Home > Europa > Regno Unito > Fatima, una donna meno fortunata di me

Siamo tutte emozionate in equipe perchè oggi è nato Kian, il secondo figlio della nostra Deborahexpat. Prima di entrare in sala parto, Deborah ha scritto questo toccante articolo. Grazie Deborah, e auguri per questa nuova, splendida fase di vita.

 

Sono in ospedale per la mia seconda gravidanza. Mi hanno ricoverata in anticipo sul parto perché il mio baby boy non vuole mettersi in posizione verticale. Potrebbe essere rischioso per lui, se dovessi andare in travaglio con lui messo in orizzontale. E’ quindi ormai una settimana e mezzo che sono all’ospedale.

All’inizio ero in una camera singola, che di solito è riservata alle neo-mamme. Ma appena si è liberato un letto in una camera comune, mi hanno spostata. Ci sono quattro letti qui. Due sono occupati da ragazze che dovranno fare il cesareo il giorno seguente. E uno è libero. Viene occupato nella notte da una ragazza che non vedo fino al mattino seguente.

Dopo colazione sento dirla stanza d'ospedale di fatimae ad una delle infermiere “Fatima, svegliati…Fatima, Fatima” e poi scatta l’allarme, tutte le infermiere e ostetriche di turno corrono qua. Mi tremano le gambe e decido di uscire per il bene mio e del mio baby.

I letti sono separati da tende per avere un po’ di privacy, ma le tende non riescono a schermare le voci. Poco dopo, sento dire che la ragazza sta bene. I suoi parametri medici sono a posto. Anche il baby sta bene. Ma lei non apre gli occhi, non risponde. E’ come in stato catatonico.

Rientro in camera e dico all’infermiera che avevo sentito la ragazza lamentarsi. E che se l’avessi sentita ancora, sarei andata a chiamarla, prima di arrivare ad avere un altro episodio così.

Appena la ragazza si riprende, mi presento. Siamo solo noi due in stanza. Mi dice che lei è Fatima, viene dal Sudan, parla arabo, non parla molto l’inglese e non lo capisce nemmeno molto. Mi dice che tutta la sua famiglia è in Sudan e che aspetta un maschietto come me. E’ il suo primo figlio. Mentre chiacchieriamo dice che ha mal di testa e cade di nuovo in questo strano stato. Occhi chiusi, ma condizioni vitali stazionarie.

Per ordine dei superiori, decidono di non allarmarsi come era successo la prima volta, ma di fare tutte le manovre con calma, per non spaventare le altre degenti in reparto. Mi sembra un’ottima decisione. E anche io non sono più spaventata quando lei ha questi episodi…il che capita almeno due volte al giorno.

Capisco come si sente Fatima. Per me è stato lo stesso appena sono approdata qua in Inghilterra.

Mi fa tanta tenerezza e capisco che non ha nessuno qui. Quindi cerco di aiutarla come meglio posso. Non ha nulla con sè, se non la tunica con cui è entrata in ospedale. Ogni giorno le dò un po’ di biscotti e della frutta che mi porta la mia famiglia. E l’aiuto a compilare la scheda per il pranzo. Lei si affida totalmente a me. Non so quali siano i suoi gusti. Ma pare che le piaccia quello che scelgo per lei. So solo che non le piace il latte freddo, le piace caldo. E quindi glielo scaldo nel microonde del cucinotto.

Tutto lo staff è fantastico con lei, ma soprattutto i primi giorni, mi sembra che facciano fatica ad approcciarla. Hanno un tono di voce gentilissimo, ma non usano parole semplici o sinonimi. Capisco come si sente Fatima. Per me è stato lo stesso appena sono approdata qua in Inghilterra. E quindi almeno per il cibo, l’aiuto: la parola “toast” non la capisce, ma capisce “bread”; non capisce “tuna”, ma capisce “fish”…e via dicendo.

Un’ostetrica una sera ha avuto un’idea geniale. Usare google translator per comunicare con lei.

Una mattina, mentre è in questo stato assente, una signora dell’ufficio della polizia viene a parlarle, cerca di farle delle domande: “Stringi la mano una volta per un sì, due per un no….ti senti sicura qua in ospedale?”. Caspita, la situazione quindi è più seria di quello che pensassi. Ovviamente lei non risponde.

Nei giorni seguenti, grazie a traduttori e al dottore che parla arabo si delinea meglio la situazione. Un pomeriggio sono venuti in camera a parlare e non ho potuto fare a meno di sentire. Ero solo io in camera, non mi hanno fatta uscire, forse perché ormai sto aiutando Fatima da giorni e seguendo la sua storia…non lo so. Ma quello che sento mi spezza il cuore: Fatima è vittima di abusi in famiglia. E’ da un po’ di tempo che vive con due amiche. Adesso le chiedono se vuole andare nel centro rifugiati. Le dicono che le sue condizioni mediche sono stabili e che può andarsene, ma loro prima devono accertarsi che vada in un posto sicuro per lei.

vestitini per fatimaGli episodi continuano. E mi viene da pensare che questo suo comportamento abbia più una componente psicologica che fisica. Oggi sono venute le sue due amiche a salutarla e non è stata male per tutto il giorno. Fino a stasera, che ha avuto uno di questi episodi mentre era in bagno.

Sono già due giorni che mi dice “oggi vado a casa”…e invece no. E’ ancora qua a condividere la camera con me.

Domani mi spostano di reparto. Credo che non vedrò più questa dolcissima ragazza indifesa di nome Fatima. Al mercatino di beneficienza che c’è al piano terra ho comprato una giacchettina, un berrettino e delle scarpine fatte ai ferri per il suo baby boy.

Forse non la vedrò più, ma porterò sempre con me il ricordo del suo sorriso, la sua storia.

E Fatima mi ha ricordato di quanto io sia una donna fortunata.

Buona fortuna Fatima.

 

Debora Patroncini (Deborahexpat)
Swindon, Inghilterra
Ottobre 2019

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