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espatriare con bambini

Erika è una mia cara amica: ci conosciamo da ben più di vent’anni, gli anni spensierati dell’Università, e facevamo tutti parte della stessa banda. Gilberto, suo marito, e Paolo, il mio, si conoscono da ancora più tempo, compagni di scuola dagli inizi del Liceo!! Per anni Gil e Erika hanno seguito le nostra avventure all’estero e hanno visto crescere in questi universi multiculturali le nostre figlie…  e alla fine anche per loro è arrivato il momento di lasciare la nostra bella Torino direzione Francia, la Lille diventata famosa con Giù al Nord, che come primo biglietto da visita poteva anche fare un po’ paura….

La grande e unica preoccupazione dei nostri cari amici era comunque dall’inizio quella legata a come Lorenzo, il loro bambino di 5 anni, avrebbe accolto la cosa, la nuova casa, il nuovo mondo, la nuova lingua. Insomma i dubbi di tantissimi genitori pronti ad affrontare l’espatrio! Con la mia esperienza di mamma e di expat avevo cercato di rassicurarli in tutti i modi, alla fine comunque le paure sono rimaste… ma per poco!

Giuliettaexpat

 

«Quando la maestra mi ha visto coi capelli tagliati le ho detto “Je suis le frère de Lorenzo” e poi “Mais no, c’est une blague!».

Lo scorso agosto io e la mia famiglia ci siamo trasferiti da Torino a Lille e mio figlio, che proprio in quei giorni compiva 5 anni, sapeva a malapena dire “je m’appelle Lorenzo” perché glielo avevamo “appiccicato” in testa prima di partire e ora, dopo appena 6 mesi, scherza già in francese. E credetemi, è un vero sollievo, come quando lo vedo giocare coi suoi nuovi amici usando le tipiche espressioni dei bambini imparate “sul campo” o lo sento francesizzare l’italiano («alla mia amica, per il suo compleanno, ho regalato la Barbie danzosa») o quando si rivolge a me nella sua nuova lingua “adottiva”. Un sollievo perché, come si può ben immaginare, lo scoglio linguistico è stata una delle mie preoccupazioni principali nel momento in cui abbiamo deciso di lanciarci in questa nuova avventura.

Tutti, soprattutto chi aveva già affrontato questa esperienza, ci dicevano che i bambini si adattano in fretta, che sono come delle spugne che assorbono tutto quello che sta loro intorno, in particolare le lingue, che con i loro coetanei condividono comunque un linguaggio universale, quello del gioco. «Vedrete che vi stupirà e entro Natale parlerà francese», ci dicevano.

Ma confesso che alla prima settimana d’asilo, un asilo esclusivamente francese in cui Lorenzo era l’unico italiano, ho fatto fatica a crederci. Il mio cuore di mamma è stato messo a dura prova dalle sue lacrime, dal suo chiamarmi in modo disperato, tanto  che continuavo a sentirlo anche mentre mi allontanavo dalla scuola, mentre i suoi nuovi compagni lo circondavano cercando di rassicurarlo, di coccolarlo e di convincerlo a giocare con loro. Un giorno sono persino tornata indietro, facendomi sgridare dalla maestra che, giustamente, mi ha detto che facendomi rivedere rendevo il tutto ancora più difficile. In quei momenti mi sono tornate in mente le parole di un’altra mamma italiana espatriata che mi aveva detto che sua figlia aveva pianto per mesi tutti i giorni. E’ stata dura ma per fortuna avevano ragione gli ottimisti, quelli che mi dicevano che a Natale avrei avuto in casa un piccolo bilingue. Anzi è stato anche più rapido del previsto! E quando ai primi di dicembre siamo stati a una visita medica e ho visto mio figlio che faceva tutto quello che la dottoressa gli diceva di fare, ovviamente in francese, e rispondeva alle sue domande, sono rimasta a bocca aperta.

Come ho detto, l’asilo in cui va mio figlio non è una scuola internazionale ma francese, però casualmente fra le varie attività ci sono due piccoli corsi di avvicinamento alle lingue straniere (straniere per i francesi, s’intende): uno di inglese tenuto da una mamma e uno di italiano affidato ad un maestro madrelingua. Una mezz’ora la settimana ciascuno, ma tanto è bastato, credo, a far scattare qualcosa in Lorenzo. Il giorno dopo la prima lezione del maestro italiano, che lo ha solennemente nominato suo assistente dando grande importanza a questo compito, le cose sono completamente cambiate. Finite le lacrime, finita la disperazione, finita la sensazione di essere isolati in un posto in cui tutti pronunciano frasi e parole sconosciute. Ricordo ancora che quel mattino mio figlio è corso in classe con un grande sorriso e senza nemmeno salutarmi. E io ero al settimo cielo per questo.

Da quel giorno, come si dice, è stata tutta discesa. Lorenzo si è ambientato benissimo, dopo poche settimane era già stato invitato a una festa e a fare merenda da alcuni compagni, ha fatto grandi progressi nella lingua ed è felice.

E devo dire che anche per me l’esperienza si sta rivelando molto positiva. Grazie al potere socializzante di avere un figlio in età scolare ho conosciuto diverse mamme che si sono dimostrate molto aperte, disponibili e desiderose di farci sentire a casa nostra, di non farci sentire soli. Certo, forse siamo stati fortunati, ma credo che il segreto per affrontare una nuova vita all’estero sia di non rinchiudersi in se stessi, di vivere il quotidiano del paese che ti ospita, un ottimo sistema non solo per integrarsi ma anche per imparare o migliorare la lingua. Cosa per cui è molto utile, anche se all’inizio ci sembra di non capire nulla (ma poi le cose migliorano e allora sì che ti senti soddisfatto) anche guardare la televisione nella lingua locale, andare al cinema, a teatro, a vedere mostre e musei, fare gite per conoscere quello che ti sta intorno e approfittare dell’esperienza. Ovviamente ci sono momenti in cui ti mancano la tua vita di prima, gli amici, la famiglia, ma se si vive davvero la nuova vita allora le cose possono funzionare.

 

Erika
Lille, Francia
Marzo 2011

 

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