Claudiaexpat apre la sua finestra e ci racconta delle sue incursioni all’hammam di Ramallah.
Quando vivevo a Gerusalemme, andavo molto spesso in un hammam (bagno turco), che si trova a Ramallah, in West Bank. L’avevo scoperto grazie a una collega di mio marito, che ogni volta che veniva in missione dalle nostre parti, non si faceva mancare una giornata di coccole. Era diventato uno dei miei posti preferiti, non solo perché adoro i massaggi e lo scrub, ma anche perché per noi amiche costituiva un momento di stacco dalla tensione quotidiana e un attimo di intimità resa ancora più profonda dall’ambiente caldo e ovattato.
Recentemente però, diventava sempre più problematico ritagliarsi dei momenti di calma – mentre all’inizio potevamo decidere di andarci anche all’ultimo momento e capitare lì senza annunciarci, adesso bisognava tassativamente avvisare e spesso Rana, la paziente e abilissima manager nonché la migliore massaggiatrice dell’hammam, ci informava che aspettava un gruppo nutrito di signore che veniva a festeggiare un matrimonio (l’addio al nubilato), e arrivavano in pullman da Hebron, Nablus, Jenin, insomma, ben organizzate.
Ultimamente ci infilavamo al mattino presto, quando il pullman delle spensierate signore era ancora in viaggio e noi potevamo godere in tutta tranquillità degli spazi dell’hammam.
Un giorno però, io e la mia amica ci siamo trattenute un po’ più a lungo, ed eravamo ancora stese sulle lastre di pietra calda quando il gruppo matrimonio è arrivato. E allora ho capito perché Rana insisteva tanto sul fatto che diventava impossibile stare all’hammam quando si celebrava l’addio al nubilato. Le signore erano dappertutto e occupavano anche l’aria. Magre e grasse, in costume da bagno o coperte da teli e fuseaux, giovani o anziane, si preparavano alla mattinata con un vocio che copriva anche i pensieri. A gruppetti si stendevano sulle pietre caldo chiacchierando, ridendo, scherzando, a un volume che rendeva immediatamente impossibile qualsiasi intimità.
Ma era bello in un certo senso. Perché anche se ci impediva di parlare, ci apriva la porta su un mondo esclusivo, quello delle donne palestinesi in uno spazio protetto, tutto per loro, dove si lasciavano andare completamente. Il massimo poi era nel bagno turco. Una stanzetta di pochi metri e occupata perlopiù da gradoni su cui ci si sedeva e ci si lasciava avvolgere dal getto umido, dove già si fatica a vedersi, figuriamoci a fare altro! Eppure quella famosa mattina, mentre ero semisdraiata sul gradone per l’ultimo giro di vapore prima di andare, ho visto entrare un gruppo di signore evidentemente su di giri, che hanno cominciato a cantare, ballare, fischiare e ridere, il tutto in pochi metri quadri e con una temperatura che avrebbe stroncato anche chi non muoveva neanche le sopracciglia. Ad un certo punto – non ci volevo credere – una ragazza ha persino prodotto un tamburello, per dare all’allegro consesso un tono ancor più scanzonato.
Mi sono ritirata in buon ordine, ma dentro mi è rimasto questo ricordo ricco, l’aver aperto di soppiatto una finestra su un mondo che, questo è certo, non a tutti è dato di conoscere.
Claudiaexpat
Questo articolo è parte di un progetto che chiamiamo “Una finestra su…”. Scriviamo articoli brevi su un aspetto molto specifico del nostro paese d’accoglienza. Come se aprissimo la finestra di casa nostra e vi raccontassimo quello che vediamo. Saremmo felicissime di pubblicare anche quello che vedete voi. Scriveteci!