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Emanuela (perlina sui forum) vive, o meglio viveva, tra la Libia e l’Italia. Con nostro grande sollievo è riuscita a rientrare in Italia prima che scoppiasse l’inferno di violenza e confusione che ben conosciamo, ma il trauma, la malinconia e lo stupore per quanto è accaduto al suo paese d’accoglienza sono pur sempre forti e profondi. In questo articolo Emanuela li condivide con noi. La ringraziamo di cuore.

 

Durante i giorni delle rivoluzioni di Tunisia ed Egitto si diceva che per effetto domino, sarebbe presto toccato alla Libia insorgere. Io e gli altri conoscenti che abitavano a Tripoli non negavamo la logica ma eravamo un po’ perplessi circa le probabilità che questo avvenisse concretamente e in tempi  prossimi: la realtà che vedevamo quotidianamente non era di povertà, anzi, pane, varietà di cibo, bar sempre frequentati, tecnologia e grandi auto erano diffusissimi.

Eppure…

libiaDa un paio di settimane circolavano notizie che il  17 febbraio – “Giorno della collera”- si sarebbero sollevate delle sommosse e puntualmente questo avviene, ma all’est del Paese, ancora l’eco a Tripoli sembrava lontano… Comunque, un po’ preoccupata, mercoledì 16 notte comincio a navigare sul web e cercare qualche segno… così su Twitter (mai usato fino allora e ancora oggi un po’ ostico) trovo un tam tam di messaggi che invitavano a muoversi.

Venerdì a Tripoli appariva ancora tutto calmo; nel frattempo le persone a me vicine cominciano a procurarsi un telefono satellitare, alcune mogli e figli partono, da giovedì le scuole sono chiuse: siamo in allerta, ma non in emergenza. Proprio la settimana prima stavamo organizzando, con la mia amica libica, di vederci per fare un po’ di sport insieme e andare a bere qualcosa in qualche gelateria del centro…

Arriva sabato. Internet è switch off, nulla mi arriva più dalla Libia.  La conferma dopo qualche giorno la trovo anche su Google Transparency Report, https://transparencyreport.google.com: le notti del 19 e 20 febbraio vengono oscurate anche sulla rete. Ma dopo una ripresa delle connessioni nei giorni immediatamente seguenti, piomberemo in una fase ancora peggiore, dal  pomeriggio del 3 marzo Internet è chiuso.

Insomma, anche Tripoli diventa centro di scontri e in modo repentino. Nessuno pensava a un precipitare così rapido dei fatti. Nei piccoli spazi di comunicazione che riesco ad avere via sms e Skype vengo a sapere che sabato notte vicino a casa mia ci sono state sparatorie, la stazione di polizia sulla Gargaresh (il viale commerciale a pochi passi da casa)  viene data alle fiamme.

libia perlinaLe nostre case

Tra sabato e lunedì tutti i dipendenti e famiglia di aziende italiane se ne vanno lasciando le case così come si trovano, chi può le affida ai guardiani, la mia no, è stata lasciata con le luci accese, il frigorifero con la spesa appena fatta e la televisione a tutto volume, magari i saccheggiatori non ne approfitteranno…

Chi stava nei compound non risulta aver avuto una protezione maggiore, alcune abitazioni sono state derubate proprio dai custodi stessi, ma i casi sono vari e ognuno ha avuto la sua.

Mi sono tornati alla mente gli Italiani cacciati nel ’70. In realtà non li avevo mai ignorati nei miei  pensieri libici, bastava guardarsi in giro: dagli edifici pubblici e privati, ai viali alberati verso le città di periferia (penso alla strada verso sud per Gharyan), alla cucina entrata nelle abitudini libiche e le parole storpiate sul menù dei ristoranti, il cappuccino buonissimo, gli uliveti ordinati che ancora descrivono molti dei paesaggi costieri e dell’entroterra della Tripolitania, nonché la lingua che non solo gli anziani parlano.  Certo che il distacco in quella occasione fu veramente tragico soprattutto per l’accoglienza in patria, ma per ciò che si è lasciato laggiù sento molta affinità.

Tutti hanno lasciato la propria casa piena di una notevole quantità di cose personali, di quegli oggetti trasportati ad ogni viaggio in pesantissimi valigioni con la speranza di non superare il limite di peso consentito dalla compagnia aerea, il tutto per rendere confortevole la vita quotidiana; oppure  attrezzature, arredi e biancheria acquistati in loco dopo una lunga ricerca, perché se è vero che a Tripoli si trova quasi tutto, quel tutto non è disponibile in ogni supermercato ma bisogna cercarselo in lungo e in largo per le botteghe e i souk della città, diventando quella ricerca un’occupazione che ti riempie le giornate, o le serate…

Tra le cose abbandonate di fretta al meglio ai vicini o al guardiano ci sono anche esseri viventi: qualcuno ha lasciato laggiù il proprio cagnolino perché all’aeroporto in questi giorni di follia, non hanno accettato l’animale senza il trasportino. E vallo a trovare il trasportino coi mercenari armatissimi in strada!

Il lavoro

libia perlina leptisOltre le case anche gli uffici e le aziende sono stati abbandonati precipitosamente. E’ stato difficilissimo in questi anni rendere i luoghi di lavoro belli ed efficienti a livello dei nostri standard, per ottenere ciò si è dovuto lavorare ore e giorni in più, venerdì e domenica comprese, dato che le nostre festività non coincidono con quelle islamiche. Si è sacrificata anche la famiglia, perché è soprattutto verso sera che la città si anima e le relazioni umane e commerciali si fanno più vivaci, soprattutto nel mese del Ramadan. L’orgoglio e la soddisfazione di avere infine luoghi di lavoro bellissimi e funzionali son stati però doppi. E quindi doppio anche il dispiacere di abbandonare il luogo a cui si è dedicato tanto tempo, idee, fatica e passione.

Tutte le famiglie che precipitosamente hanno lasciato il Paese adesso hanno diverse difficoltà in patria, ognuno aveva preso degli impegni, aveva dei progetti e delle vie da perseguire e continuare, c’era uno stand-by della vita italiana che attendeva di essere interrotto sì prima o poi, ma gradualmente e secondo dei programmi.  Così ora ci si deve resettare e ricominciare.

L’aeroporto

Mi è stata risparmiata l’ansia di riuscire ad imbarcarmi su un aereo in questo caos, ma chi ha dovuto tornare ha faticato non poco ad accedere all’ingresso stesso dell’aeroporto di Tripoli, ormai verso il 20 febbraio era già un delirio, si veniva respinti prima ancora delle porte esterne, poteva entrare solo chi aveva bambini o mezzi di persuasione di vario tipo, non per forza monetario.  Impossibile arrivare al check-in, questo è stato fatto ai piedi dell’aeromobile.  Pure il percorso dalla città allo scalo, sono stati 40 km di apprensione e posti di blocco.

Le persone

Come ha già detto qualcuno prima di me, questi avvenimenti hanno accorciato le distanze tra noi espatriati e le persone che vivono e lavorano laggiù.  Senza saperlo, più o meno rapidamente si diventa parte di questa realtà. Questa volta è una guerra che ti riguarda personalmente e pensi a come stanno, dove sono le persone che conosci, come vivono la quotidianità?  Ogni considerazione diventa subito obsoleta perché ogni giorno la situazione è in tale divenire che non puoi ipotizzare nulla, ci sono dei giorni calmi in cui si può uscire a fare la spesa e ci sono giorni  più pericolosi, ma dipende anche in che zona vivi…  Mi vengono alla mente anche le persone tanto gentili che conoscevo solo di vista, si pensa anche a loro e spero non siano stati  coinvolti in drammi.

Tutti i giorni mi collego a siti libici (o più esattamente di libici all’estero) per conoscere la situazione da “dentro”: è abbastanza difficoltoso leggerli a colpo d’occhio perché sono scritti in arabo (ma è anche uno stimolo ad imparare e incredibilmente ora leggo e capisco qualche parola…), ma tramite il traduttore istantaneo, i video e le immagini, queste pagine raccontano le cronache di ogni giornata senza pietà e così penso: ma se gli ospedali erano arretrati  nel know-how in tempo di pace (non lo sono le strutture invece), tanto che i libici se potevano si curavano in Tunisia, come fanno ora senza mezzi a salvare vite?

Luoghi e nostalgia

libia perlina2I nomi dei luoghi della mia vita quotidiana ora diventano nomi di località nei notiziari televisivi e nelle cronache di battaglie. Tralasciando l’est che non ho mai vissuto personalmente e che rappresenta lo scenario degli scontri più violenti; penso a Janzour, sobborgo di abitazioni per stranieri che ho abitato un anno ma non mi piaceva perché lontano dalla vivacità del centro cittadino; penso a Tajoura, poco a est di Tripoli e quartiere popolare ora nell’occhio del ciclone, sotto frequenti bombardamenti e raffiche dei cecchini, qui lungo la strada costiera cucinavano il pesce più buono del Mediterraneo, parola di pescatore  napoletano… Ancora, Sabratha e Al Khums, siti archeologici straordinari, Zwara un mare stupendo, El Zawia e altri paesi dove magari semplicemente ci fermavamo ad acquistare pane straordinario e bibite.

Ora riconosco in tv il capannone della dogana tunisina sotto cui si passavano noiosissime ore prima di andare a Djerba in vacanza. Mi manca persino l’impianto di Mellitah con le lingue di fuoco che escono dagli alti camini, ma affascinante di notte con un cd degli Abba in sottofondo.

All’interno della capitale cerco tracce della mia vita quotidiana e vedo in tv la piazza Verde – oggi teatro di scontri – col giardino dove fumavamo la shisha e il fast food egiziano Momen sotto i portici. In tutti i video e i collegamenti in diretta, attentamente scruto dettagli banalissimi come tratti di strada familiari  oppure guardo  i collegamenti con  l’inviato del Tg1 che ha alle sue spalle un eucalipto le cui foglie fremono accarezzate dal vento serale tripolino…

 

Emanuela dall’Italia
Marzo 2011
Foto principale: Z-el-Baz su Unsplash
Le altre: ©Emanuela

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