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Silviaexpat ha vissuto circa sette anni in Pakistan, paese che ha rappresentato moltissimo per lei e per la sua famiglia e che per anni è stato per tutti e tre ‘casa’. Qui di seguito il suo racconto.

 

Ho vissuto sette anni in Pakistan, per la precisione dall’autunno del 1993 al dicembre del 1997 nei Territori del Nord, a Gilgit; e dall’estate 2002 al dicembre 2005 a Islamabad.

Sette bellissimi e magici anni che hanno rappresentato una tappa fondamentale nel mio percorso personale e che hanno fatto di me la cittadina del mondo che sento di essere.

Perchè pur avendo già alle spalle lunghi percorsi di studio (e non solo) all’estero, il mio espatrio vero e proprio è iniziato nel 1994 in Pakistan legato a doppio filo alla mia vita personale e sentimentale.

Avevo infatti deciso di seguire il compagno a cui ero legata da pochi mesi, un giovane tedesco che si trasferiva a Gilgit per partecipare ad una grossa ricerca etnologica, geografica, linguistica cui lavorava da anni l’Università di Bonn.

Così, io che avevo conosciuto Matthias a Damasco e che sognavo di tornare a vivere tra Siria e Libano, mi ritrovai all’alba del mio 31° compleanno su un volo della British Airways, volare verso un paese di cui davvero non sapevo granchè se non che fosse lontano, poco conosciuto e ancora molto molto esotico.

Lpakistana zona del Pakistan dove avrei passato i miei primi quattro anni è quella zona chiamata Il Tetto del Mondo, dove alcune tra le più imponenti catene montuose del pianeta si incontrano dando vita a valli meravigliose dominate da cime inespugnabili come il Rakaposhi o il Nanga Parbat e dove si trovano villaggi improbabili oltre i 3,500m di altezza, verso i ghiacciai più alti del mondo ai piedi delle “Dolomiti” pakistane…

Insomma, uno spettacolo da mozzare il fiato, letteralmente, come il viaggio in pullman verso il Khunjerab Pass, là dove a 4,800 m di altezza si trova la frontiera più alta del mondo, quella con la Cina e dove, superate le formalità, si scivola giù lungo straordinari paesaggi sull’altopiano del Pamir fino ad arrivare, inshallah, nella magica cittadina di Kashgar.

Quei primi 4 anni nel nord del Pakistan sono stati anche anni formativi dal punto di vista professionale; ho infatti avuto la fortuna di entrare come stagista presso la Agha Khan Rural Support Program, una ONG diretta dall’Agha Khan Fundation (con sede a Ginevra) che dal 1989 si occupava di sviluppo rurale in tutti i Territori del Nord del Pakistan.

pakistanLavorando insomma, sono entrata veramente in contatto con quelle genti e soprattutto ho lavorato con donne fatte di roccia e granito, dagli occhi spesso rovinati dal fumo dei bracieri delle abitazioni di montagna, i corpi spesso deformati da continue gravidanze, dai lavori durissimi in campi dove a fatica crescono patate e altri tuberi importati; donne che però hanno saputo mantenere una visione del mondo e della vita limpida come il cielo blu cobalto che la montagna regala e che – a dispetto dei mali e delle tragedie personali – dovute in gran parte alla lontananza per esempio da centri e strutture medico-sanitarie – hanno sempre trasmesso a me e alle persone che con loro sedevano in circolo, una gran gioia di vivere e una sempre grandissima speranza nel cielo, nella natura e nella provvidenza!

Poi, nel marzo del 1997, Matthias iniziò a lavorare per il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in Afghanistan ed io decisi di rimanere a Gilgit, da sola, per essere ‘vicina’ a lui se gli fosse successo qualcosa.

E del resto, non avevo paura: avevo amici, nuovi fratelli e sorelle che si sarebbero d’ora in avanti occupati di me… Che altro potevo desiderare??

pakistanInfine, nel dicembre del 1997 sono partita anche io, per andare a lavorare con il CICR dall’altra parte, a Srinagar, in India. Partivo con la mia gatta ed ero emozionata perchè sapevo che non stavo scappando, ma solo andando via per un po’ e che sarei tornata.

Infatti…

Nel 2001, in quel famoso mese di settembre che segna ormai da allora la nostra storia hypermoderna, eravamo in Armenia (con la nostra bambina di un anno e mezzo) dove Matthias era stato mandato per una missione dal Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Il 17 di quel settembre, mentre in qualche modo festeggiavamo il suo compleanno, ci fu una telefonata, a casa, dal quartier generale del CICR a Ginevra. Le grandi ONG, le agenzie delle Nazioni Unite, le ambasciate evacuavano tutto il personale non necessario, voleva lui – che aveva sempre chiesto di poter avere una missione in Pakistan – andare a Islamabad nel giro di poche settimane?

Fummo entusiasti!! Spaventati anche, certo, dato che all’orizzonte si intravedeva un intervento americano contro i Taliban in Afghanistan, colpevoli, secondo la CIA, di nascondere Osama Bin Laden nelle valli dell’Hindukush afghano.

Ma non importava, il nostro cuore e i nostri amici erano in Pakistan, finalmente potevamo tornare a riabbracciarli!

Così, nel maggio del 2002 tornammo ‘a casa’, questa volta con nostra figlia che aveva appena compiuto 3 anni.

Naturalmente il secondo soggiorno fu da subito molto diverso. Intanto perchè adesso avremmo vissuto da veri ‘expat’ nella capitale, quell’Islamabad che ogni tanto, all’epoca del nostro primo soggiorno, andavamo a visitare per riposare gli occhi dalla vista di tante montagne e soprattutto nei mesi invernali, per prenderci una breve pausa dal grande freddo che attanagliava le valli su a nord.

pakistanE poi perchè i tempi erano cambiati. Dal 1999 era al potere il Generale Musharraf, personaggio ancora sconosciuto ai più che non si capiva bene dove volesse andare davvero a parare. E soprattutto perchè, dopo quell’11 Settembre, la gente adesso aveva paura.

I bombardamenti sull’Afghanistan nel quadro dell’operazione militare congiunta degli Stati Uniti e dei suoi alleati avevano infatti esacerbato risentimenti e sentimenti di collera e vendetta in molte delle aree tribali ai confini tra Pakistan e Afghanistan.
E la lotta al terrorismo ‘imposta’ al mondo intera e portata avanti con forza e determinazione dagli Usa fu soprattutto in Pakistan violenta e spietata.

Tutti avevamo paura, expat come pakistani. Islamabad era come svuotata. All’interno della piccolissima comunità internazionale, quei pochi che avevano deciso di rientrare nel paese erano per lo più mogli e compagne, con o senza figli, donne curiose, forti e intelligenti, o forse più semplicemente innamorate dei loro mariti, che decisero di restare a Islamabad nonostante tutto.

Fu divertente! Iscrivemmo Emily ad un delizioso kindergarten, la Treehouse, dietro il famosissimo Cover Market, paradiso del pesce e dei frutti di mare per gli espatriati.
La Treehouse, creata da una una donna australiana, era una scuola materna in puro stile Montessori, con un grande giardino, casette in legno, tutto a portata dei bambini più piccini. Negli anni ’90 ne avevamo sentito parlare da amici che vivevano stabilmente a Islamabad. Adesso finalmente toccava a Emily.

Nel settembre del 2002 c’erano cinque bambini alla Treehouse: Emily, la sua amichetta austriaca Louise; Mimi, una tedesca-burundese; e due bellissimi bambini giapponesi, Hiroto e Takuma.

Le giornate trascorrevano abbastanza serene. Io avevo ripreso a lavorare presso una organizzazione internazionale e spesso viaggiavo per lavoro nel Punjab come al nord. Pian pianino la città aveva ripreso a rianimarsi, mia madre era venuta a trovarci e si era fermata quattro mesi.

E quando nella primavera del 2003 il Club delle Nazioni Unite venne riaperto al pubblico, i bambini che giocavano e strillavano nella piccola piscina a loro disposizione erano già una dozzina, le cose stavano nettamente migliorando!

pakistanIslamabad infine dimostrava di essere quasi la città ideale per quel tipo di vita che conducevamo, con le ville e i giardini privati, i grandi viali alberati, le distanze brevi, i rapporti umani calorosi, il clima mite…

Ideale in particolare per i bambini dell’età di Emily, che giocavano spensierati all’asilo, poi nei giardini delle loro case, quasi sempre insieme, iniziando così quella loro piccola vita internazionale quasi per gioco, un giorno mangiando giapponese, il giorno seguente ad una festa di compleanno pakistana, oppure tedesca oppure italiana.

Ciascuno con la sua nanny, in un mondo forse chiuso, forse anche un pochino finto, ma certamente incantato come incantato è – e deve essere – il mondo dei bambini in qualunque paese essi vivano.

Noi che eravamo abituati alle asperità delle montagne, a mangiare carne di bufalo semicruda, maccheroni cinesi che scuocevano in pochi minuti, ma anche succosissimi pomodori chiamati Roma (perchè importati dalla FAO negli anni ’70), frutta paradisiaca e di stagione, piatti semplici locali come le lenticchie, i ceci, gli spinaci, le patate, il cavolo (dhal, cholà, palaak, alù, ghobi…), cucinati in salsette piccanti; noi che avevamo insomma vissuto un po’ da scapestrati incuranti di rischi e malattie, adesso ci trovavamo a vivere tutto sommato con piacere in un ambiente forse più pacato e ‘borghese’ ma certamente più rassicurante.

Nei negozi di Islamabad si trovava di tutto e questo era incoraggiante. Pampers, prodotti per l’infanzia, vestitini per bambini, medicine, giocattoli. E poi pasta italiana, pelati, parmigiano (anche se carissimo!).

E che meraviglia riscoprire la città e le sue librerie alla ricerca di libri per bambini: di tutto e di più!! Libricini, libretti e libroni, della Walt Disney o raccolte di storie classiche dai fratelli Grimm ad Hans Christian Andersen, tutte in edizioni bellissime, illustrate, naturalmente per tutte le età e soprattutto a prezzi imbattibili.

pakistanInsomma, gli anni via via passavano, più o meno sereni, più o meno tranquilli ma senza troppi problemi. O almeno nè più ne meno che per ogni altra famiglia, che vivesse in Italia, in Germania o in qualsiasi altro paese. Emily aveva ormai imparato perfettamente l’inglese, parlicchiava perfino in Urdu e aveva avuto tante amicizie, alcune già lontane, altre sempre presenti.

Adesso toccava a noi partire. Nel dicembre del 2005, col cuore gonfio di tristezza – dopo il terribile terremoto che aveva devastato proprio alcune delle zone a noi più care su al Nord (e che aveva fatto più di 80,000 morti) – salutammo ancora una volta il Pakistan, lasciandoci alle spalle ancora una volta le persone a noi più care come Zined, Shaban e sua moglie Narghis, Adam e Luz e tanti, tanti altri che non riusciremo mai a dimenticare.

Eppure, ancora una volta, quello non fu un addio bensì un abbraccio lungo e commosso, eppure franco e gioioso a quel paese e alla sua gente, nella speranza di poter riabbracciare tutti presto!

Khoda’afeez Pakistan!

Silviaexpat,
Skopje, Macedonia
Maggio 2008
Foto ©Silviaexpat
tranne la foto principale, di Pixabay

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