Home > Vita d'Expat > Trasferirsi > Dire addio in espatrio, una riflessione

Questa mattina abbiamo avuto un caffè a tema con alcune donne della comunità di Expatclic. L’idea era di parlare delle differenze tra l’esperienza di espatrio mobile e quella di un trasferimento a lungo termine. Tra le altre, abbiamo discusso del dire addio in espatrio, un punto ricco di esperienze vissute e riflessioni. Mi è venuta voglia di approfondire insieme a voi.

Tra le cose che avevo considerato e che mi sembravano interessanti da dibattere durante il caffè, la questione del dire addio in espatrio era una delle prime. Infatti, se c’è una cosa con la quale noi espatriate mobili, come mi piace definirmi, ci confrontiamo da subito, è che dobbiamo prepararci a dire una quantità di addii durante la nostra vita raminga, che è nettamente superiore alla media degli addii che toccano a una persona stabile. Quantitativamente, ma anche qualitativamente, nel senso che, come cercherò di analizzare oltre, i commiati sono di diverso tipo e intensità.

Addio alle amicizie

C’è il primo, che è il più ovvio, che riguarda le persone che incrociamo sui nostri brevi cammini nei paesi in cui viviamo. I nostri amici e amiche, colleghi, negozianti, quel mosaico umano che fa da sfondo alle nostre giornate in un paese straniero. A differenza dell’espatriata a tempo indeterminato, che quando si trasferisce in un paese senza biglietto di ritorno non pensa che un giorno dovrà lasciare tutte le persone con le quali si costruisce pazientemente un rapporto, chi ha una scadenza nel soggiorno vive con quell’idea costantemente nel retro della mente. Anzi, spesso calibra sentimenti e coinvolgimento proprio tenendo in conto il fatto che la relazione, quantomeno quella fisica, che include la presenza costante e condivisa, prima o poi cesserà, e per sempre.

La nostra festa d’addio a Lima, Perù, e il regalo d’addio degli amici – Foto ©LucaBonacini

 

Sì, perché per quanto si dica e si ripeta con malcelato sollievo che adesso con internet è tutto più facile e dire addio in espatrio ha un altro sapore, sappiamo che tenersi in contatto con le persone non equivale alla ricchezza e alla profondità che si prova quando della vita di quelle persone si è parte attiva e costante.

Certo, ci incontreremo ancora, ci scriveremo mail e ci chiameremo, se siamo fortunate riusciremo a strappare anche qualche giorno di fila insieme da qualche parte, ma la complicità del vivere nello stesso luogo finisce nel momento in cui chiudiamo le valigie a fine missione e risaliamo sull’aereo verso altri lidi.

Addio all’ambiente

Nel mio negozio preferito della città vecchio di Gerusalemme

Le esperienze in espatrio sono tantissime e variegate, e i sentimenti che le colorano scaturiscono da una combinazione di fattori personali e condizioni locali. Ci sono paesi a noi particolarmente congeniali. Altri che offrono condizioni che possono perfette per il momento che stiamo vivendo. Magari siamo giovani mamme e ci capita di vivere in un paese fantastico per i servizi all’infanzia; oppure nel nostro nuovo paese d’accoglienza troviamo le condizioni perfette per svilupparci a livello professionale. In ogni caso, anche in quello meno fortunato, costruiamo una routine che si basa su quanto ci offre l’ambiente.

Chiudere con quel paese significa dire addio anche a quella routine. Niente più cibo delizioso, partite a Burraco con la comunità di appassionati, escursioni in campagna, massaggi a basso costo, mostre in spettacolari musei o andare a scuola in bicicletta. Tutte le cose che abbiamo messo insieme – con fatica e altrettanta adrenalina – per ricamare la nostra routine quotidiana, nel giro di un decollo appartengono al passato, per sempre. Forse è difficile mettere sullo stesso piano l’addio a una persona con quello all’ambiente, ma nella mia esperienza anche congedarsi da abitudini e paesaggi che si amano, e nei quali ci si trova bene, può essere devastante.

Addio all’identità

Chiudere con un paese significa anche chiudere con quella parte della nostra identità che su di esso si è plasmata e che esiste in relazione ad esso. Ogni espatriata mette in gioco tanto di sé quando arriva in un nuovo paese. Emotivamente, psicologicamente, ma anche fisicamente perché, soprattutto se ci si trasferisce in paesi con climi e condizioni di vita drasticamente diverse da quelle a cui siamo abituate, anche il nostro corpo deve adattarsi e trovare il suo equilibrio.

Nei primi tempi funzioniamo in costante “mode” scoperta: con le antenne ritte, il cervello che assorbe ogni minimo dettaglio nuovo, e la volontà di mischiare tutti gli ingredienti per arrivare in tempi brevi a funzionare efficacemente nel nostro nuovo contesto, e poter così costruire quelle reti affettive, sociali e professionali necessarie alla nostra soddisfazione. La nostra identità è costantemente stimolata, punzecchiata, indotta ad integrare nuovi elementi che restano ben vivi e attivi finchè esistiamo con quel determinato paese sullo sfondo, ma che non trovano riflesso o possibilità di ossigenarsi quando il contesto intorno a noi cambia radicalmente.

Giusto per farvi il primo esempio che mi viene in mente: il ballo, finchè ho vissuto in America Latina, è stato parte cospicua della mia identità. Ballavo sempre, appena potevo, uscivo a ballare con le amiche, andavo regolarmente a lezione di salsa, e ascoltavo solo musica latina. Arrivata a Gerusalemme, tutto questo non è più esistito. Non c’era proprio il contesto perché questa parte della mia identità emergesse. Ho dovuto dirle addio. E quand’anche ho potuto farla riemergere, non era più la stessa, perché alcune sfaccettature delle nostre identità si alimentano solo in relazione al contesto che le ha create.

Io dico sempre che la vita delle espatriate mobili è come un mobile a cassetti. Ogni cassetto corrisponde a un paese, e nel momento in cui lo chiudiamo, ne conserviamo sicuramente il contenuto, ma resta pur sempre un cassetto chiuso. E così, man mano che gli anni passano, impariamo a collegare grandi eventi della vita ai vari cassetti che l’hanno composta.

Credo che questa sia una delle differenze principali tra l’espatrio mobile e l’espatrio stabile, e merita di essere approfondita. Ci vediamo con le prossime riflessioni 😊

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Ginevra, Svizzera
Gennaio 2021
Foto di testata: Matthew Henry su Unsplash

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Daniela
Daniela
3 anni fa

Ho iniziato a leggere l’articolo, in auto parcheggiata in attesa di un un’appuntamento. E mi sono ritrovata ad aprire e chiudere tutti i cassetti delle “espatriate” passate. Emozioni e fatiche, a volte consapevolezza di non voler ricominciare a conoscere persone che dopo 3 o 4 anni devi lasciare e non risentire. Per approdare di nuovo da sconosciuto nella tua città dove la tua identità deve essere rimasta chiusa in qualche scatolone.
Vedremo al prossimo giro x il mondo.