Claudiaexpat ci racconta la vita del suo cane honduregno, e in particolare il suo trasferimento dall’Honduras al Perù.
Mitch è il nostro cane honduregno, che ci è stato venduto come pastore tedesco, e che, abbiamo poi scoperto, del pastore tedesco ha molto poco. Sicuramente ha sangue di pastore belga, e tanto, tanto sangue latino. Ha infatti un sedere che punta verso l’alto a dispetto dell’età e della sua supposta razza, e adora le donne. Oltre a tutto ciò è un cane espatriato, a tutti i diritti. Quattro anni fa ha infatti lasciato il suo paese natio, l’Honduras, per seguire la sua famiglia in Perù.
Quando l’ho visto, quel giorno all’angolo del Blvd Morazan in piena Tegucigalpa, nelle mani del suo venditore, era un cucciolo di due mesi. In famiglia si parlava già da un po’ di prendere un cane da guardia (vivevamo in un posto piuttosto isolato, dove io ero spesso sola coi bambini) e un animale domestico per avvicinare i bambini a questa meravigliosa opportunità che sia io che mio marito avevamo vissuto, di crescere con un esserino in casa. Con Mitch fu un colpo di fulmine. Ce lo portammo a casa il giorno stesso, e da allora fa parte a pieno titolo della nostra famiglia.
I primi quattro anni li ha trascorsi in uno splendido posto vicino al Parco Nazionale della Tigra, una riserva naturale protetta in Honduras. Girava felice in giardino, e quando Freddy, il guardiano, apriva il cancello per lasciare uscire la macchina, ne approfittava per farsi un giretto tra cavalli, mucche e altri vicini di casa. Di domenica lo portavamo a correre nei boschi lì intorno. Credo che i primi anni siano stati i più felici della sua vita.
Quando il nostro contratto in Honduras giunse al termine e ci dissero che saremmo andati a vivere in Perù, era chiarissimo che Mitch sarebbe venuto con noi. Era però impossibile caricarlo sull’aereo al tempo stesso della nostra partenza. Avremmo infatti trascorso un paio di mesi in Italia, per poi atterrare in un hotel di Lima in attesa di cercare casa (con giardino. Per Mitch). La soluzione che abbiamo trovato è stata la seguente: Mitch sarebbe rimasto nel giardino della nostra casa di Tegucigalpa fino a che il padrone di casa avesse trovato nuovi inquilini. Freddy, il nostro guardiano, sarebbe passato a nutrirlo, controllare che stesse bene, e farlo uscire a passeggiare di tanto in tanto. Se la casa fosse stata affittata di nuovo, Mitch si sarebbe trasferito nella casa a lato, ancora in costruzione, sempre sotto l’amorevole supervisione di Freddy. Prima di partire dall’Honduras ci preoccupammo di lasciare tutto organizzato nel migliore dei modi: cibo in abbondanza, la gabbia per il suo trasferimento dall’Honduras al Perù, il contatto con il veterinario che si sarebbe occupato dei documenti, i soldi per fargli il biglietto aereo etc.
Mitch è rimasto in Honduras senza di noi da metà luglio all’inizio di novembre. Durante quel periodo non avevamo quasi mai sue notizie. Freddy non usava Internet e l’accordo era che sarebbe sceso in città e avrebbe parlato con gli ex colleghi di mio marito solo in caso di brutte notizie. Per noi ci volle un po’ prima di trovare la casa adatta a Lima, e quando fummo pronti l’invio del nostro amato cagnone fu rimandato per problemi di salute di Freddy. E finalmente il grande giorno arrivò, all’inizio di novembre di quello stesso anno: Mitch sarebbe stato imbarcato a mezzogiorno su un volo della Taca (linea aerea latino americana) Tegucigalpa/Panama, e avrebbe cambiato aereo a Panama per arrivare poi direttamente a Lima. L’arrivo era previsto per le 23:30 di Lima.
Procedura per far uscire un animale domestico dall’Honduras
Per gli accorgimenti tecnico affettivi, vi rimando al nostro articolo Trasferire gli animali. Per quanto riguarda la documentazione necessaria, dovrete munirvi di:
- certificato d’esportazione (si ottiene alla Senasa, fornendo i seguenti documenti:
- 1 formulario prestampato che vi viene fornito allo stesso ufficio o che potete scaricare da questo sito https://senasa.gob.hn/ (quando funziona);
- 1 certificato del veterinario che attesta la buona salute dell’animale, in originale e in fotocopia;
- libretto vaccinazioni- libretto di vaccinazioni aggiornato
- certificato di buona salute del veterinario emesso non oltre quindici giorni prima della partenza dell’animale
- libretto vaccinazioni aggiornato
Procedura per far entrare un animale domestico in Perù
- certificato di esportazione rilasciato dal Ministero della Sanità locale o ente corrispondente
- libretto di vaccinazioni aggiornato, che includa la vaccinazione antirabbica fatta non oltre quindici giorni prima della partenza dell’animale
- certificato veterinario che attesti la deparassitazione dell’animale e che indichi il prodotto utilizzato
- tassa d’entrata (63 soles) da pagare all’arrivo dell’animale, se l’animale viaggia con voi, o tassa di importazione (molto più salata: varia a seconda della razza, del costo del biglietto aereo che avete pagato, e dall’età del cane) se l’animale arriva in un volo a parte come cargo.
Inutile dire che il giorno in cui Mitch ha viaggiato ero agitatissima. Da Tegucicalpa mi avevano avvertita con una mail del fatto che era partito (e che era sporchissimo, aggiungeva l’ex segretaria di mio marito, cosa che mi ha preoccupata ulteriormente, e questa volta rispetto a come era o meglio non era stato curato in nostra assenza). Le paure erano quelle classiche: sopravviverà? Cosa penserà? Il sedativo lo sederà per sempre? Impazzirà di claustrofobia? Il rumore dell’aereo lo spaventerà? Lo renderà sordo? E altre amenità del genere.
Alle 23:30 in punto io e mio marito ci trovavamo al magazzino cargo dell’aereoporto Jorge Chavez di Lima, per una delle notti più lunghe della nostra vita. Quando uno degli addetti ci ha indicato la gabbia di Mitch con tono normale, dal quale ho dedotto che il cane era ancora vivo, ho provato un sollievo talmente grande che l’avrei abbracciato. Mentre ci avvicinavamo alla gabbia mio marito ha fatto “il fischio di famiglia”, e abbiamo visto le orecchie di Mitch alzarsi repentine. Ci siamo avvicinati alla gabbia (vi risparmio le mie scene all’italiana) e gli abbiamo parlato: era vivo, lucido, seduto e quando ci ha visti ha raspato la grata della gabbia con la zampa. Ma il poverino non sapeva, e non lo sapevamo nemmeno noi, che dentro alla gabbia avrebbe trascorso tutta la notte, mentre io e mio marito giravamo da uno sportello all’altro e ci invischiavamo in discussioni una più controproducente dell’altra, e andavamo perdendo le speranze man mano che il cielo schiariva.
Inizialmente sembrava tutto liscio come l’olio. Dal magazzino cargo siamo andati agli arrivi dell’aereoporto (5 chilometri) dove l’addetta della Senasa (dipartimento di agricoltura) ci ha seguiti a vedere il cane, firmare i documenti, etc. Siamo poi tornati all’aeroporto per pagare le tasse, ma mancava un attestato della linea aerea che l’aveva trasportato fino a lì. Tornati al magazzino, ci han detto che per rilasciare l’attestato avevano bisogno di un documento della dogana che attestava che il cane era effettivamente entrato in Perù. Tornati all’aereoporto abbiamo richiesto questo documento, con il quale siamo tornati al magazzino per avere l’attestato della linea aerea. Dato però che l’attestato non era ancora pronto perchè per emetterlo dovevano quantificare ed elencare tutto il cargo che aveva viaggiato nell’aereo, ci hanno rilasciato una dichiarazione temporanea con la quale potevamo pagare le tasse. Siamo dunque tornati all’aeroporto per pagare le tasse (salate… salate…) e con l’attestato di avvenuto pagamento siamo tornati al magazzino, dove ci hanno informati (a quel punto erano circa le 5 del mattino, perchè oltretutto, a ogni sportello, dovevamo aspettare che l’addetto emergesse dal sonno, si stirasse, bevesse un caffettino e recuperasse la dimensione del suo lavoro prima di ascoltarci) che purtroppo l’addetto che doveva firmare l’attestato della linea aerea era andato a dormire senza firmare e quindi ci invitavano a tornare il giorno dopo. Davanti però alla mia chiarissima intenzione omicida, ci hanno consigliato di spiegare la faccenda all’aereoporto che forse avrebbe acconsentito a lasciar uscire il cane previo impegno da parte nostra di tornare il giorno dopo a firmare e ritirare la documentazione mancante. Siamo dunque tornati all’aereoporto.
Albeggiava. L’addetta dormiva sonoramente. Io ero a pezzi. L’ho chiamata con un filo di voce e quando le ho rispiegato la situazione lei, con aria caparbia mi ha detto che spiacente, il cane non poteva uscire. A quel punto ho perso il controllo. Facendo la peggior scena di cui la mia immaginazione di espatriata fosse capace, ho cominciato a battere le mani sul banco urlando che mi stava venendo un infarto, che giuravo che sarei stramazzata lì, sotto allo sguardo dell’ufficiale della dogana, e che mi avrebbero avuto loro sulla coscienza per il resto dei loro giorni. Il mio can can ha attirato una poliziotta (erano tutte donne, quella notte, gli uomini evidentemente dormivano) la quale, dopo avermi avvolta in uno sguardo davvero pietoso, ha afferrato il documento, l’ha timbrato e me l’ha teso.
Siamo ritornati zampettando felici al magazzino, ma non era ancora finita: prima di darci il cane dovevamo pagare le tasse di immagazzinamento – ovvero le ore tra le 23:30 e le 6:00 del mattino durante le quali il cane era rimasto “immagazzinato” mentre noi correvamo da uno sportello all’altro. Vi risparmio la conclusione della vicenda. Alle 6:10 abbiamo aperto la porta della gabbia di Mitch, che è uscito un po’ frastornato ed è salito sul sedile posteriore della macchina, dove io, incurante del fetore veramente insopportabile che il poverino emanava, lo abbracciavo come se fosse stato un figlio che si credeva perduto per sempre, e mio marito metteva in moto e scivolava via dall’odiato magazzino aereoportuale. Con la faccia affondata nel collo di Mitch, ho lanciato un ultimo sguardo e ho visto tutti i magazzinieri che osservavano commossi il mio rincontro col cagnone.
Questo paragrafo della vita di Mitch e il suo volo verso il Perù ce li possiamo solo immaginare. Il cane è comunque arrivato in ottime condizioni. So che l’hanno sedato prima di farlo partire, ma quando è uscito dalla gabbia, quasi 24 ore dopo esserci entrato a Tegus, era perfettamente in forma. E’ arrivato alla sua nuova casa di Lima mentre i bambini si stavano alzando. E’ sceso dalla macchina e ha cominciato ad annusare dappertutto, correndo qua e là con la lingua a penzoloni. La giornata l’ha passata perlopiù sdraiato e accogliendo ogni mezz’ora le mie entusiaste effusioni. Da allora sono passati quasi cinque anni e oggi Mitch non è più il cane scattante e giovane che correva per i boschi di Tegus. La vita limegna, con la sua umidità e le poche possibilità di lasciarlo correre libero che offre, l’hanno reso pigro. E’ invecchiato e ha il muso tutto bianco. E’ però sempre di ottimo umore e giocherellone, oltre a mantenere perfettamente il suo ruolo di fedelissimo guardiano della casa e dei suoi abitanti. La sua gabbia è stata smontata e lavata al suo arrivo a Lima, e poi messa nella stanza deposito dove la sfioro con lo sguardo quando ci entro per qualche motivo. So che tra qualche mese dovrò tirarla fuori, montarla e mettercelo dentro per un viaggio probabilmente più lungo dell’ultimo che ha affrontato. Questa volta lo farò però viaggiare con me, costi quel che costi. E tornerò a raccontarvi l’avventura…