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La nostra Giuliettaexpat riflette con noi sul rapporto tra espatriate e medici e medicina.

 

Un cambio paese implica angosce e quesiti ai quali si cerca di dare risposte il più rapidamente possibile… medici, ospedali, pronto soccorsi, medicine&co. sono spesso in cima alla lista; chi tra gli expat non si è mai chiesto come sarà l’approccio nel prossimo paese e non ha mai rimpianto il mondo medico conosciuto e familiare, quando ci si ritrova per forza a dover affrontarne uno nuovo?

Generalmente per tutte le visite di routine, quelle che in gergo familiare chiamo il “tagliando”, sono rimasta legata ai miei cari medici, quelli che ho trovato in Francia la prima volta e che alla fine sono diventati i miei punti di riferimento… ma per tutto il resto non si può far altro che ricorrere alla medicina locale e in questo caso “paese che vai usanza che trovi“.

E’ chiaro che l’approccio del medico giapponese sarà agli antipodi dell’americano, è vero che in India tutto prende dimensioni giganti e che in America ci si muove sempre con i piedi di piombo prima di sbilanciarsi in una diagnosi, anche delle più semplici.

Medicina nel mondo2In questi anni ho imparato ad accettare le differenze, ad evitare il più possibile le cure fai da te (anche se mi porto dietro una nutrita farmacia) e soprattutto, per principio, se vado da un medico che mi ha fatto buona impressione tendo a seguire ciò che mi dice anche se so che in Europa avrebbero fatto diversamente.

In Giappone ho cercato il più possibile di dare fiducia alla medicina locale pur sapendo che i giapponesi per una storia di enzimi nel fegato assimilano più in fretta di noi le medicine e quindi hanno bisogno di dosaggi più bassi.

Il mio medico giapponese, il caro dottor Yamaoka, vedeva sfilare nel suo studio abbastanza gaijin (stranieri) da saper fare la differenza… Mi è però capitato a volte di aver voglia di approccio europeo ricorrendo ad un simpatico medico tedesco fluente in francese con il quale era più facile tirar fuori ciò che non andava senza bisogno di eccessivi sforzi linguistici.

Spesso mi sono trovata a difendere a spada tratta l’approccio giapponese di fronte alle critiche degli altri expat spaventati dai metodi diversi… certo è vero che quando si è malati si vuole andare sul sicuro, ma tutto sommato chi ci garantisce che l’approccio giusto sia quello che conosciamo e non un altro?

In India non c’era scelta, medici indiani ma spesso con diplomi inglesi e americani, medici attenti forse troppo con la tendenza ad andare un po’ troppo a fondo anche su cose semplici, un po’ forse per far funzionare il sistema: gli esami approfonditi sono redditizi, quindi perchè non andarci pesante con i pazienti tra ecocardiogrammi e prelievi vari!! (io mi sono ritrovata sul lettino dell’elettrocardiogramma solo per aver avuto un piccolo episodio di palpitazioni da stress che forse il mio medico avrebbe curato con una tisana e un calcio nel sedere condito di un “si faccia furba signora!“).

Ma veniamo agli Stati Uniti, il mio quotidiano attuale. Premetto che non credo assolutamente di aver capito come il sistema funzioni, quello che so per certo è che per chi come noi arriva dalla Francia “benedetta” dalla sua grandiosa Securité Sociale l’impatto è duretto!!

Qui curarsi costa, costano cari i medici, le cure e le medicine, e costano care le assicurazioni che ti permettono di non dissanguarti di fronte a salatissime fatture…

Il problema finanziario lo si risolve con una buona assicurazione. Per l’approccio medico, beh, a quello ci si deve abituare…

Quando sono partita da Parigi, il mio medico, brillante ginecologo che lavora da oltre vent’anni all’ospedale Americano di Parigi, mi raccontò un po’ come funzionava il sistema al quale lui era confrontato tutti i giorni, ridendo, ma con il senno di poi aveva ragione, mi disse «Se lei va per un mal di gola partiranno dal tumore alle corde vocali per poi risalire al semplice raffreddamento» – premonitore, il dottore…

Proprio in questi giorni abbiamo avuto una delle ragazze ammalata con febbre altissima e molto ma molto mal di gola… come faccio di solito, ho aspettato 36 ore per vedere come andava prima di rassegnarmi a comporre il numero del super specializzato centro medico vicino a casa.

La visita è partita dalle dite dei piedi praticamente, pesi, misure, ossigeno nel sangue, pressione, una sorta di check up… per poi culminare con un primo tampone di ricerca di streptococco che essendo negativo ha portato ad un successivo secondo esame molto più approfondito con risultati il lunedi… eravamo di venerdì, e nel frattempo nulla di nulla, solo un po’ di paracetamolo per far scendere la febbre, che è rimasta a livelli allucinanti per tutto il week end… a questo punto il lunedì mattina speravo in un verdetto di batterio gigante che aveva invaso la gola della mia adolescente pallida e smunta, ormai. E invece no, verdetto negativo: “Signora, ma se sua figlia non sta bene la riporti…”. Certo che non sta bene, ha delle placche tali in gola per cui non serve essere medico per capire che non va… fiduciosa e trulla ritorno con lei al centro medico dove invece che darmi l’atteso antibiotico il medico ha ventilato una possibile mononucleosi, e via altri esami, verdetto la mattina successiva…

Morale, niente mononucleosi e finalmente 10 giorni di antibiotici liberatori! Ma sono ovviamente perplessa, normalmente in situazioni analoghe prima si aspetta un attimo, poi si dà l’antibiotico e poi se non passa si scava. Ma mi dico che comunque sono qui e devo accettare l’approccio…

Tra l’altro le medicine che vanno recuperate in farmacia (a differenza di Giappone e India dove il medico te le dava direttamente contate) ti portano a scoprire un altro meccanismo diverso da quello che conosciamo proprio su questo passaggio: medicina vieni a me!

Il medico non ti dà la prescrizione, la manda direttamente alla farmacia scelta da te in precedenza, tu sei iscritto lì e lui te le manda lì, e tu vai a ritirare lì!

Nota bene che le farmacie americane non vendono solo medicine, vendono di tutto, ma non come da noi rossetti, profumi e prodotti di bellezza, vendono anche cose da mangiare, riviste, cibo per animali, latte, prosciutto, (praticamente un pigro può farci la spesa. In realtà poi, visto il tempo che ci metti a recuperare le medicine, ti dici che almeno passi il tempo!).

In fondo alla farmacia c’è la farmacia vera e propria, quella delle medicine prescritte, lì vai allo sportello pick up e dichiari nome, data di nascita e indirizzo, allora cercano il tuo sacchettino, una volta pagato però non te lo danno e ti mandano allo sportello consultations, dove una farmacista ti spiega la prescrizione, dicendoti esattamente quello che c’è scritto sul sacchetto che contiene le medicine, nel mio caso: 20 pastiglie da prendere per bocca (sempre meglio dirlo!) una al mattino e una la sera per 10 giorni. Chiaro direi, me l’ha spiegato dicendomi che ovviamente essendo già sera “per oggi ne deve prendere una sola“, neanche fossi scema…

Le considerazioni sull’episodio mal di gola: qui ci vanno con i piedi di piombo sia nelle diagnosi che nelle medicine, hanno paura che qualcosa vada per il verso sbagliato e si tutelano essendo il paese dei processi facili…

Le considerazioni su 15 anni di approcci diversi: o ti adegui o non vivi più, impara ad accettare le differenze, accetta il parere di un medico e proprio quando hai bisogno di essere rassicurato ricorri alla medicina di casa tua.

 

Giuliettaexpat (Giulietta Cerruti Sacconey)
Los Altos, San Francisco, Bay Area
Dicembre 2012

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