Home > Sudamerica > Argentina > Miriam e il suo parto a Buenos Aires

Questi sono i ricordi belli e coinvolgenti di Miriam, “Myri” sui forum, che ci racconta la nascita di Filippo… a Buenos Aires, Argentina. Grazie Miriam!!!!

Il nostro secondo bimbo, Filippo, è nato in Argentina, a Buenos Aires, esattamente un anno dopo il nostro arrivo. La gravidanza è stata bella, anche se un po’ faticosa, anche perché gli ultimi mesi li ho vissuti nella caldissima estate di Buenos Aires. Alla prima visita infatti il mio ginecologo esordisce dicendo “Ha proprio sbagliato a scegliere la data, sarà durissima!”. E questo giusto per iniziare l’avventura con un po’ di ottimismo…

La prima cosa da fare naturalmente è stata cercare un ginecologo: qui non tutti i ginecologi seguono anche le gravidanze e i parti, sono cioè “obstetras”. Inizialmente vado da una dottoressa con cui però non riesco a trovare il giusto feeling. Mi faccio poi consigliare da un’amica italiana che ha già partorito qui a Buenos Aires: questo secondo dottore mi piace e decido di farmi seguire da lui. Diversamente da quanto succede in Italia, qui i ginecologi non sono anche ecografisti, e così per le ecografie devo andare altrove. Le ecografie vengono fatte con la stesse scadenze che in Italia, mentre le visite sono mensili e nell’ultimo mese addirittura settimanali. Devo dire che sono ancora un po’ perplessa nei confronti di queste visite: il medico controlla i risultati degli eventuali esami fatti, misura l’altezza dell’utero, il peso (in modo quasi maniacale), la pressione e ausculta il battito fetale. E’ totalmente disponibile ad ascoltarmi e a parlare, con un’attenzione davvero notevole al lato umano della gravidanza, ma ho la sensazione, magari infondata – questo non lo saprò mai- che manchi una visita approfondita e che se avessi complicazioni non verrebbero scoperte. Confrontandomi con altre amiche, trovo la conferma che la visita che mi viene fatta è quella standard, nessuno approfondisce maggiormente, quindi decido di fidarmi totalmente del mio medico.

La gravidanza comunque va avanti benissimo, anche se certamente sento un po’ la mancanza delle persone più care. Mi piacerebbe che ci fossero per condividere quest’esperienza e anche per sentirmi più sicura nei confronti di Beatrice, la mia prima bimba, che vorrei potere lasciare ad un familiare quando partorirò, ma che invece dovrò lasciare alla baby sitter, che comunque è una persona dolcissima di cui mi fido completamente. Del resto, questo magari sarebbe stato necessario anche in Italia, chissà!Un altra piccola difficoltà legata all’espatrio riguarda il cibo: a differenza della prima gravidanza, questa volta nei primi quattro mesi ho sempre la nausea e non sopporto il cibo di qui, che prima mangiavo volentieri e che tutto sommato non è così radicalmente diverso da quello italiano. Nel fastidio che provo avrei voglia di ritrovare i miei sapori, i sapori del cibo italiano!

Comunque i fatidici nove mesi passano in un attimo e, due giorni prima della data prevista, Filippo si annuncia alle 5.30 della mattina: mi si rompono le acque mentre dormo. Resto un po’ a letto ad accarezzarlo attraverso la pancia, a pensare a quello che succederà, poi la giornata inizia come sempre: colazione, Beatrice da portare all’asilo. Io faccio tutto con grande calma, sicuramente sono ubriaca di ormoni! Solo verso le dieci mi decido a chiamare la “partera”. In Argentina infatti il parto viene seguito da un’ostetrica, che di solito è anche quella che si occupa del corso pre-parto, anche se al momento della nascita interviene il ginecologo che ha seguito la gravidanza. Dunque, chiamo la mia “partera” – che peraltro ha un nome italiano rarissimo, Zulma, come una vecchia amica di mia mamma (mi sembra un buon segno, penso che mi porterà fortuna!) – che mi vuole vedere subito per una visita. Così richiamo mio marito dall’ufficio e andiamo da lei. Anche se le contrazioni non sono ancora iniziate, mi dice che mi devo fare ricoverare, visto che si sono già rotte le acque, e così passiamo un momento da casa per poi andare in clinica. Le pratiche di accettazione sono inspiegabilmente lunghe, restiamo quasi due ore ad aspettare nella hall.

Più che una clinica sembra un albergo: divani e poltrone in pelle chiara, vasi di fiori, tappeti.. E’ una clinica privata, alla quale accediamo grazie alla nostra assicurazione sanitaria. Le strutture pubbliche infatti sono in pessime condizioni e chi ha la possibilità di avere un’assicurazione sanitaria (che molto spesso viene offerta dalle aziende ai propri dipendenti) ricorre al privato. Noi ci troviamo alla Trinidad di Palermo. Avrei voluto partorire in un’altra clinica, la Maternidad Suizo-Argentina, ma quel giorno è piena e la prenotazione che avevo fatto mesi prima non serve a niente. E’ infatti necessario prenotarsi in anticipo (la clinica più “quotata” ha sei mesi di lista d’attesa…) presentando il certificato del medico con la data prevista. Questa cosa in gravidanza mi aveva generato una certa ansia, eccessiva e un po’ infondata, e sicuramente amplificata dai soliti ormoni. Temevo che qualcosa non funzionasse, e chissà dove avrei partorito! In realtà si tratta solo di una formalità piuttosto insensata: difficilmente i bambini nascono nella data prevista, e nessuna clinica si sognerebbe di tenere una camera vuota per niente. Quindi il giorno del parto di solito è la partera che si occupa di verificare quale clinica abbia posto e su quella ricade necessariamente la scelta, che si sia fatta o meno la prenotazione.

Mentre aspettiamo iniziano anche le contrazioni, anche se si tratta ancora di dolori del tutto sopportabili. Quando finalmente ci fanno salire, mi portano in una stanza per cambiarmi: mi devo mettere un camice e una bella cuffietta… Così sono pronta per andare nella sala pre-parto: una stanza solo per noi con un lettino, una poltrona, il bagno e anche la televisione, che, no!, non mi interessa guardare, come mi propone l’infermiera! Voglio solo pensare a Filippo, godermi questi momenti.

Zulma intanto fa avanti e indietro: è indaffaratissima, sta seguendo anche altri parti. Filippo si fa sentire e, adesso, io inizio a mettere in pratica tutti i tipi di respirazione che mi hanno insegnato al corso pre-parto (e che invece a quello che avevo fatto in Italia per la prima gravidanza non erano stati neanche suggeriti). Mi fanno entrare in sala parto mentre Alessandro si va a cambiare. Quando torna scoppiamo a ridere: anche lui si è dovuto mettere camice e cuffietta, ma GIALLI! Lui dice che hanno scelto il giallo per i papà in modo da poterli identificare facilmente, e, all’occorrenza, evitare… E’ il momento di fare l’epidurale, finalmente! Qui praticamente nessuno partorisce senza, e io mi sono accorta di essere sembrata una marziana quando raccontavo che per il primo parto non l’avevo voluta. Entra l’anestesista e mi saluta con un bacio, come da tradizione argentina, naturalmente, anche se non c’eravamo mai visti, anche se io non volevo altro che si sbrigasse a farmi l’anestesia!!! Dopo pochissimo l’epidurale inizia a fare effetto e da quel momento mi sembra che il tempo voli, in un attimo Filippo è nato, finalmente lo vediamo!! Piange subito, me lo danno in braccio, è un topolino con il musetto tutto rosso e il nasino schiacciato. Noi non capiamo più niente! È bellissimo, rimaniamo imbambolati di fronte a lui. Lo devono lavare e vestire, mi sembra che passi un’eternità prima che me lo restituiscano. Poi finalmente lo riabbraccio: un pacchettino caldo caldo, già addormentato. Si muove un po’: gli stessi scatti che faceva in pancia, ma ora è in braccio a me. Ci prepariamo ad andare in camera, mentre il papà va a togliersi il suo camice e torna in abiti “civili”. Il fagottino resta con me in camera tutto il tempo, qui usa così, le infermiere lo portano via solo per i controlli e per lavarlo. Per il resto del tempo lui rimarrà nella sua cullina accanto al mio letto. Nella mia stanza potrebbe rimanere a dormire anche il papà, c’è infatti un letto anche per lui, ma è meglio che torni dalla nostra Beatrice, che ora è diventata “sorella maggiore”!

I due giorni che passo in clinica sono perfetti, le infermiere gentilissime, la camera molto confortevole, mi sento molto seguita. Resterà un ricordo meraviglioso. Partorire in espatrio… sembrava una cosa tanto difficile, in teoria, e invece è stato molto più semplice di quanto si possa pensare. Mi sono sentita completamente a mio agio, sono certa che non avrei avuto un’esperienza migliore in Italia, anche se, sicuramente, dopo il parto mi sono un po’ mancati la famiglia e gli amici italiani. E ancora una volta mi è mancato un buon piatto di pasta per placare la fame che mi è venuta subito dopo il parto!!!

 

Miriam
Buenos Aires
Febbraio 2009

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