Home > Africa > Storia di un progetto in Madagascar

Francesca Sivori, genovese di Bogliasco, è una musicista diplomata in pianoforte, con una lunga esperienza nella direzione artistica e nell’organizzazione di eventi musicali. Dalla musica ha sempre tratto un senso di vita e di rinascita: anche quando, diciotto anni fa, un trapianto di fegato la mette di fronte alla fragilità del corpo e alla forza della gratitudine.
In quell’occasione, conosce il professor Umberto Valente, allora direttore del centro trapianti, che una volta in pensione decide di realizzare il sogno di una vita: portare le sue competenze mediche in Africa. Va a Diego Suarez (Antsiranana), nel nord del Madagascar, presso un piccolo ospedale ben organizzato e legato all’università locale. Un giorno, il professore propone a Francesca di raggiungerlo per un’esperienza di un paio di mesi con i ragazzi disabili del posto.

La partenza e i primi laboratori

Francesca accetta. Parte con un visto di due mesi e in valigia solo tre strumenti: un violino, uno xilofono e un triangolo. Spera di trovare sul posto una tastiera, fondamentale per il metodo educativo appreso nella cooperativa “Allegro Moderato”, dove aveva lavorato come educatrice con musicisti disabili.

Arrivata a Diego Suarez, le suore dell’ospedale la invitano a conoscere tre giovani tetraplegici della loro comunità. Francesca comincia a suonare per loro — Mozart, Bizet, Beethoven — e subito si accorge che la musica agisce come un linguaggio universale. Le melodie accendono emozioni, coordinano gesti, stimolano concentrazione. Uno dei ragazzi, affetto da spasticità grave, riesce perfino a controllare il movimento del braccio per percuotere il triangolo nel tempo giusto: un progresso che stupisce anche i medici del centro Gaslini di Genova, presenti in missione.

Attorno a lei, intanto, si radunano i bambini del quartiere, attratti da quel suono nuovo. Francesca li invita a partecipare e va in paese a comprare i pochi strumenti che trova: flautini, maracas, tamburelli. Nel giro di due mesi nasce così un’orchestra di venti elementi. Il primo concerto si tiene nell’atrio del Policlinic Next, davanti al vescovo, ai rappresentanti dell’Alliance Française e alla comunità intera.

Da quel momento, Francesca capisce che non sarà solo una parentesi, ma che continuerà a lavorare a quel progetto in Madagascar.

Un sogno che cresce

Tornata a Genova, si attiva per spedire altri strumenti: violini, violoncelli, arpe, xilofoni. Con il tempo trova anche un liutaio locale, capace di costruirli sul posto e di sostenere così l’economia del territorio. Ogni viaggio successivo diventa più lungo e più intenso.
Nel 2019 organizza nuovi concerti e insieme alle suore del Cuore Immacolato di Maria inizia a progettare un centro per disabili. Quando il Covid interrompe tutto, le religiose non si arrendono: ottengono fondi locali e, durante la pandemia, riescono a costruire l’edificio.

Alla fine, nel 2023, Francesca torna e trova la casa pronta. Il Centro Inclusivo Culturale, Sociale, Formativo e Sportivo “Francesco de Sales” è realtà. L’obiettivo: offrire alle persone con disabilità non solo assistenza, ma formazione, dignità e lavoro — nella musica, nell’artigianato, nell’agricoltura, nello sport.

La seconda casa

Progetto in Madagascar

Il laboratorio dei formaggi

Il centro, oggi, collabora con le principali associazioni locali. Francesca ha formato giovani educatori malgasci, perché siano loro a portare avanti i laboratori e l’orchestra.
Accanto alla musica, ha avviato anche un laboratorio di formaggi. Dopo aver imparato in Italia da un pastore sardo, ha sperimentato la produzione di mozzarella con il latte di zebù, scoprendo che la qualità era perfetta. Ora anche questo sapere è stato trasmesso ai ragazzi del centro: uno di loro, con una lieve disabilità, produce e vende formaggi in autonomia.

Oggi, per tutti, Francesca è “Madame de la Musique” e “Madame du Fromage”. Camminando per le strade di Diego Suarez, la salutano tutti.
Ha trasformato un’esperienza personale di rinascita in un progetto collettivo di inclusione e speranza.

Con pochi strumenti — e un’immensa fiducia nella forza della musica — ha costruito un luogo dove la disabilità incontra la creatività, e dove la diversità suona all’unisono.

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