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Aleexpat esordisce su Expatclic con questo interessantissimo articolo sui suoi due parti in Olanda.

Sono Alessandra e l’Olanda è stato il mio primo paese d’espatrio.
Mi accorsi di essere incinta del mio primo figlio, Giugno 2001, dopo che il mio fidanzato si era trasferito da poco a lavorare a Schiedam, un paese alle porte di Rotterdam. Uhm… un incidente di percorso, del tutto inaspettato per entrambi. Ricordo ancora le nostre telefonate: Fabio, del tutto impreparato (come me del resto) non sapeva se ridere o piangere, così faceva tutte e due le cose insieme! E ora che si fa? Decidemmo di sposarci, io continuai il mio lavoro in Italia e poi pensai che la cosa migliore per entrambi fosse partorire in Olanda. D’accordo vivere gran parte della gravidanza separati, ma almeno il gran finale l’avremmo condiviso. Cosiì partii il primo giorno del mio congedo di maternità lavorativa. Schiedam mi accolse in modo freddo e uggioso, il tipico inverno olandese era alle porte. Non conoscevo anima viva. Il primo contatto fu con il medico di famiglia, che mi disse: “L’ultimo bambino che ho fatto nascere è stato più di venti anni fa.”. Ah! Iniziamo bene!

Apro una breve parentesi sul tanto discusso Sistema Sanitario Olandese.
Prima del 2006 il sistema sanitario si divideva in un servizio pubblico, garantito a categorie di reddito medio/basse, ed un sistema sanitario privato. Ora la situazione è diversa, tutti devono “acquistare” una assicurazione sanitaria di base presso una compagnia di assicurazione olandese. Il fatto che un espatriato vi debba aderire o meno dipende dal periodo di permanenza, quindi è sempre meglio informarsi, prima di un eventuale espatrio, presso la propria Asl o contattando direttamente il ministero della sanità olandese (www.minvws.nl, il sito è anche in inglese).
Al tempo mio marito ed io avevamo aderito ad una assicurazione che ci garantiva una serie di prestazioni tra cui anche il parto. Questo è un primo passo. Quindi, una volta assicurati, si deve trovare un “medico di famiglia”, cosa non semplice perchè sono tutti abbastanza oberati di persone. Il medico di famiglia è molto più del nostro corrispondente medico della mutua. Fa un po’ di tutto: visita, prescrive medicinali, ma si occupa anche di screening come il pap test, controlli al seno, pulizia delle orecchie, medicazioni, è pediatra e geriatra…. e quando proprio la situazione è grave o non sa che pesci pigliare, invia il paziente dallo specialista, generalmente in un ambulatorio ospedaliero.

La gravidanza è considerata la situazione più normale del mondo e come tale non è seguita dal medico di famiglia, ma dalla verloskunde, ossia l’ostetrica, o meglio un pool di ostetriche, che operano in un centro specializzato. Di solito il medico vi indica il centro più vicino a casa.
Non appena si scopre di essere incinta e lo si vorrebbe urlare al mondo e si hanno mille preoccupazioni al riguardo… calma, molta calma: prima che qualcuno ti visiti è necessario aspettare i canonici tre mesi.

Sorrido ancora quando ripenso al primo appuntamento con l’ostetrica: provenivo da Milano, ero all’ottavo mese, stavo benissimo, avevo il mio bel plico di esami ed ecografie fatte in Italia e le medicine (acido folico e ferro); l’ostetrica mi guardò con preoccupazione chiedendomi come mai tutti quegli esami, soffrivo forse di crisi epilettiche? ero un’alcolizzata? facevo uso di droghe? Risposi che andava tutto bene, solo un po’ di anemia, ed era la prassi in Italia fare un po’ di esami (un po’!). Il suo stupore non scomparve e mi disse di sdraiarmi sul lettino per la visita: mi provò la pressione e poi iniziò a toccarmi la pancia con le mani dicendomi esattamente quanto pesava e avrebbe pesato il bambino alla nascita (azzeccandoci) e come era posizionato. Poi prendendo un banalissimo strumento, che avevo quasi scambiato per un vecchio giocattolo, mi fece sentire il battito del cuore. Quindi si sedette e ci fece una lectio brevis sulla tradizione olandese in fatto di nascite e la filosofia che stava dietro la figura dell’ostetrica.

Il parto è una fase naturale della vita di una donna e come tale, per generazioni, si è svolto in casa. Si pensa che la mamma nell’ambiente casalingo si senta più tranquilla e protetta, rispetto ad una fredda camera di ospedale. Inoltre il parto è un evento corale durante il quale tutta la famiglia partecipa, quindi oltre alla mamma, si coinvolgono marito ed eventuali altri figli, anche se piccoli. Diventare ostetrica significa avere una vocazione, non solo di tipo medico, ma anche psicologico e sociale. Mi incantò… ma non mi convinse fino in fondo. La mia assicurazione medica mi aveva già inviato una scatola con cerate per il letto, molletta per cordone ombelicale, pannolini post-partum, disinfettante e altro, nel caso avessi optato per il parto a casa. In più mi veniva dato un bonus di circa 1500 euro. Allettante, ma no grazie. Troppo lontano dalla mia cultura e poi il primo figlio, meglio l’ospedale, mi sono detta. Ed in fondo, oggigiorno, anche le olandesi, forse un po’ impigrite, forse un po’ meno sognatrici, sempre in maggior numero preferiscono la stanzetta ospedaliera alla loro camera da letto.

Intanto in me cresceva l’attesa. Non sapevo cosa mi aspettasse. Non avevo fatto alcun corso preparto, erano tutti in olandese. Mi ero portata dall’Italia qualche libro e facevo in casa un po’ di ginnastica. Solo una settimana prima della scadenza ci invitarono a visitare l’ospedale in cui avrei partorito, Vlaardingen, nel paese vicino. Poi una sera ecco le famose doglie. Partirono piano e poi sempre un po’ più forti. Svegliai Fabio leggendo sulla sua faccia un “proprio ora che dormivo così bene!”. Io andavo avanti ed indietro dal bagno alla sala mentre Fabio, libro sul parto alla mano, spuntava man mano tutti i sintomi delle doglie, un po’ per rendersi utile, un po’ per smorzare la tensione. Poi si decise a chiamare l’ostetrica che arrivata a casa nel cuore della notte, mi disse che ero dilatata ma non di molto e che la storia era ancora lunga. Poi rivolgendosi a mio marito gli disse di portarmi in ospedale quando vedeva che non connettevo più!
partorire in olandaAndai in ospedale solo al mattino. Avevo una sala travaglio/parto solo per me ed intorno tutto era pronto. Ritrovai l’ostetrica che avevo incontrato la prima volta al centro, insieme ad una apprendista. Mi visitò la prima e feci da scuola alla seconda. Ero distrutta, il travaglio andava avanti da quasi quindici ore e chiesi un analgesico. Mi guardarono come se avessi chiesto stupefacenti: meglio di no, il bambino ne può risentire e poi il tuo corpo risponde già naturalmente al dolore…. non ebbi la forza di rispondere in inglese, e in italiano mi venne solo da ripetere un “basta” (e meno male….)! E mentre ero lì che mi contorcevo dal dolore, le due mevrouwen e mio marito sorseggiavano un caffè e parlavano del più e del meno. “Strano” dice l’ostetrica-zen, “le donne più intelligenti e colte” (parlavano di me??!!) “sono quelle che fanno più fatica a partorire perchè usano la testa per controllare il corpo, mentre in questi casi il corpo è molto più capace di noi…..”. Ok, aveva colto nel segno, sono una una persona un po’ rigida (vorrei vedere te al mio posto!) ed ero esausta, e va bene, smisi di pensarci e ………….. Leonardo nacque dopo poco. Erano le 14.30 del 25 Gennaio 2002.

Ero la donna più felice del mondo, mi sentii alleggerita e rinata. Ebbi una crisi di adrenalina, mi aiutarono a farmi una doccia e mi chiesero se volevo tornare a casa subito o rimanere a dormire. Queste sì, sono le vere dimissioni precoci! Incominciò il mio deliro personale. Mi sentivo bene, alle sette di sera ero già a casa, ebbi la forza di preparare la cena e fare una lavatrice (non scherzo!). Il mattimo dopo capii di essere entrata in un grande buco nero da cui mi risvegliai sei mesi dopo. Sottovalutai del tutto la fatica dell’essere madre e un po’ pagai. No, nessuna depressione post partum, solo una grande stanchezza, fisica (dopo la gravidanza persi parecchi chili e continuai ad allattare) e mentale (ci volle tempo perchè Fabio ed io raggiungessimo un certo equilibrio) e che avrei potuto evitare se avessi chiesto aiuto e subito. Ma sono gli errori che si dimenticano non appena si vede gironzolare per casa una bellissima creatura.

Tanto che poi ci si prende gusto. E due anni dopo eccomi di nuovo in attesa.
Ogni gravidanza è una storia a sè e la mia seconda, sempre a Schiedam, è stata costellata di errori e imprevisti. Pensavo di conocere già tutto, memore della prima esperienza, ma così non è stato.
Trascorsi i canonici tre mesi, fui mandata dal medico di famiglia al solito centro che già conoscevo. Ecografie previste in tutta la gravidanza: due. Esame delle urine solo all’inizio, come pure gli esami del sangue per il controllo della emogoblina e glucosio. Questi erano e sono i controlli essenziali. Avevo 35 anni e mi chiesi se fosse il caso di maggiori indagini. L’ostetrica, alla mia richiesta, mi guardò (nuovamente!) stupita e poi vista la mia insistenza mi fece fare il Tri-Test, per verificare eventuali anomalie cromosomiche. Il Venerdì di Pasqua, mentre stavo accompagnando mio marito all’aereoporto in partenza per l’Italia, mi telefonò l’ospedale dicendomi che la percentuale di rischio prodotta dal test era altissima, mi avevano già fissato l’amniocentesi per il martedì mattina, dopo la pasquetta. Vissi in solitudine giorni di vera passione, senza segno di resurrezione. Solo in seguito, parlando con medici e con amiche in Italia, mi fu detto che il Tri-Test, data la mia età, fornisce una serie di risultati “falso-positivi” e quindi generalmente non lo si consiglia! Insomma, alla fine l’amniocentesi ci comunicò che il feto non aveva alcuna anomalia genetica e che era un maschietto. Tirai un sospiro di sollievo, ma giusto uno.

Dopo un mese mio marito ricevette una promozione che in concreto significava una nuova destinazione, Sharjah. E dov’è? Atlante alla mano realizzai che era un emirato arabo, vicino ad un altro più noto, Dubai. Noto o no, le cose da fare erano tante: vendere la casa, chiudere tutto, organizzare il trasloco ed ero al sesto mese di gravidanza, era il mese di luglio ed io avrei partorito a fine settembre 2004. Si trattava insomma di un nuovo espatrio. Non me la sentii di affrontare tutto nell’immediato e ci organizzammo in modo che io continuassi a vivere a Schiedam fino alla fine dell’anno. Avrei con calma venduto la casa (ciò che avvenne in modo veloce grazie ad un vivace mercato immobiliare), comunicato le chiusure ai vari enti, fatto le pratiche presso l’ambasciata degli Emirati a Den Haag, e partorito dove mi sentivo più sicura e conoscevo le procedure. Sentii mio marito preso dal nuovo incarico, lavorava sette giorni su sette e viste le poche ferie e l’incapacità di decidere a priori il giorno esatto del parto, decidemmo che l’avrei chiamato non appena entrata in ospedale. Sarebbe stato comunque tardi, ma si sarebbe goduto di più il bambino nei giorni a venire. Triste scelta per entrambi ed ancora oggi ci interroghiamo se sia stata davvero quella giusta e, ahimè, pensiamo di no.

I mesi senza Fabio furono pesanti. Leonardo pativa molto l’assenza del padre a cui è tuttora molto legato e riversava su di me tutta la sua rabbia. Io cercavo di fare del mio meglio tra un ufficio e uno scatolone da chiudere. Duro impacchettare la propria vita, non ci si fa mai il callo. Fisicamente non ero al top: pregavo ogni notte che il bimbo si decidesse a nascere, anche prima del termine, mi sentivo una balena che camminava. Piedi e mani gonfie e quel prurito fastidioso che non mi dava tregua. Tutto normale dicevano le ostetriche. Si sbagliavano e di grosso. Stavano sottovalutando una pre-eclampsia del terzo trimestre riconoscibile da un semplice esame del sangue e delle urine. Non si stavano nemmeno accorgendo che la mia pressione, sempre stata bassissima, si stava alzando notevolmente, ma così facendo (che sfortuna!) raggiungeva livelli di normalità. Purtroppo le dolci verloskunden erano più preoccupate del mio stato emotivo (sarei stata da sola al parto?) che di quello clinico. Ed io mi fidai delle loro parole e non indagai più di tanto, presa dalle altre mille cose per la testa.

Mia madre venne in Olanda un paio di settimane prima del parto per prendersi cura di Leonardo. La mia amica Bianca (nome ricorrente in questa sezione di Expatclic!) mi avrebbe accompagnato in ospedale e sarebbe stata al mio fianco. Un giorno prima del termine, dopo colazione, ecco i primi dolorini. Dopo un’oretta realizzai che erano le contrazioni buone, partite subito in quarta e così chiamai l’ospedale, sfoggiando tutto il mio olandese imparato in un anno di corso. Stetti al telefono per dieci minuti buoni dopo che avvisai di avere sterke weeën om 5 minuten, forti contrazioni ogni cinque minuti, e che ik wens met verloskunde praten, volevo parlare con l’ostetrica di turno. Mi passarono mezzo ospedale capendo che volevo un appuntamento con un ginecologo! Al diavolo il corso! Alzai la voce e tra un ansimo e l’altro dissi, Ik ben naar en bevalling! Forse capirono solo l’ultima parte della frase (bevalling = parto), ma fu sufficiente. Parlai con l’ostetrica che mi disse di precipitarmi. Quindi chiamai l’angelo custode, Bianca, e con il taxi, che nel tragitto se la prese un po’ comoda, finalmente arrivammo a destinazione.
partorire in olandaLa nascita di Francesco fu rapida e dolorosissima. Avere Bianca accanto mi fece sentire coccolata e sicura e quando le fecero tagliare il cordone ombelicale mi accorsi che anche per lei era stata una bella avventura. Mi chiesero se intendevo tornare a casa nel tardo pomeriggio (le famose dimissioni precoci, che avvengono nell’arco delle 24 ore dal parto), ma dissi che aspettavo mio marito l’indomani…….. e mi salvai la vita. Dopo qualche ora mia madre diede il cambio a Bianca ed incominciai a star male. La mia pressione salì all’inverosimile, il mal di testa mi permetteva a mala pena di connettere, la nausea faceva il resto. Vidi un via vai di infermieri e medici, tutti che si interrogavano su cosa stesse succedendo. Con quel poco che riuscivo a parlare, cercai di tranquillizzare mia madre che non sapendo una parola di olandese nè di inglese, aveva un viso terrorizzato. Mi accorsi che qualcosa di grave stava accadendo quando un medico mi disse che la situazione era seria e si sarebbe portato via Francesco al reparto neonatale…  quindi lessi Intensieve Care Afdeling (reparto di terapia intensiva)… uhm, la cosa non si metteva bene. Rimasi in ospedale tre giorni, la mia ripresa fu lenta. Ma cosa davvero mi era successo? Inizialmente mi parlarono appunto di eclampsia (l’ipertensione di cui avevo sofferto e non diagnosticata prima), tutto normale, può succedere. Ma non era tutta la verità. Qualche settimana più tardi ebbi una visita con il ginecologo. Con un cinismo da Doctor House (ma senza nè il suo fascino nè il suo carisma!!!) mi disse che avevo avuto la HELLP Syndrom. Mi disse che HELLP stava per Hemolysis, Elevated Liver, Low Platelets, e di andare a vedere su internet cosa significava. Ah! Piccolo particolare, visto che avevo rischiato la vita, mi consigliava vivamente di sterilizzarmi, giusto per non incorrere nuovamente nello stesso problema con una nuova gravidanza. Uscii da quella stanza come se un treno mi fosse venuto addosso. Solo in seguito lo shock mi si trasformò in rabbia. Ma che significa? Mi dice che ci stavo rimettendo le penne e mi scrive su un foglio il motivo, e poi grazie e arrivederci!!!

Questo fu un punto a sfavore della Sanità Olandese che pareggiò solo per il fatto di aver capito subito di cosa si trattava. La Hellp Syndrome è una variante grave della eclampsia, o nel mio caso della pre-eclampsia, e produce una grave insufficienza delle piastrine legata ad un malfunzionamento di tutti gli organi, reni e fegato in particolare. La pressione è altissima e quindi è alta la possibilità di emorragie cerebrali. Il punto fondamentale è riconoscerla e diagnosticarla in tempo. Le ragioni per cui accade sono tuttora sconosciute. Tutto questo mi fu spiegato successivamente da un ginecologo ed un ematologo italiani.
Spero di non aver creato ansie eccessive a future mamme. Sapere e prevenire è sempre meglio che intervenire dopo.

Io non racconto molto volentieri questa mia storia, per molto tempo ed ancora oggi, penso di avere molte colpe al riguardo e mi sento stupida a non aver capito in anticipo i segnali evidenti del mio corpo (i pruriti e la mani gonfie, la pressione che si alzava erano i segnali chiave). Se solo avessi insistito con le ostetriche, se solo avessi chiesto di più, se solo…
Ma penso anche che la mia seconda gravidanza non si sia svolta nelle migliori situazioni di serenità e riposo e sicuramente tutto ciò ha influito. Certo è che di help, scritto con una o due “elle”, ne avevo un gran bisogno! Per questa mia esperienza non mi sento però di bollare negativamente tutto un sistema sanitario. Nella vita esiste sempre a mio parere una parte di imponderabilità ed un’altra di fortuna. Io ho avuto la prima e la seconda.

Ma ora tutto è alle spalle. Pochi mesi dopo, con Leonardo e Francesco e l’Olanda nel cuore stavo già atterrando a Dubai.

Alessandra
Perth, Australia
Settembre 2007

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2 Commenti
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Nene
Nene
4 anni fa

Quindi nessuna anestesia? ma invece è possibile chiedere di non allattare? O ti obbligano? Grazie