Home > Asia > Pakistan > Il terremoto in Pakistan dell’8 ottobre 2005

L’8 ottobre 2005 c’è stato un terribile terremoto in Pakistan, nel nord-est del paese, che ha causato la morte di più di 80,000 tra uomini, donne e bambini e lasciando migliaia di senzatetto. Silviaexpat ci racconta quelle ore drammatiche…

 

Ho vissuto molti anni in Pakistan, dal 1994 al 1999 nei Territori del Nord, la zona a cui ci si riferisce normalmente come Il Tetto del Mondo, con vette che superano gli 8,000m e catene montuose che si incontrano oltre i 7,000m. E dal 2002 al 2005 a Islamabad. Non avevo però mai vissuto un terremoto in Pakistan.

Era inevitabile dunque che ogni tanto qualche scossa sismica si avvertisse di qua e di là, tra le valli al confine con Cina e Afghanistan o a Peshawar, vicina al Khyber Pass che porta poi dritti a Kabul. Insomma, roba da niente, scosse a cui ci si abituava, tintinnii improvvisi che lasciavano più che altro sorpresi nel cuore della notte o nel bel mezzo di una cena. Niente di più.

Così noi, di prevenzione, non abbiamo mai sentito parlare.

8 ottobre 2005

Del resto un grosso terremoto in Pakistan negli ultimi anni non c’era stato e a parte qualche scossa più forte di tanto in tanto, nessuno aveva mai pensato alla possibilità di un sisma delle dimensioni di quello poi avveratosi l’8 ottobre del 2005 alle 8:50 del mattino di un sabato autunnale: un’intensità misurata sui 7,6 gradi della scala Richter che ha causato 20,000 vittime all’istante, fino ad un totale nel corso dei giorni e delle settimane successive di circa 83,000 morti.

Un disastro, una catastrofe naturale che ha buttato giù in pochi minuti centinaia e centinaia di scuole, decine di strutture ospedaliere; e cittadine intere come Muzaffarabad (la capitale dell’Azad Jammu & Kashmir) e Balakot per non parlare poi di villaggi interi, alcuni sperduti in valli così isolate e a quote così alte che sono dovute passare parecchie settimane prima che gli aiuti riuscissero ad identificarli e a raggiungerli, con i loro carichi di tende e coperte mentre già le temperature erano scese a quote bassissime.

Scossa sentita fino a Islamabad

La scossa fu così intensa e lunga che l’abbiamo sentita anche noi a Islamabad, la capitale del paese. Io e Matthias a quell’ora stavamo ancora dormendo ma la scossa ci ha letteralmente buttati giù dal letto e allora, acchiappata nostra figlia – che guardava allarmata i giocattoli che “ballavano” sugli scaffali – ci siamo buttati giù dalle scale e fuori sull’erba in giardino. Il guardiano era lì che pregava, intorno a noi tutto si muoveva, la casa, gli alberi, il prato e insomma anche noi eravamo lì, con tutte le cose di quel mondo, a muoverci sulle stesse onde, allo stesso ritmo, unico punto fermo il cielo.

In quegli stessi secondi intanto, alla periferia residenziale della città, crollava un palazzo, l’unico in tutta Islamabad. Dentro, divisi in una quarantina di appartamenti di lusso, moltissime famiglie di espatriati, molti svedesi, giapponesi, egiziani, bosniaci. Famiglie che avevano preferito il confort di un appartamento di lusso alla villa con giardino in città. Adesso, erano tutti sepolti sotto le macerie, quasi tutti morti.

Noi ancora non lo sapevamo. Matthias decise di tornare a dormire, io andai ad accendere la tv per sentire la BBC, quando una seconda scossa, altrettanto forte, ci fece reincontrare di nuovo tutti in giardino. Era una cosa seria allora… Così iniziammo a telefonare agli amici. Matthias telefonò sù al nord, a Gilgit, dove il nostro caro amico Shaban gli faceva sentire, al telefono in diretta, il tintinnio dei suoi strumenti di meccanico, che ancora suonavano sulla scia di altre scosse. Il rumore, ci disse, che cosa incredibile, quel suono lugubre, che veniva fuori dalle viscere della terra ! Ma non distruzione, no, non a Gilgit, forse più giù, in Kashmir…

Le prime notizie

E infatti, dopo qualche minuto, le prime notizie iniziarono ad arrivare e allora tutto si tinse di morte. Muzaffarabad, cancellata ; Balakot, rasa al suolo, interi villaggi spazzati via da slavine e valanghe seguite alle terribili scosse telluriche. E poi, la tragedia vera, quella delle decine e decine di edifici scolastici pieni zeppi di bambini, schiacciati, dilaniati, sepolti dal sisma. “Risucchiati, mio Dio, ci hai mangiato vivi i nostri figli, Allah potente e misericordioso, perchè… ??”

terremoto in pakistan

Tre piccole vittime del terremoto

Il suono degli elicotteri intanto aveva invaso sia Islamabad che Rawalpindi, dove le prime vittime sopravvissute – per lo più donne e bambini – venivano portate presso i grandi ospedali delle due città gemelle. Nei giorni successivi molte vittime vennero dirottate su Lahore, Quetta e persino Karachi, perchè ormai le strutture ospedaliere della capitale erano stracariche e non si poteva più ospitare nessuno.

Immaginate il caos, le urla di dolore e il silenzio della paura, lo stupore, la solitudine e il terrore di quelle migliaia di vittime abbandonate a se stesse, in luoghi sconosciuti, senza sapere che fine avessero fatto i loro cari, nè che fine avrebbero fatto loro stessi. Molti, uomini e donne, preferirono tornarsene a piedi in Kashmir, nelle loro bende, qualche kg di frutta secca e qualche coperta, per cercare – e sperare – che qualcosa fosse rimasto in piedi, una faccia conosciuta, una vacca, un muro o anche solo un albero. Altri, gli anziani, i vecchi, i bambini, le donne incinte, le donne sole, rimasero lì, accampate nei campi profughi messi a disposizione alla bene e meglio dall’esercito alla periferia di Rawalpindi. Ti guardavano in faccia quei vecchi, quei bimbetti e quelle donne e ti dicevano “khider jana ham.. ? Kuch nahi raha hay…” “(Dove andare ? non c’è più niente…”).

Cifre spaventose

Già in giornata si seppe che avevamo a che fare con qualcosa di spaventoso e che il numero dei morti del terremoto in Pakistan andava forse calcolato intorno ai 40,000; e che la distruzione forse non era solo legata alle cause naturali ma anche a quelle sociali e politiche perchè le zone dove i morti si contavano a migliaia erano le zone più povere della regione, zone dove le strutture scolastiche e ospedaliere erano di pessima qualità, villaggi dove l’intero abitato era fatto di fango e legna, dove non vi erano nè acqua corrente, nè elettricità, nè strade nè niente. La maggior parte delle vittime erano bambini schiacciati dalle loro stesse scuole e donne, donne dentro le loro case, donne andate a cercare legna e acqua, donne al lavoro nei campi, ragazzine sù ai pascoli…

Un disastro. Una tragedia di proporzioni inaudite che il governo pakistano ha cercato di fronteggiare al meglio nelle primissime ore, quelle definite “di emergenza”, grazie anche all’aiuto tempestivo di tutte le organizzazioni non governative presenti sul territorio come anche la Croce Rossa e le agenzie dell’ONU. Un disastro che purtroppo per molto tempo rimarrà tale, inciso com’è nelle crepe che hanno squartato valichi e montagne, pascoli e boschi e che hanno lanciato per aria persino i grandi camion colorati che si trovavano su quelle strade di montagna alle 8:50 di quel sabato di ottobre.

I morti

In quelle ore frenetiche, insieme all’angoscia per la sorte di un amico italiano – poi purtroppo ritrovato morto sotto le macerie del palazzo crollato a Islamabad – io e mio marito siamo stati “risucchiati” dalle organizzazioni per cui lavoravamo (Comitato Internazionale Croce Rossa lui, Plan International, io) e per circa 6 settimane abbiamo vissuto separati, lui a Peshawar e io a Islamabad. La scuola di nostra figlia, piena di crepe, aveva preferito chiudere bottega e sicchè lei era tornata al suo amato Kindergarten. Solo in quell’asilo però si contavano già tre bambini (giapponesi) morti. Emily li ha disegnati decine e decine di volte, insieme ad ambulanze e a palazzi crollati. Chissà, forse questo l’ha aiutata a superare lo shock. Io intanto, per 6 settimane, ho dormito nel suo lettone, in camera sua, al primo piano della nostra villetta, mentre giù, nella stanza degli ospiti si alternavano piloti della Croce Rossa che iniziavano le operazioni di soccorso già alle primissime luci dell’alba. Che giornate.

Nei giorni e nelle settimane successive le scosse telluriche “di assestamento” continuarono. Ma si sa, ci si abitua a tutto e così ci eravamo abituati anche noi, a camminare come saltellando al ritmo della terra, a percepire scosse anche minime, a controllare subito i lampadari o i bicchieri colmi d’acqua sistemati in punti strategici; a dormire con un’occhio aperto! Avevo sistemato in terrazza due grandi borse ripiene di abiti e scarpe invernali. Dentro avevo messo anche i passaporti qualche centinaio di euro, la patente. Così, giusto in caso che…

Intanto il contratto di mio marito era giunto al termine e così, in quell’atmosfera frenetica e surreale iniziammo a realizzare che la nostra vita in Pakistan stava per finire. Ci lasciavamo alle spalle un paese colpito da una tragedia enorme, colpito proprio nelle zone dove noi avevamo letteralmente lasciato il cuore e messo radici. Andare via, allora, ci parve come un tradimento. E il dolore e la tristezza furono immensi.

Quando poi, ai primi di dicembre, lasciammo definitivamente il Pakistan fu con un grande senso di spaesamento che arrivammo in Germania. E perfino a Berlino, quel 3 dicembre 2005, mi sembrò di aver “sentito” la terra tremare…

Silviaexpat
Skopje, Macedonia
Ottobre 2007

 

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