questo sono abbastanza brava. Una telefonata per il compleanno o a Natale, un messaggio ogni tanto e appena possibile l’impegno per organizzare di incontrarsi.

Ma mi rendo conto che non per tutti è così: ci sono persone che quando lasciano un luogo, preferiscono voltare pagina completamente, senza restare in nessun modo agganciati a un capitolo della propria vita che ritengono chiuso. A me questo sembra un po’ innaturale, eppure non solo ho sentito persone sostenere che sia meglio così, ma mi è anche capitato di perdere un’amica che la pensava proprio in questo modo (ma ovviamente speravo che per me avrebbe fatto un’eccezione!).

Quella che voglio raccontare è una storia che mi rende un po’ triste.

Appena arrivata qui in Romania ho incontrato alla scuola dei miei figli una mamma giapponese. Fortuna ha voluto entrambi i suoi figli fossero in classe con i miei.

Akemi (la chiamerò così) era (e sicuramente è ancora) una donna straordinaria. Aveva alle spalle una carriera importante di ballerina classica. Per studiare danza aveva lasciato il Giappone giovanissima, poco più che bambina, alla volta dell’America. Da lì, aveva calcato i palchi di tanti, tantissimi teatri del mondo e sulle punte aveva vinto diversi premi internazionali. Dopo una pausa di qualche anno, qui in Romania aveva ripreso a studiare perché la danza era tutto per lei e, anche se ormai non aveva più l’età per la carriera, magari un giorno avrebbe potuto insegnare.

Arrivava a scuola a prendere i bambini dopo aver ballato per ore, con uno zaino più grande di lei con dentro le scarpe e il tutù. A casa aveva la sbarra e mi piaceva pensare che mentre io bevevo il caffè o lavoravo al computer, lei si esercitasse a quella sbarra, che, a quanto mi diceva, era l’unico posto al mondo in cui si sentiva davvero sé stessa.

Akemi era sottile come un giunco e aveva lunghi capelli neri che, quando non ballava, teneva sciolti sulle spalle. Alla Giornata delle Nazioni Unite, in cui tutti portano a scuola i piatti tipici del loro paese e ne indossano i vestiti tradizionali, mentre io giravo per il cortile della scuola servendo pizza vestita di bianco, rosso e verde, lei si era presentata con un kimono da sogno, aveva messo su un tavolo delle tovaglie meravigliose e dei piatti finemente decorati pieni di sushi. E poi mi aveva confidato ridendo di non aver bevuto niente dalla mattina perché fare la pipì con il kimono sarebbe stato un problema.

Insomma, Akemi a me sembrava uscita da un romanzo, ma la cosa più straordinaria di lei era il fatto che scrivesse lettere. Lettere vere, scritte a mano con la grafia un po’ incerta di chi è abituato ad usare tutt’altri caratteri, lettere scritte su una carta da lettera decorata.

In quelle lettere, ma anche durante i tanti pranzi insieme (era golosa, Akemi, amava la pizza e il gelato, anche se a vederla non lo si sarebbe mai detto!) mi aveva raccontato di tutto quello che non funzionava nella sua vita, del suo matrimonio e della sua famiglia. Del sogno di riuscire a cambiare tutto e di insegnare danza, o magari di aprire una scuola tutta sua. Qualche volta piangeva perché le sembrava impossibile riuscire a conquistare una vita diversa e io la ascoltavo e mi dicevo che ero stata fortunata a incontrarla.

Ogni tanto ridevamo insieme e lei mi diceva che, una volta anziane, ci saremmo ritrovate, a Tokyo, a Milano o a Bucarest, chissà, e io avrei scritto la sua storia e sarebbe diventato un best seller internazionale.

Un giorno mi raccontò anche, ma a questo ho pensato dopo, che prima che arrivassi io, aveva avuto qui un’altra amica molto stretta, che poi se ne era andata in Canada. Io le avevo chiesto se la sua amica si trovasse bene in Canada e lei mi aveva risposto di non averne idea perché aveva preferito lasciarla andare completamente, perderla di vista, perché quando uno cambia paese cambia vita e non ha senso mantenere il contatto. Ci si deve concentrare su quello che si ha davanti in quel momento, e non su quello che è stato.

E poi, proprio poche settimane prima del covid, Akemi e la sua famiglia hanno deciso di partire, di tornare a Tokyo.

L’ultima volta ci siamo incontrate in un ristorantino dove eravamo già state altre volte. Lei mi ha regalato uno specchietto rivestito di seta decorata e io una foto di noi due incorniciata e, siccome me l’aveva chiesto, una copia di un mio libro con una dedica. Sapevo che non avrebbe mai potuto leggerlo, ma mi faceva piacere pensarlo in Giappone con lei. Quel giorno mi disse che era sicura che ci saremmo riviste. Io le chiesi un indirizzo email: mi sembrava il modo migliore per avere un suo contatto, visto che di lì a pochi giorni non avrebbe più avuto un numero rumeno. Scrisse un indirizzo sulla mia agendina.

Un paio di settimane dopo ho provato a scriverle a quell’indirizzo. La mail mi è tornata indietro, come se  non esistesse. Ho riprovato, ho cercato di capire se potessi aver letto male quello che aveva scritto, ma niente.

Non ho altri riferimenti per ritrovarla e comunque mi sembra giusto rispettare la sua volontà di non essere trovata, tanto più che se lei volesse cercarmi saprebbe come fare. Ogni tanto mi dico che magari un giorno, chissà, si farà viva, ci incontreremo da qualche parte e scriveremo insieme davvero la sua storia, come dicevamo una volta.

In realtà però non credo che ci risentiremo mai, e, pur rispettandolo, non riesco davvero a capire il suo punto di vista. Spero che sia riuscita a costruirsi la vita che desiderava, laggiù in Giappone, spero che riesca a ballare il più possibile, come sognava. Spero insomma che sia felice e che magari ogni tanto ripensi all’amica italiana incontrata a Bucarest, con cui ha fatto un pezzettino di strada (che io avrei voluto più lungo!).

Giuliana Arena (Giulianaexpat)
Bucarest (Romania)
Maggio 2022

 

 

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