Cinque anni fa ho scritto questo articolo, nel quale racconto come mio figlio Pablo ha cominciato a disegnare il suo destino. Durante questi anni ci sono stati momenti di allegria, di tristezza, esperienze che sicuramente tutti ritrovano nelle proprie vite, incontri, delusioni, rotture, dubbi… Pablo ha cambiato di nuovo, ha lasciato Portland e con mia grande sorpresa, tra tutte le possibilità ha scelto il paese in cui sono cresciuta, il luogo della mia infanzia e dei miei ricordi, Buenos Aires; dopo tanti cambiamenti penso che si sia deciso per il posto che sente più famigliare. Oggi è completamente immerso nel trovare le coordinate di quello che vuole fare, cerca di trovare in se stesso la sicurezza che va oltre quella che possiamo dargli noi come genitori. E noi, dal canto nostro, continuiamo ad accompagnarlo e ad appoggiarlo come sempre.
Rupexpat
Novembre 2013
Articolo originale:
Questo è un breve racconto su come Pablo, mio figlio, ha deciso il posto in cui avrebbe cominciato i suoi studi universitari e la sua “nuova” vita. Storia che voglio condividere con voi perchè insieme, chissà, si possa riflettere su questa difficile tappa della vita dei nostri figli: l’adolescenza in espatrio.
Quando nacque mio figlio Pablo, fantasticavo con l’idea che la vita famigliare sarebbe stata come un nucleo solido e perfetto che avrebbe protetto la sua infanzia dalle turbolenze dei trasferimenti e dei traslochi, e in effetti così fu, niente sembrava minacciare i vincoli strettamente intrecciati nel calore della nostra vita domestica.
Gli anni sono passati ed è arrivato il momento tanto temuto, i figli sono cresciuti e hanno cominciato a proiettare le proprie vite lontano dallo sguardo dei genitori: l’università, la vita da soli, altra città, altri amici, altre responsabilità…
Pablo ha 18 anni e una vita intera alle spalle piena di andirivieni nel mondo. Il lavoro di suo padre gli ha disegnato una vita nomade, dall’Argentina agli Stati Uniti, passando per la Cina, l’Italia e la Grecia. E’ cresciuto affacciato su altri orizzonti ed esposto alle esperienze e ai sentimenti inevitabilmente causati dal vivere temporaneamente in paesi diversi. Ogni trasloco gli apriva una nuova finestra sul mondo, a volte con difficoltà, altre più facilmente, ed è andato adattandosi di volta in volta alla sua nuova vita, stringendo nuove amicizie e facendo di ogni città e di ogni casa il suo posto definitivo. Ogni partenza riportava a galla vecchie tristezze, ricreava nostalgie note, riapriva dolori che si pensavano dimenticati, ogni arrivo prometteva nuove illusioni, ravvivava sfide, risvegliava voglie di conoscere e di avventurarsi nel nuovo. Ad ogni trasloco si ripeteva lo stesso processo, i ricordi amati servivano da scongiuro contro i timori, le insicurezze, la solitudine dei primi tempi, per cominciare così un nuovo ciclo.
E così passarono i suoi anni scolastici… Gli ultimi cinque delle superiori li fece a Portland (Oregon), dove si formò un eccezionale gruppo di amici e dove conobbe il suo primo amore. Prima che finisse il suo penultimo anno venimmo a sapere che dovevamo lasciare gli Stati Uniti e trasferirci in Grecia. I miei figli si intristirono, molto di più che con i trasferimenti precedenti, ci furono periodi di silenzi, di lamentele, di pianti, di spiegazioni, fino a che col passar del tempo gli animi si calmarono e in assenza di alternative cominciarono ad accettare l’idea di dover nuovamente partire.
Pablo tentò di convincerci a fargli cominciare l’università a Portland, ma l’idea di lasciarlo sulla costa ovest degli Stati Uniti, mentre noi ci installavamo in Europa, in quel momento ci parve troppo campata in aria. Essere separati da un oceano di migliaia di chilometri era come abbandonarlo al suo destino, eravamo sempre stati insieme, la nostra famiglia era stata come una piccola fortezza che ci proteggeva da tutti i cambiamenti, e non riuscivamo a concepire l’idea di vivere così lontani l’uno dall’altro. Per la prima volta Pablo andava a vivere da solo, lontano da noi, e volevamo poter arrivare in tempi relativamente brevi nel posto dove si sarebbe installato, indipendentemente dalla distanza. Come alternativa gli proponemmo di andare a studiare a Londra, e così fu…
Dopo aver esaminato programmi e analizzato vari corsi, e a volte condividendo il nostro entusiasmo, Pablo decise di chiedere l’ammissione a varie università inglesi. Dopo qualche mese ci arrivò la risposta positiva da parte di una delle università scelte.
I mesi passavano e Pablo cominciò a languire, a destrutturarsi, lui che era sempre stato un ottimo studente smise di studiare, arrivava tardi a scuola, di notte non riusciva a dormire, non aveva voglia di niente, neanche di scrivere, che era la sua attività preferita. Suo padre, che in quel momento stava già vivendo in Grecia, tornò a Portland perchè insieme potessimo aiutarlo a superare la depressione che lo aveva colpito. Con pazienza e molto amore riuscimmo a fargli ottenere il diploma. E arrivò il momento della partenza, e degli addii… Pablo era stranamente tranquillo.
Una volta in Grecia, Pablo era più silenzioso che mai, sorrideva raramente, non voleva rispondere alle nostre domande, nè dirci cosa gli succedeva, non accettava neanche la terapia psicologica che gli avevamo offerto. Sembrava che la situazione ci sfuggisse di mano. Andammo in vacanza, ma lo vedevamo ogni giorno più triste, più assente.
Quando tornammo a casa, cominciammo i preparativi per andare a Londra e organizzare lì la sua vita di studente. Avevamo fiducia nel fatto che si sarebbe entusiasmato con la città, con tutte le opportunità culturali che offriva, con i corsi, i seminari di scrittura, i vari club del suo campus, i compagni che venivano da tutte le parti, con la sua nuova indipendenza, con tutto questo mondo che gli si apriva davanti agli occhi. D’altro canto sapevamo che i suoi amici erano fondamentali, e per dargli continuità con loro gli promettemmo di aiutarlo a fare un viaggio a Portland appena possibile.
Arrivammo a Londra, si installò nella sua stanza nel campus universitario, si iscrisse ai suoi corsi, comprammo i libri e tutto il necessario per fare in modo che indipendentemente dalla nostra partenza, sentisse di avere qualcosa di simile a una “casa”, a un “rifugio”. E lì lo lasciammo, all’angolo di un bar londinese, sotto la pioggia, salutandolo con la mano mentre il nostro bus si allontanava.
La stessa settimana Pablo tornò a Portland. Mise insieme le poche cose che gli entravano in valigia, in silenzio, in segreto, quasi per paura che qualcuno potesse fermarlo. Partì verso il posto dove sentiva di avere la “sua casa”, i suoi amici, la sua ragazza, i suoi vincoli affettivi al di fuori della famiglia.
Dopo averlo chiamato per due giorni e senza risposta, “seppi” che se n’era andato, non avevo dubbi, i segnali che ci aveva lanciato negli ultimi mesi erano stati tanti, come tanta era stata la nostra ostinazione nel non volerli prendere in considerazione. Il giorno seguente ci mandò una lunga lettera piena di emozione spiegandoci il perchè della sua decisione. E adesso è lì, ricostruendo la sua storia, dimostrandoci che sa quello che vuole e soprattutto difendendo quello che per lui ha più valore: il suo amore, i suoi amici, e il suo posto, quello che si è costruito in cinque lunghi anni, e a cui non ha voluto rinunciare.
A parte lo shock iniziale causato dalla sua partenza, e la confusione di sentimenti, confesso di sentirmi sollevata, come se solo adesso mi rendessi conto, vedendo mio figlio felice, libero dalla malinconia dei ricordi, e impegnato nelle sue scelte, dell’errore del non aver ascoltato fino in fondo le sue ragioni.
So che ogni individuo, ogni famiglia, ogni storia è diversa, ma se dovessi dire qualcosa ai genitori di tutti questi ragazzi che sono cresciuti seguendoci per il mondo, amandoci e aiutandoci più che chiunque altro a posare la pietra fondamentale nei luoghi in cui abbiamo vissuto, sarebbe di ascoltarli e appoggiarli nelle loro decisioni, come loro ci hanno sempre appoggiati incondizionatamente, e che indipendentemente dalle differenze di criteri, impariamo a comprendere le loro rivendicazioni. Penso che a volte sia difficile lasciare da parte tutto quello che abbiamo sognato e proiettato per e su di loro, ma pensiamo che pur formando la nostra essenza, devono per forza partire per costruire la propria identità (doppia partenza: verso la propria “ricerca”, il proprio “farsi persone”, e verso il vivere soli, a studiare, in altre città, altri paesi). Ed è questo distacco che è tanto lacerante, dopo essere stati così vicini a loro. Forse non riescono a darci chiaramente tutte le risposte che esigiamo, forse non sanno tutto sul cammino che li aspetta, giustamente perchè sono all’inizio, e credo che sia proprio qui che dobbiamo essere più saggi e pazienti, e accompagnarli attenti e vigilanti da lontano, accettando il fatto che non sappiamo tutto su di loro, e che è giusto che sia così. Questa dimensione nella quale non entriamo, e che è solo loro, è la più genuina e propria ed è quella che forse racchiude le risorse insospettate che hanno a disposizione per la creazione unica del loro cammino.
Rupexpat
Atene, Grecia
Giugno 2008
Tradotto dallo spagnolo da Claudiaexpat