Home > Testimonianze > Dal diritto per sé ai diritti per tutti: l’espatrio di Cécile Kyenge

Tempo fa, nella redazione di Expatclic, si parlava di donne con esperienze di espatrio di successo. Mi venne subito in mente una donna che ha trasformato il suo espatrio in un grande successo: Cécile Kashetu Kyenge, di origine congolese, medico e ministro della Repubblica italiana (la prima di origini africane), poi al Parlamento Europeo. Mi sembrava di puntare troppo in alto, ma provai comunque a chiederle un’intervista senza farne parola con le altre. Indovinate un po’? Eccola qui…

Entro nel dedalo di corridoi del Parlamento europeo di Strasburgo e, dopo aver perso più volte l’orientamento, raggiungo l’On. Cécile Kyenge al bar, dove lei spera di poter fare colazione (brioche, tè caldo e succo d’arancia). Alla fine, sarà talmente generosa nella conversazione, che riprenderà il suo lavoro quasi a stomaco vuoto. Perché lei è così: generosa, calma, ispirata e determinata nel suo lavoro.

“mi sono ritrovata da un giorno all’altro a crescere, a ritrovarmi responsabile di me stessa, senza soldi, senza alloggio, senza borsa di studio, senza iscrizione”

Cécile Kyenge

Un arrivo con inciampo

“Io non pensavo di espatriare”, mi dice. “Volevo semplicemente fare il medico. Nella mia città questa facoltà non c’era, e dovetti partire”. In molti le dicevano di rinunciare e di studiare altro, di restare, ma la giovane Cécile voleva fare il medico e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Non si arrese nemmeno davanti al destino che la vide iscritta alla facoltà di farmacia della capitale, a 2500 km da casa sua, Kambove. Seguì lì i corsi di medicina pur non essendo iscritta, contattò più volte il rettore per essere trasferita. Ma non ottenne nulla. Allora, si rese disponibile per un espatrio. “Ovunque: in Cina, Francia, UK, non mi importava la lingua”, mi dice con trasporto, come se tutto questo fosse successo ieri.  Finalmente arrivò una borsa per l’Italia, Roma. Di nuovo il destino si mise in mezzo, e Cécile arrivò con un giorno di ritardo a Roma. Mi racconta: “Mi sono ritrovata da un giorno all’altro a crescere, ad essere responsabile di me stessa, senza soldi, senza alloggio, senza borsa di studio, senza iscrizione”. Ma stiamo parlando di Cécile Kyenge, una donna gentile e determinata, che non si arrende. E quando le chiedo cosa direbbe oggi alla se stessa dell’epoca, mi dice senza esitazione: “fai la stessa cosa!”

“gli incontri che ti cambiano la vita totalmente, che ti aprono gli occhi, ti rafforzano. Anche se non lo fanno in quel preciso momento, a distanza di anni ti rendi conto che un incontro ti ha cambiata”

Destini incrociati

C’è’ un incontro che diventerà importantissimo ed entrerà a far parte di quelli che lei chiama i “destini incrociati” ovvero “gli incontri che ti cambiano la vita totalmente, che ti aprono gli occhi, ti rafforzano. Anche se non lo fanno in quel preciso momento, a distanza di anni ti rendi conto che un incontro ti ha cambiata”. Per un altro strano errore infatti, non incontra il suo contatto a Roma, ma un prete ungherese, rifugiato in italia, che capisce quindi lo stato d’animo di qualcuno che viene da lontano e si trova in difficoltà.

È la voglia di diritto allo studio che ha portato Cécile Kyenge all’espatrio, perché aveva già imparato che “se non si riesce a dare un seguito, una concretezza, ai sogni e i desideri di studio dei giovani, allora il sistema non funziona!”

Padre Bekes cerca di aiutare Cécile, e le trova un posto dove stare. “Nonostante lui non fosse abituato ad avere a che fare con persone di origini africane e tantomeno con una ragazza”. L’onorevole si ferma un piccolo istante, riflettendo sul fatto che oggi, con l’attuale clima politico, forse quella porta sarebbe invece rimasta chiusa. Non è sempre facile per Padre Bekes, e a volte lui prova a convincerla a desistere, a tornare a casa. Solo che lei glielo dice chiaramente: “io da qui parto solo con una laurea di medicina in tasca”, anche se a volte non ha nulla da mangiare. È la voglia di diritto allo studio che ha portato Cécile Kyenge all’espatrio, perché aveva già imparato che “se non si riesce a dare un seguito, una concretezza, ai sogni e i desideri di studio dei giovani, allora il sistema non funziona!”

Cécile Kyenge

L’incontro con padre Bekes torna ad essere importante, anni dopo. È solo quando Cécile Kyenge diventa ministra che il suo monastero scopre che anni addietro aveva aiutato una giovane ragazza. Entrano in contatto con lei e le chiedono di visitare la loro comunità romana, ma anche di presentare la sua strategia olistica sull’immigrazione in Ungheria. Proprio mentre si trova lì, inizia la grande marcia dei migranti che dalla Siria cercano di oltrepassare il confine Ungherese. Il monastero apre le porte ai migranti e Cécile si muove verso il confine, trovandosi ad aiutare le donne ed i bambini ad attraversare la frontiera. Mi racconta con trasporto e tenerezza dei bimbi caricati in braccio, perché esausti dato che i loro genitori, già carichi di pacchi e di bimbi ancor più piccoli, non potevano portarli. “Tutto parte da un semplice incontro”, ed in quell’occasione è come se mi fossi riconnessa a Padre Bekes, che mi accolse e mi sostenne senza conoscermi, dice sorridendo mentre prova a bere un sorso di tè ormai tiepido.

Un altro ‘destino incrociato’ è quello con Regina Catambrone, avvenuto a Lampedusa. Nel 2013 i Catambrone avvistano da una nave un giubbotto di salvataggio e delle scarpe, resti del naufragio avvenuto nel 2013 di fronte l’isola di Lampedusa che causò centinaia di vittime. In risposta fondarono l’associazione MOAS, per “ fornire un esempio di risposta da parte della società civile alla crisi in corso”. Cécile Kyenge la incontra per caso a Lampedusa e questo incontro contribuirà in maniera importante al lavoro parlamentare dell’onorevole, mi racconta.

“le cose si cambiano da dentro, facendo un percorso di formazione e sacrifici”

Da un espatrio temporaneo ad uno stabile

Anche l’ingresso in politica è dovuto ad un incontro casuale, grazie  “all’integrazione attraverso i genitori delle scuole”. Un altro ‘destino incrociato’ quello con una donna, con cui Cécile Kyenge si trova a combattere una piccola lotta per ottenere posto all’asilo per alcuni bimbi esclusi dalla graduatoria comunale. È l’inizio di un percorso che da attivista la vede entrare nella politica locale. Un percorso che lei ritiene importantissimo per instaurare un rapporto diretto con i cittadini. Anche adesso, mi spiega entusiasta, il mio ufficio si trova di fronte al mercato, così la gente passa, entra, si riducono le distanze. E fare politica è qualcosa che Cécile Kyenge consiglia caldamente, “perché le cose si cambiano da dentro, facendo un percorso di formazione e sacrifici”.

“le difficoltà iniziali, dovute alla lingua, al fatto di non avere soldi eccetera, erano scogli superabili attraverso l’integrazione”

Cécile Kyenge

Quando ho chiesto all’onorevole se le difficoltà dell’espatrio fossero cambiate dopo la decisione di rimanere, ha risposto che le difficoltà iniziali, dovute alla lingua, al fatto di non avere soldi eccetera, erano scogli superabili attraverso l’integrazione. La lingua l’aveva imparata velocemente, dando lezioni private di chimica e di fisica ad una compagna di collegio, leggendo i libri che le prestava una maestra, e ascoltando Radio Montecarlo o Radio Stella. Sono scambi, dice, che mi hanno aiutata ad imparare lingua e riferimenti culturali, per sentirmi meno esclusa.

Scegliendo di restare, invece, la prospettiva è cambiata completamente, “un po’ come quando compri la casa che prima affittavi, cambia tutto, proprio tutto”, spiega. Innanzitutto si rende conto che per lavorare in ospedale occorre la cittadinanza italiana di cui lei è sprovvista. Inoltre inizia a vedere discriminazioni grandi e piccole, alle quale non faceva caso quando pensava che sarebbe ripartita: “ho iniziato a vedere dove c’erano gli ostacoli, i muri, e sono cambiate le mie priorità: oltre a lavorare, sono diventata attivista”. Fonda quindi un’associazione che la porta spesso in Africa per andare ad operare gratuitamente nelle savane nelle foreste, e ad insegnare nelle università locali. È anche un modo per combattere quel senso di colpa per non essere tornata in Congo, “quella sensazione di aver tradito il proprio progetto iniziale”. Infatti, al momento, del conseguimento della laurea, la situazione politica in Congo precipita e lei decide di rimanere in Italia.

“La questione della cittadinanza, mi dice, è stata molto complicata, perché significava rinunciare alla cittadinanza del mio paese di origine e, al contrario di quello che pensano in molti oggi, questa non è una cosa semplice. All’inizio sentivo di tradire nuovamente il mio paese. Fu per me quasi un percorso spirituale, dovevo essere convinta di quello che facevo. Mi sono resa conto che prendendo la cittadinanza italiana, cosa che volevo fare, e rinunciando a quella congolese, cosa che mi pesava, non avrei perso in realtà la mia cultura. Sì, sulla carta non ero più congolese, ma le mie origini erano dentro di me, sarebbero rimaste con me per sempre”.

È mia madre, alla quale ero legatissima, che mi ha insegnato a vedere i deboli, ad approcciarmi a loro. E mi rendo conto che quello è un insegnamento concreto che mi porto dietro sempre.

Gestire la famiglia

No, non parliamo di come una madre può gestire lavoro e famiglia, siamo su Expatclic!
Parliamo di come si gestisce una famiglia lontana, quando succedono cose belle e cose brutte. E di come si gestiscono figli che hanno diverse culture dentro di sé.

Con le figlie è stato semplice, dice l’ex ministra, basta fare le cose in maniera naturale, come vengono. Io ho sempre pensato che dovessero parlare bene l’italiano, per il loro futuro, ma ho sempre usato la prima lingua che mi veniva in mente. Idem per la cucina, per i riferimenti culturali, per tutto. Mi portavo sempre le bimbe in giro, alle iniziative culturali, nelle quali le tiravo sempre dentro, con travestimenti vari e non sempre di successo. Ma il complimento più bello me lo ha fatto recentemente una delle mie figlie, musicista a Londra, che mi ha detto di dover tanto a quelle scorribande culturali ed associative. Insomma, ho sempre trasmesso loro quello che facevo, le mie passioni. Come facevano i miei genitori, quando mi portavano con loro a dare le nostre cose o del cibo alle persone meno abbienti. È mia madre, alla quale ero legatissima, che mi ha insegnato a vedere i deboli, ad approcciarmi a loro. E mi rendo conto che quello è un insegnamento concreto che mi porto dietro sempre.

Proprio la madre era il collante più forte della famiglia, uno dei motivi principali per tornare, la cui lontananza è stata in alcuni momenti durissima. Ora, senza di lei, mi sento sempre un po’ più straniera quando rientro, racconta. Dopo la sua scomparsa è cambiato il modo di gestire gli affetti. Adesso siamo tantissimi, e sparsi per il mondo, i nostri rapporti si tengono in piedi anche grazie ad un gruppo social, che ci tiene tutti informati degli avvenimenti più importanti della famiglia.

Cécile Kyenge

“trasformare ciò che è negativo in qualcosa di positivo, e non perdere mai la speranza perché, dice, insieme possiamo veramente cambiare”

Concentrarsi sui valori, per superare la tempesta

Mentre ascolto l’onorevole Kyenge, non posso fare a meno di notare la sua calma e pensare invece a tutti gli attacchi personali, anche razzisti, che ha ricevuto. Così le chiedo com’è lavorare in un clima così, riuscire a continuare senza entrare nel gioco della polarizzazione comunicativa a cui assistiamo quotidianamente. Lei sorride ed inizia a raccontarmi del gioco dei colori: quando ero piccola, mi dice, avevo una specie di fobia per il colore bianco. E allora, per superare questa paura, iniziai a mischiare nella testa il nome dei colori. Iniziai cioè a chiamare il bianco giallo, il verde rosa, ecc. per gioco, così ogni volta che vedevo il colore che mi faceva paura, lo associavo ad un altro colore, che non mi faceva paura. Funzionò.

È proprio questo quello che bisogna fare, trasformare ciò che è negativo in qualcosa di positivo, e non perdere mai la speranza perché, dice, insieme possiamo veramente cambiare

“Per me questo lavoro è vita, lo faccio perché mi appassiona, fa parte di me, non perché lo devo fare”.

Bisogna fare il gioco di cambiare le cose, è un atteggiamento che mi aiuta in quello che faccio. Bisogna vedere quello che sta succedendo in Italia, in Europa e anche nel mondo come una tempesta che ha fatto perdere la testa a tanti. Perché se immaginiamo che sia una tempesta, sappiamo che è qualcosa di passeggero, che passerà, e possiamo lavorare per ricostruire.

Per non lasciarsi andare alla polarizzazione, mi dice con pacatezza e al contempo con trasporto, bisogna farsi guidare dai valori positivi. La polarizzazione a cui assistiamo è attaccata a valori sbagliati, quelli di vincere le elezioni. Io preferisco seguire gli obiettivi politici che ritengo giusti, e lavorare per realizzarli, senza pensare all’effetto che fanno sulle elezioni. Per me questo lavoro è vita, lo faccio perché mi appassiona, fa parte di me, non perché lo devo fare. Qui nessuno controlla se e quando entriamo o usciamo, ma io ci sono sempre, perché il parlamento europeo per me è un’opportunità di crescita, fa parte di me, come la scuola tanti anni fa.

I sogni

Mentre, gentilissima, mi accompagna all’uscita tra i contorti corridoi, ribadisce la sua passione politica, per questo lavoro che non sente come un lavoro, ma come un’enorme opportunità. “Sono passata dal sognare per me, al sognare per tutti”, mi dice con semplicità. E mentre pedalo per le strade di Strasburgo, penso: Cécile, espatriata sognando il diritto allo studio, ora sogna i diritti per tutti.

Venusia Vinciguerra Veum (Venusiaexpat)
Strasburgo, Francia
Settembre 2019
Foto di copertina ©VenusiaVinciguerraVeum
Tutte le altre foto provengono dalla pagina Facebook ufficiale di Cécile Kyenge

 

 

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