Venusiaexpat ci racconta come sta vivendo il suo espatrio a Strasburgo ai tempi del Coronavirus.
Viviamo in espatrio a Strasburgo da quasi tre anni. Strasburgo si trova in Alsazia, nel Grand Est francese, una delle zone rosse del paese. Siamo in casa da ormai 30 giorni, e siamo molto cauti, perché gli ospedali sono sempre vicini alla saturazione ed alcuni malati necessitano di essere evacuati. Come molti expat, temiamo di ammalarci, e di non avere una soluzione per i nostri figli, semmai noi genitori dovessimo essere ricoverati.
Tuttavia siamo fortunati perché pur vivendo in centro, la nostra casa è circondata da grandi alberi, e sentiamo continuamente il canto di tanti uccelli diversi, oltre a veder passare le cicogne. Il sole splende, la natura ci inebria, solo le sirene delle ambulanze che sentiamo con cadenza regolare, riescono a riportarci al motivo di tutta questa calma.
L’espatrio a Strasburgo
Strasburgo dicevo, una città europea, graziosa e vivibile che ci ha accolto benissimo, come ho raccontato qualche tempo fa nel mio articolo su Come si vive a Strasburgo da Expat. Una città che ci ha offerto l’opportunità di incontrare persone provenienti da paesi diversi, d’imparare molto sugli ebrei ortodossi (viviamo nel quartiere della sinagoga principale), sugli alsaziani (questo strano misto di cultura franco-tedesca), e di incontrare personalità della politica come potete leggere qui se volete: Dal diritto per sé ai diritti per tutti: l’espatrio di Cécile Kyenge.
La quarantena a ridosso del trasloco
La nostra quarantena però è molto caratterizzata dal fatto che questi per noi sono gli ultimi mesi in Francia. Infatti, a fine anno scolastico, traslocheremo altrove. Questa situazione provoca una serie di sentimenti molto particolari creati da questa strana congiunzione tra assoluta immobilità ed imminente mobilità.
Le persone
Il nostro più grande timore (oltre a quelli legati al virus, di cui non parlerò qui), è quello di dover partire senza poter salutare gli amici. Alcuni di voi possono immaginare questo timore, magari qualcuna di voi avrà vissuto un’evacuazione. Pensare di dover passare da una vita piena di contatti quotidiani, cercati e coltivati con impegno, al non rivedersi più senza un saluto, una festa, un addio, crea davvero un vuoto nella pancia. Questo sentimento si avvicina quasi a quello del lutto, e lo temiamo anche per i nostri bambini. Anche loro hanno costruito la loro rete di affetti, di contatti quotidiani, e perderli di colpo è una cosa difficile da comprendere a 7 e 3 anni.
I luoghi
Non sono solo le persone, anche i luoghi sembrano sfuggirci, seppur ancora vicini. Come molti expat, anche noi avevamo la nostra lista di posti da vedere o rivedere prima di partire, solo che i nostri programmi per i weekend non sono solo rimandati. Se dovessimo partire prima di una vera normalizzazione del quotidiano, questi luoghi non li rivedremo. Non potremo andare a prendere il nostro bretzel alla nocciola favorito, o giocare al parco della Petite France o a quello transfrontaliero delle deux rives, non potremmo fare quell’escursione a Gérardmer, o la visita a Europapark promessa ai bambini.
Certo, potremmo tornare un giorno, ma non sarà lo stesso. Questa settimana sarebbero dovuti arrivare dei familiari dall’Italia, ed eravamo tutti elettrizzati all’idea di mostrare loro la città che ci ha ospitati negli ultimi 3 anni. Anche questo viaggio non è solo rimandato, mia sorella, i miei nipotini non vedranno con noi i nostri luoghi del cuore… Sono piccole cose forse, ma che ci danno una grande malinconia.
La logistica
Poi c’è l’ansia. Chi ha fatto un trasloco, specie internazionale, sa cosa vuol dire in termini logistici ed organizzativi. Sa cosa significa chiudere le cose con la scuola, l’asilo, le utenze, vendere l’auto, organizzare il trasloco fisico delle cose, organizzare il proprio viaggio, preparare casa, scuole, utenze, a destinazione, ecc. Tutto questo adesso non possiamo farlo. Siamo qui, con un enorme lista di cose da fare, senza sapere se, come e quando potremmo farle. Non nascondo che a volte mi prende un’ansia opprimente, che solo l’accettazione di questa provvisoria impotenza riesce a placare.
Inoltre bisogna fare i conti con la possibilità, già palesata un paio di volte, di essere evacuati dall’oggi al domani dai datori di lavoro. Con un’amplificazione di tutti i timori di cui ho parlato sopra…
Ho imparato che la migliore medicina per questa ansia sono i miei figli. La loro necessità di occuparsi dell’ora e adesso: del pezzo di Lego che non si trova, del calzino rosso che vorrei fosse blu, della pasta da tagliuzzare, della storia da leggere con la voce giusta… Ecco, tutto questo diventa un balsamo, un esercizio ad essere solo qui, ora.
Essere grati
Mi rendo infine conto che non si può che essere grati.
Perché tutti questi timori, queste ansie, queste paure, derivano dalla nostra ricchezza. Sono dovute al fatto che qui abbiamo trovato amici accoglienti, maestre sorridenti, vicini amichevoli, compagni di scuola divertenti…
Dipendono dal fatto che ci siamo innamorati di questi posti, dei giardini, dei vigneti, dei mercati, dei vini e persino della flammkuchen…
Sono il risultato del fatto che abbiamo un posto che possiamo chiamare casa sia qui, che lì dove andremo…
Allora eccomi sul terrazzino di casa, a guardare i tetti della città, non più con un magone carico di malinconia, ma con il cuore pieno di gratitudine.