Home > Sudamerica > Perù > Il terremoto del 15 agosto in Perù, una testimonianza
terremoto in perù

Claudiaexpat era in Perù il 15 agosto quando c’è stato il terremoto a Pisco.

 

Il 15 agosto alle ore 18.41 il Perù è stato scosso da un terremoto di magnitudo 7.9 nella scala Richter, con epicentro nell’Oceano Pacifico, a 60 chilometri ad ovest della città di Pisco (250 chilometri a sud di Lima) e a 30 chilometri di profondità.

Quello che segue è una cronaca di come si è vissuta la cosa a Lima, di quello che ho osservato, di alcuni fatti e dei sentimenti che un avvenimento del genere ha scatenato nei peruviani e nella comunità di espatriati.

Lima, la capitale, ha avvertito la lunga e violenta scossa in maniera molto forte, anche se i danni che ha riportato sono limitati, e circorscritti perlopiù ad alcuni vecchi edifici nel centro storico e nella zona portuale del Callao.

Lo spavento però, è tutt’altra cosa. Per due interminabili minuti la terra si è mossa perentoriamente. E’ stata una sensazione sconvolgente sotto tutti i punti di vista: chi si trovava ai piani alti ha creduto che gli edifici stessero per crollare, chi era per strada ha visto la città muoversi tutto intorno.

Io mi trovavo in macchina nel centro di Lima, e ho pensato che la vettura si rovesciasse (il movimento era ondulatorio, come quando si sta su una barca e si prendono le onde provocate da un motoscafo).

terremoto in perùDal mio punto di osservazione “privilegiato”, ho visto subito le reazioni della gente: tutti si sono precipitati fuori da case ed edifici, e i capannelli di persone incredule e spaventate sono rimasti compatti per un buon tempo anche dopo la tremenda scossa.

Rientrare a casa è stata un’impresa difficile, a causa del traffico impazzito, e pesante, per via dell’impossibilità di comunicare con i figli. Le linee telefoniche sono collassate all’immediato – solo pochi fortunati sono riusciti a parlare con i propri famigliari e amici – e questo ha successivamente provocato una serie di feroci critiche a Telefonica, la compagnia di telecomunicazioni che ha il monopolio delle reti telefoniche nel paese.

La zona del terremoto

Immediatamente si è saputo che il disastro nelle zone di Chincha, Pisco e Ica era totale: case crollate, morti e feriti. Mancava solo il macabro conteggio, mentre qui nella capitale ci si organizzava pian piano per passare la notte con la paura di repliche, e cercando di calmare gli animi di chi era sotto shock.

Le scosse sono continuate tutta la notte, e per molti giorni successivi. La reazione, com’è giusto in questi casi, è stata immediata. Le agenzie di soccorso, e mio marito è parte di una di queste, si sono immediatamente mobilitate. Linee telefoniche ripristinate, il suo cellulare non ha smesso di suonare tutta la notte, alternando chiamate di amici e parenti dal mondo, ad altre di agenzie stampa, radio e testate un po’ ovunque.

Il giorno dopo

Il giorno dopo l’atmosfera era surreale: poca gente in giro, e tutto avvolto in uno strano e sbigottito silenzio. Mentre mio marito era già a pieno ritmo nella macchina dei soccorsi, io mi occupavo dello shock dei miei figli e dei miei amici.

Quando succedono cose di questo tipo ci si rende conto di come siamo tutti appesi a un filo e di come in fondo questa terra che tanto tentiamo di assoggettare, può distruggerci in battito di ciglia.

La sensazione del giorno dopo era di chi è scampato a una tragedia e rivaluta le semplici gioie quotidiane: ci siamo stretti tutti uno all’altro, la giornata è trascorsa alternando momenti di intimità casalinga, semplici giochi coi bambini, a telefonate con amici che si informavano a vicenda di come si stava.

L’amica che al quindicesimo piano ha visto tutti i quadri cadere, i vetri scoppiare, l’acqua dei sanitari strabordare, e non riusciva a smettere di piangere; l’amica che pur abitando al pianterreno, ha visto cadere tutte le statuette e i soprammobili, ed è scappata in strada, dove vedeva le crepe aprirsi nel selciato sotto ai suoi piedi; gli amici che reagiscono con vigore, e si recano immediatamente a donare sangue o ad informarsi per partire subito per le zone colpite.

terremoto in perùSì, perchè in tutto questo la sensazione che aleggiava era che noi a Lima eravamo sani e salvi mentre gli amici al sud erano entrati nell’incubo della distruzione e della morte. Pisco, la cittadina più vicina all’epicentro del terremoto, rasa al suolo. Chincha, la culla della cultura afro-peruana, idem. Paracas, quel paradiso di natura, pace, e vita semplice, spazzata via. 595 morti, 1.039 feriti, 318 dispersi, 35,214 case distrutte (dati dell’INEI, Instituto Nacional de Estadistica e Informatica, riferirti al censimento del 29 e 30 agosto nelle zone), i sopravvissuti in situazione di isolamento e disperazione, chi a fare il conto delle perdite di vite umane, chi a proteggere quelle poche cose che si erano salvate dal crollo.

Saccheggi e attacchi

Purtroppo, ed è questa una cosa che ci ha scosso più del terremoto, col calare della prima notte, laidi personaggi senza scrupoli si sono sguinzagliati tra le macerie, tentando di appropriarsi dei pochi poveri beni rimasti alle famiglie sotto shock. Una situazione da inferno dantesco, le città rase al suolo, senza luce, tra le macerie, i cadaveri e la paura, e il doversi difendere dagli attacchi della propria gente, che razziava e rubava, incurante della tragedia.

Tutta la notte la gente ha vegliato con falò improvvisati. E la cosa è continuata nei giorni successivi, anche nelle strade che portavano alle zone colpite: in prossimità dell’entrata della città di Chincha, molti veicoli che trasportavano beni di prima necessità per le popolazioni sono stati attaccati e saccheggiati di tutto.

Raccolte personali

La solidarietà immediata si è espressa in vari modi, ed è stata travolgente in tanti sensi: dalle grandi e medie organizzazioni al singolo individuo, è stato tutto un flluire spontaneo e in molti casi disorganizzato di iniziative per aiutare i fratelli del sud.

Chiunque avesse una connotazione di gruppo o di entità, organizzava la propria raccolta: scuole, chiese, associazioni, municipalità, cori, gruppi di musica, catene di negozi, gruppi di espatriati. Molte le famiglie che raccoglievano qui a Lima materiale sufficiente per riempire camioncini e pick-up (acqua, torce, coperte…) e partivano alla volta di Chinca, Pisco e Ica per soccorrere in prima persona i propri famigliari. Nei supermercati si vedevano carrelli colmi di bottiglie d’acqua, riso, cibo in scatola e fiammiferi.

Per fortuna è stato così perchè gli aiuti, a parte qualche sporadico successo, han tardato molto. Non voglio entrare nel merito della polemica: non mi compete e non credo sia costruttivo. E’ però innegabile che la disorganizzazione da parte delle autorità ha complicato molto le cose, che in questi casi non sono mai facili di per sè.

Se c’è stata una lezione da trarre da questo terremoto è che le istanze preposte si sono trovate totalmente impreparate e nell’assenza di un piano di intervento efficiente e coordinato. Le varie organizzazioni, ong e associazioni di aiuto si sono trovate a dover agire in mancanza di una coordinazione ponderata e intelligente. E questo si è ripercosso sulla situazione in loco, dove a molti giorni dal terremoto c’erano ancora famiglie che dormivano all’aperto, senza coperte, e raccogliendo l’acqua con mezzi di fortuna.

terremoto in perù

Le iniziative

Ma come spesso succede in questi casi, e come è del resto molto tipico del popolo peruviano, la gente si è rimboccata da subito le maniche, e l’economia del posto ha ripreso timidamente a marciare: il mercato alla periferia di Pisco, ad esempio, si è subito riattivato, pur con poca mercanzia e con un flusso di presenze limitato. I campi sono stati organizzati con grandi tende dove si sono installate le famiglie rimaste senza tetto, si è tentato di ottimizzare la distribuzione d’acqua, di riattivare le scuole, temporaneamente alloggiate in tendoni temporanei (o così si spera), di fornire appoggio psicologico a chi ha perduto i propri cari, e ai bambini.

Non sono stata nelle zone colpite, ma ho parlato con molta gente che dal giorno del terremoto va e viene con diverse funzioni. Tra questi voglio citare Luca, caro amico e fotografo, che si è recato a più riprese a Pisco e Tambo de Mora per fotografare la tragedia.

Racconta Luca nel suo blog: “Arriviamo a Pisco e l’impressione è subito forte. Pisco è la città più vicina all’epicentro e quindi la più danneggiata. È qui che si stanno concentrando tutti gli aiuti internazionali. Tiriamo dritto verso l’aeroporto militare, dove vi è il Centro di Operazioni delle Nazioni Unite. Sulla pista un C-130 brasiliano, un fokker peruviano e da un aeroplano spunta il pupazzo McDonald. McDonald servirà per una settimana pasti gratis a tutto il personale dell’aeroporto. La bontà interessata, presumo. All’interno dell’aeroporto tende di volontari di grosse Ong, l’equipaggiatissimo tendone di Télécommunications sans Frontières e un gruppo di pompieri francesi del Pas-de-Calais che mi affretto a fotografare. […] Lasciamo quindi la carovana e ci rechiamo al centro di Pisco. L’impatto è da girone dantesco. Macerie dappertutto, quasi la totalità delle case in rovina, dense nuvole di polvere alzate dalle spalatrici. È difficile respirare e dobbiamo chiedere delle mascherine presso un ospedale di campagna montato in Plaza de Armas. Un’occhiata alla chiesa che ha fatto 148 vittime, unici scampati un bambino e il benedetto prete. Solo le due torri in piedi, anche la cupola salvatrice è stata buttata giù.”.

Disorganizzazione

terremoto in perùLa disorganizzazione nei soccorsi non aiuta. Racconta Luca: “In questi posti, (gli “albergues”, campi di accoglienza temporanei, n.d.r.) l’acqua è il bene più scarso e, essendo anche il più fondamentale, è contesissimo. Appena passa un camion cisterna, le persone accorrono cercando di mettersi in fila tra gli spintoni. La situazione drammatica che perdura da ormai dieci giorni esaspera gli animi. La disperazione dell’attesa è una miccia pronta a esplodere. Le donne litigano, gesticolando e urlandosi in faccia. Due uomini quasi vengono alle mani. Si sfiora la rissa collettiva. Il camionista minaccia di non passare più, è sempre la stessa cosa, si sfoga, qui non fanno altro che litigare, è l’ultima volta che vengo. I soldati con il mitra osservano impassibili”.

Continua il suo racconto: “Incontriamo le prime famiglie, madri, bambini, donne incinte, uomini che si danno da fare. Sono stipati in “albergues” di fortuna, presso le loro case, il loro quartiere da cui non vogliono allontanarsi, unico legame a un mondo crollato vicino. Le storie che ascoltiamo sono queste: la terra trema, la paura, prendere i bambini, mettersi in salvo e poi vedere il mondo che ti crolla attorno. Chi ha perso un familiare, un fratello, un conoscente. E ora dover passare da una vita di stenti dal futuro incerto ad una vita sospesa orfana del passato e senza futuro. Quanto durerà la ricostruzione, uno, due, dieci anni ? Dovere ricostruire fuori e ricostruirsi dentro perchè il trauma è fortissimo. Alcune donne, soprattutto quelle in gravidanza, scoppiano in lacrime.”.

Ricostruzione

Già, la ricostruzione. Parolona che all’immediato rimanda a copiose quantità di dollari che inondano il paese. Perchè di aiuti ne sono arrivati tanti, anche monetariamente parlando. Sono arrivati attraverso le organizzazioni umanitarie in loco, da piccole, grandi e medie compagnie private, da governi (il nostro governo italiano ha immediatamente donato 200,000 euro alla Federazione Internazionale di Croce Rossa), dalla società civile. Con un po’ di inquietudine torno al ricordo dell’uragano Mitch in Honduras e Nicaragua, e a tutte le polemiche riguardo alla manipolazione dei fondi dati al governo honduregno per la ricostruzione, manipolazione non sempre trasparente.

Il governo peruviano dall’inizio si è impegnato in una forte campagna di presenze ufficiali nelle zone terremotate. Mi raccontano persone di ritorno dalle aree colpite che la profusione di ministri visibilmente molto impegnati in prima persona nel “dirigere” le varie operazioni era, almeno agli inizi, piuttosto impressionante. Lo stesso presidente Alan Garcia si è recato più volte in loco, per confortare personalmente la popolazione, e promettere velocità ed efficienza nella ricostruzione.

Alloggi senza contratto

Ma i problemi non sono pochi, e ad esempio ve ne cito solo uno: a Pisco molte delle case distrutte ospitavano 3 o 4 famiglie, che venivano alloggiate dai proprietari senza contratto alcuno. Queste case distrutte verranno ricostruite, ma secondo la logica verranno assegnate al proprietario. Che faranno le famiglie che “squattavano”? Chi le prende in carica? Saranno autorizzate a restare nei campi improvvisati fino a trovare un’altra sistemazione? E dove e come la troveranno?

terremoto in perùAnche Luca ne parla: “La Alameda è uno di questi “albergues” senza stelle, abitati da famiglie che non ne vogliono sapere di andarsene. Hanno paura di allontanarsi dalle loro “case macerie”, perchè senza titolo di proprietà. O forse per il legame affettivo con la casa che fu, con la terra rimasta. E per questo affrontano file interminabili per i pasti, l’assenza di servizi igienici, le liti per l’acqua. La tensione è palpabile. I soldati dell’esercito, schierati attorno all’accampamento, e sono tanti, non so se sono un fattore calmante oppure accentuano questa strana atmosfera di guerra”.

Continuano le considerazioni di Luca: “Terminate le interviste raggiungiamo la comitiva e si va a vedere l'”albergue” San Andres, attrezzatissimo, con tendoni bianchi e puliti della croce rossa tutti a distanza regolamentare. Pasti serviti in piatti di plastica, bagni, latrine, non c’è che dire, sembra il top. Però quanto anonimo, si agglutinano famiglie che vengono da quartieri diversi. Come faranno a ricostruire in questo mega parcheggione di lusso le loro dinamiche sociali, economiche ?”.

Violenza nei campi

E i problemi di questi campi non finiscono qui. Nessuno sembra ad esempio aver pensato alla sicurezza delle ragazze e delle donne in queste inquietanti distese di tende in mezzo al nulla. Mi racconta un’amica che lavora per un’organizzazione umanitaria, al ritorno da una missione di due giorni a Pisco, che i casi di stupro aumentano in maniera allarmante, e che ancora non c’è un meccanismo efficace di protezione per evitare che si riproducano. E’ angosciante pensare a come l’uomo, pur nel bel mezzo di una tragedia di queste dimensioni, riesca sempre e comunque a dare il peggio di sè.

In ogni caso la vita continua, si dice…. la gente è ancora molto focalizzata su quanto è successo, e a distanza di un mese e mezzo in molti parlano ancora di questo terremoto, e il livello di attenzione, quantomento mediatico, verso le popolazioni del sud, si mantiene abbastanza vivo. L’estradizione dal Cile di Alberto Fujimori, settimana scorsa, ha occupato per vari giorni di fila le prime pagine dei quotidiani peruviani, scalzando le notizie sulle varie iniziative pro ricostruzione. Contiamo sul fatto che la soliderietà e l’empatia della maggior parte della società civile peruviana resti viva e continui ad esprimersi in gesti consoni alle varie fasi del post-tragedia.

Grazie Luca per averci permesso di usare pezzi del tuo blog e per le splendide fotografie.

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Lima, Perù
Ottobre 2007
Tutte le foto ©Luca Bonacini

 

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