In questo articolo Claudiaexpat analizza alcune delle ragioni per le quali, secondo lei, l’esperienza delle mamme expat si può comparare spesso a un lavoro a tempo pieno.
Quanto sto per scrivere vale tanto per le mamme che per i papà expat. Mi piace, però, rivolgermi a un pubblico femminile, che conosco molto più a fondo. Sono sicura che molti papà che si occupano in prima persona della prole nei loro paesi d’accoglienza, si ritroveranno in quanto sto per dire.
Forse. Perché non ho la presunzione di affermare verità universali in materia d’espatrio. Come sapete, mi baso sulla mia esperienza di espatriata in paesi piuttosto complessi, il che potrebbe portarmi a trarre conclusioni che non collimano con l’esperienza di mamme expat che hanno vissuto in paesi più semplici (mi riferisco a strutture, sicurezza, contesti culturali riccamente complessi e lontani dai nostri originali, qualunque essi siano).
Ad ogni modo, il peso dei cliché e di false verità che come espatriate ci sentiamo affibbiare nel corso delle nostre vite mobili continua a farsi sentire anche a distanza d’anni.
Noi mamme expat siam sempre in vacanza
Una di queste riguarda la cura dei figli in espatrio. Mi pare che esista la convinzione che le donne in espatrio abbiano una vita facilitata e un sacco di tempo a disposizione, se non lavorano. E invece, sono convinta che quello che le mamme expat fanno nell’occuparsi dei figli costituisca in moltissimi casi un lavoro a tempo pieno, e ora vi spiego perché.
Le mamme chiamiamole stanziali, crescono i propri figli e figlie in un contesto conosciuto e sicuro. Hanno una rete di contenzione e di supporto che si è nutrita e arricchita nel corso degli anni. Sanno quali sono i codici comportamentali da seguire in tutte le situazioni che la vita da genitori presenta, e possono orientare senza sforzo la prole in qualsiasi sfera. L’inserimento scolastico di figli e figlie è spesso facilitato da conoscenze a priori, e pur sussistendo differenze tra genitore e genitore (per fortuna anche all’interno dello stesso gruppo culturale, siamo tutti diversi!) la cultura di riferimento guida le relazioni, all’interno delle quali si muovono con agio.
E invece no…
Per le mamme expat, tutto l’ambiente che fa da sfondo all’avventura di essere madri è da scoprire. E mentre penetrare nuovi ambienti quando si è soli e responsabili solo di se stessi è una fase emozionante, farlo con dei piccini a volte può rivelarsi stressante.
I genitori, e dunque nel caso che sto analizzando, le mamme expat, sono gli occhi della prole. Sono loro che interpretano il mondo e lo restituiscono leggibile, chiaro, palpabile. E’ facile dare spiegazioni di quello che si conosce e con cui si è cresciuti, un po’ meno spiegare comportamenti e azioni che ai nostri stessi occhi risultano misteriosi e spesso anche ingiustificabili.
Le dinamiche in famiglia
La scoperta di una nuova cultura è un’impresa che si fa in famiglia. Ed è assolutamente arricchente coinvolgere tutti i membri in questo percorso. Ma mentre si sta elaborando il lutto del paese passato e ricostruendo una routine nel posto nuovo, arrivano le sfumature in continuo cambiamento (perché si scoprono man mano) della nuova cultura ospitante, ad agitare questo già agitato processo. Ricordo ancora come l’entusiasmo iniziale del mio bimbo grande in Perù, dettato da tutte le belle cose che scopriva intorno ai manufatti e alle tradizioni del suo nuovo paese, abbia subito una brusca battuta d’arresto quando dopo qualche settimana di scuola ha vissuto sulla sua pelle il machismo di cui è impregnata la società limegna.
Le mamme expat tendono in maniera naturale a far da filtro nella “somministrazione” della nuova cultura, ma come dicevo sopra, spesso loro stesse non hanno risposte adeguate ai vari casi. Ed eccole dunque darsi da fare a ritmo ancora più intenso per carpire codici e strati sotterranei delle nuove società ospitanti, per poterli tradurre in messaggi chiari e digeribili ai propri figli.
Un lavoro incessante
Questo comporta tante cose: imparare rapidamente la nuova lingua, stringere relazioni locali per vivere sulla propria pelle la realtà umana del luogo e capire così come ci si deve comportare, comprendere rapidamente come funzionano le cose nella pratica, per non esporre figli e figlie a inutili incidenti interculturali che possono minare il futuro rapporto con il paese.
C’è poi anche tutto l’aspetto di accoglienza/attività ludiche a casa propria o di amichetti, che per me ha sempre rappresentato una grande sfida: bisogna portare qualcosa se si è invitati a casa di un amico a Brazzaville? Cosa posso fare per rassicurare i genitori honduregni che le loro figlie sono al sicuro a casa nostra? E’ normale che alla festa di compleanno del mio bambino a Lima arrivi tutta la famiglia degli amichetti e non si schiodi più? Tutte cose che s’imparano partecipando e organizzando alacremente e in prima persona tutte le attività che ruotano intorno alla vita dei nostri figli e figlie.
E’ un processo stimolante e affascinante, se ci si butta con entusiasmo e motivazione. Ma non si può negare che non sia privo di ostacoli, momenti di dubbio e ripensamento, e che prenda tantissimo tempo ed energia. Ecco perché, a mio parere, è più che legittimo parlare di lavoro a tempo pieno quando si guarda all’operato delle mamme expat, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all’arrivo in un nuovo paese.