
In questa “finestra sugli Stati Uniti”, Giulietta, che vive in California, ci racconta cosa vuol dire vivere un’elezione all’estero. E che elezione!
Eccoci arrivati a questo 8 novembre, sembrava quasi non arrivasse mai, perfino il telefono mi ricorda che oggi è election day. Il conto alla rovescia dura da mesi e mesi… la giornata sembra quasi surrealista, si avanza lentamente come se il verdetto finale fosse quello più spaventoso mai atteso. In modo fiero quelli che hanno già votato mostrano il piccolo adesivo I voted. Hanno fatto il loro dovere di cittadini, avremmo voluto farlo anche noi, ma per l’ennesima volta e l’ennesimo paese, siamo impotenti spettatori di un risultato che potrebbe cambiare le sorti di questo paese che per ora chiamiamo casa, e forse anche trascinarsi dietro le sorti del mondo intero.
La California è storicamente uno stato democratico, qui si sa con certezza chi vincerà, ma altrove? Gli americani hanno paura, paura di essere arrivati al punto di non dover votare per qualcuno ma di dover votare contro qualcuno. Questo il forte sentimento da un lato. Dall’altro c’è la fierezza di poter forse passare alla storia con il primo presidente americano donna. Benché questa campagna elettorale alla storia ci sia già passata, al di là dei costi assurdi, per i colpi bassi, le bestialità proferite, il darsi addosso. L’atmosfera è pesante, non lo era quattro anni fa quando attendevamo la conferma che Obama sarebbe stato presidente ancora per i successivi quattro anni. Quasi non mi ricordo delle elezioni di allora, indubbiamente c’era meno fibrillazione o forse meno paura. Direi che se ne parla di più, perché c’è materiale visto tutte le esternazioni che uno dei due candidati tira fuori un giorno sì ed uno no!
Sembra un giorno sospeso, quasi una parentesi nella vita normale, e questo la dice lunga su come gli americani sentano queste elezioni. Le televisioni sono accese nell’attesa che pian piano il futuro si sveli. I seggi chiudono lentamente in questo paese immenso in cui nulla è da dare per scontato tante sono le differenze. Piccoli party sono organizzati per condividere questi momenti e le prime sensazioni, per sostenersi, per abbracciarsi… Noi abbiamo birre in fresco e hamburger pronti per il bbq, quel lato americano che abbiamo sviluppato in questi anni e anche una bottiglia di champagne che chissà se stapperemo ad un certo punto…
Ci sveglieremo diversi domani mattina, l’era Obama avrà fatto la sua storia, quattro anni nuovi davanti a noi e speriamo veramente che non sia un risveglio da incubo…
God bless America e il mondo intero direbbero certi americani, e io con loro!
Giulietta, novembre 2016
Questo articolo è parte di un progetto che chiamiamo “Una finestra su…”. Scriviamo articoli brevi su un aspetto molto specifico del nostro paese d’accoglienza. Come se aprissimo la finestra di casa nostra e vi raccontassimo quello che vediamo. Saremmo felicissime di pubblicare anche quello che vedete voi. Scriveteci!
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