Home > Uomini Expat > Intervista a Jean, uomo accompagnante

Sono passati otto anni dalla pubblicazione di questa intervista, ma io e Jean non abbiamo mai perso i contatti. Dopo un periodo in Etiopia, lui e sua moglie Pilar (che per un po’ ha fatto parte del team ispanico di Expatclic) si sono trasferiti a Santiago del Cile per quattro anni. Lì sono andata a trovarli in due occasioni, la seconda quando è nata la loro splendida Carla, che oggi ha cinque anni. Dopo il Cile c’è stato un rientro in Spagna, a Madrid, e attualmente il lavoro di Pilar li ha portati alle Filippine, dove si sono peraltro incontrati con la nostra Lisa (ex Lisaexpat). Senza mai perdere il suo buon umore, Jean ha continuato a seguire Pilar facendo di volta in volta tesoro delle varie esperienze, tessendo nuove amicizie, camminando laddove poteva (la sua grande passione), e insegnando francese, quando gli si è presentata l’occasione. Non ho voluto porgli nuove domande, ma quando gli ho raccontato che avremmo parlato di uomini accompagnanti mi ha permesso di pubblicare un articolo sul tema, che aveva scritto per una rivista spagnola di diplomatici. Vi riproponiamo dunque questa sua intervista che resta di grande attualità, e la lettura dell’articolo in cui Jean ci spiega i suoi sentimenti da uomo accompagnante. Grazie di cuore Jean, per tutto.

Claudiaexpat, settembre 2013


Jean, francese, ha lasciato il suo lavoro in Francia per seguire sua moglie Pilar, spagnola, nella sua carriera di diplomatica. In questa lunga intervista, che è stata realizzata tra la fine del loro contratto in Honduras, e il trasferimento in Etiopia, Jean ci racconta cosa significa per lui viaggiare a seguito di sua moglie.

 

All’inizio…


Qual è la tua formazione, come hai conosciuto Pilar, cosa facevate quando vi siete incontrati, avevi dei progetti professionali, lei era già decisa a intraprendere la carriera diplomatica?

Jean: Per cominciare, e per evitare di sollevare strani sospetti, tengo a dire che ho conosciuto Pilar quando lei aveva solo 17 anni. A quel punto era dunque un po’ difficile per me immaginare che il mio “destino” era di arrivare nelle alte sfere diplomatiche. In effetti Pilar voleva intraprendere la carriera diplomatica, ma era solo un progetto. Per quanto mi riguarda, il mio solo e unico obiettivo prima che ci fosse offerto un posto all’estero, era di poter vivere in Spagna, paese sul quale ero fissato da quando avevo 15 anni.

La decisione…


Hai dovuto lasciare il tuo lavoro nel paese in cui vivevi? Se sì, quali sono gli elementi che ti hanno fatto scegliere questa soluzione? Come hai reagito quando avete saputo che eravate stati scelti per un posto all’estero? E come hanno reagito le vostre famiglie e i vostri amici?

Bisogna dire che sia durante il concorso, che durante il primo anno che Pilar ha trascorso al Ministero, eravamo più o meno nel vago. Sin dal principio però io desideravo che Pilar passasse il concorso e pensavo con molto entusiasmo alla possibilità di seguirla all’estero.

Ciò nonostante, di fronte al fatto compiuto, sono diventato un po’ reticente. Mi ero fatto una buona posizione nell’ambito dell’insegnamento del francese e ne ero completamente soddisfatto, oltre a guadagnare convenientemente, quasi quanto guadaganava Pilar in quel momento. Come professionista indipendente mi ero costruito anno dopo anno il mio giro di clienti e non riuscivo ad accettare tanto facilmente il fatto di doverci rinunciare da un giorno all’altro. Quindi, con qualche reticenza da parte di Pilar, decidemmo di ritardare la partenza di un anno. Ma all’ultimo, mentre il Ministero assegnava i posti all’estero, ho cambiato idea, anche grazie alla pressione costante dei colleghi di Pilar che mi avevano convinto del fatto che aspettare un anno significava ridurre il ventaglio di posti disponibili all’estero. Ancora oggi dò loro ragione.

Per quanto riguarda la mia famiglia e gli amici, niente di speciale. Tutti sapevano che consideravo questa situazione come una buona opportunità, anche se desideravo ritardarla di un anno.

Ci siete…


Hai avuto bisogno di molto tempo per adattarti alla situazione? Come ti sei organizzato? Hai cercato lavoro? Sei sempre contento della tua decisione, anche se non l’hai trovato? Hai conosciuto altri uomini nella tua stessa situazione?

Jean e Claudiaexpat

Jean e Claudiaexpat

Il nostro arrivo in Honduras è stato un po’ deludente. Io chiuso in un hotel, non conoscevo nessuno, e Pilar concentrata sulle sue attività professionali. Ma questo è stato solo un periodo di transizione, che sicuramente rivivrò a ogni cambio di paese. E’ stato sicuramente in quel momento che ho sentito molto forti gli interrogativi che la mia nuova situazione mi costringeva ad affrontare. Come avrei riempito le mie giornate in una città così poco “glamour” come Tegucigalpa? Le prime persone con le quali ho parlato sul posto non sono state per niente rassicuranti. Mi consigliavano di affittare una casa con un grande giardino per “tenermi occupato”. Altri si preoccupavano del fatto che non avevamo bambini perchè, immagino, anche questo “mantiene occupati”. Per fortuna proprio all’inizio sono riuscito ad entrare nel Centro Culturale Francese, che mi ha dato la possibilità di continuare la mia professione. In questo senso sono molto fortunato, dato che la Francia dispone di una rete culturale d’eccezione, sia a livello di Centri Culturali che di scuole francesi. Purtroppo però il compenso proposto (5$ all’ora) mi ha rapidamente demotivato, man mano che arrivavo ad occupare in altri modi il mio tanto tempo libero. Del resto in generale queste attività professionali son così poco interessanti dal punto di vista finanziario, che le si può eventualmente considerare come alternativa a un trattamento da uno psicologo. Ad esempio in Etiopia, la nostra futura destinazione, ho la possibilità di fare domanda per un posto d’insegnante al liceo francese, che sarebbe retribuito $200 mensili per un tempo pieno. Dunque non mi faccio scrupoli a seguire i miei interessi e la mia formazione, dedicando un anno allo studio universitario. In ogni caso continuo a dare qualche corso privato, che è meglio pagato.

I rapporti con la gente…

Jean_gorritos
La situazione più frequente è quella della donna che accompagna suo marito o il suo compagno all’estero. Come ti considerano le persone che hai intorno (sia locali che stranieri)? Come reagisce la gente quando dici che ti trovi in questo paese a seguito di tua moglie? Nell’ambiente degli espatriati c’è uno stereotipo di moglie accompagnante : dolce, silenziosa, che lavora per la propria famiglia e per i figli, che accompagna il marito negli eventi ufficiali legati al suo lavoro, e che beve litri di té (in riunioni rigorosamente femminili): esiste uno stereotipo corrispondente per gli uomini che accompagnano le loro mogli? Com’è il tuo rapporto coi colleghi di tua moglie?

Recentemente ho sentito parlare di due uomini che sono arrivati qui a seguito delle loro mogli. Entrambi lavorano per organizzazioni internazionali, e quando è necessario (ovvero quando la moglie ha qualche opportunità di lavoro all’estero) chiedono un periodo sabbatico ai loro datori di lavoro. La mia situazione qui rimane comunque atipica. E’ un po’ difficile parlare di stereotipo. Tutt’al più immagino che qualcuno mi possa associare a un gigolo che approfitta della moglie e altri al marito moderno che sacrifica i propri interessi per quelli della moglie. Io non mi riconosco in nessuna di queste due figure.

Detto questo, quando mi viene chiesto cosa faccio durante le mie giornate, sento di dovermi in qualche modo giustificare. Cerco di buttarla un po’ sul ridere: “leggo, gioco a tennis, e stiro”. Spesso chiedo a degli amici se sarebbero pronti a seguire il mio esempio, ovvero a lavorare poco o a non lavorare del tutto, a rinunciare a una carriera. Finora solo il 20% pensa che sarebbe in grado di accettare la sfida. Li capisco, prima della partenza io facevo parte del restante 80%! In ambito diplomatico del resto è un vero dramma per le donne che rimangono bloccate al Ministero perchè il marito non le vuole seguire, oppure che non riescono assolutamente a trovar marito. Molte coppie si sono sfasciate al momento della partenza.

Penso che la situazione di un uomo non sia necessariamente più complicata di quella che vivono le donne accompagnanti, anzi. Ad esempio gli uomini possono in genere muoversi rischiando un po’ meno dal punto di vista della sicurezza personale, e questo dà un più ampio margine di libertà. Inoltre, a livello sociale, noi siamo meno relegati a un ruolo subalterno, rispetto alle donne. Ad esempio nei cocktails, mi pare che “ i lavoratori”, in maggior parte uomini, ci accettino con naturalezza. Sicuramente dalle donne che non lavorano ci si aspetta di più che facciano “gruppo a parte”.

I tuoi sentimenti…


Sei contento della tua scelta ? Consideri questa situazione come qualcosa di temporaneo o ti senti pronto a seguire tua moglie in un futuro a lungo termine? Potresti indicarci un motivo di frustrazione e un motivo di soddisfazione legati alla tua condizione di uomo a seguito? Consiglieresti a un amico di fare lo stesso (seguire la propria moglie all’estero)?

 Jean all'entrata di una miniera in Honduras

Jean all’entrata di una miniera in Honduras

In definitiva per me questa esperienza è stata molto positiva. Ho scoperto di essere capace di mantenermi occupato in modo sano senza che un’impresa assorba 10 ore della mia giornata. Ciò mi sembra salutare e senza voler essere arrogante, a volte mi pare un peccato che alcuni non si sentano capaci di approfittare di questo spazio di libertà. Ma ognuno fa naturalmente i conti con la propria personalità. Se il livello della propria autoestima dipende dai punti assegnati da un superiore, meglio rinunciare. Bisogna anche avere una buona capacità di socializzare, nel momento in cui uno dei campi classici per farsi degli amici, il lavoro, ci sfugge. Personalmente so che la mia capacità di mantenermi occupato da solo mi servirà moltissimo in futuro (parleremo dei miei difetti in un’altra occasione….).

Per finire, parliamo delle mogli. Spesso sono loro, in ultima analisi, a ostacolare il progetto di partenza comune. Pur desiderando che il marito le segua, non sopportano di doverlo mantenere con il loro stipendio. Ora, con un cambio di paese ogni 3 anni, è un po’ difficile esigere che qualcuno faccia carriera. In questo senso, quando i ruoli erano inversi, gli uomini han dimostrato spesso più comprensione… Si accettava più facilmente il fatto che anche se era l’uomo a guadagnare, lo stipendio apparteneva a entrambi, nella coppia. In fin dei conti il fatto di adattarsi a questa situazione atipica a volte desta dei sospetti. C’è da credere che molti preferirebbero finire sul lettino di uno psicologo…

Come per le donne accompagnanti, questa situazione presenta inevitabilmente certi rischi, particolarmente in caso di divorzio. Sono ad esempio sicuro che un giudice, in questo caso, sarà più compiacente con la donna che con l’uomo. In forma generale viene da domandarsi se il premio missione all’estero, che costituisce due terzi dello stipendio del diplomatico, non dovrebbe venir considerato come una remunerazione destinata alla coppia. In fondo questo premio è fatto per compensare i possibili rischi legati all’espatrio, rischi che i coniugi subiscono nello stesso modo, se non in misura maggiore, dei loro mariti/mogli.

In ogni caso una cosa è certa: sarebbe sbagliato almeno non tentare l’esperienza.

Intervista realizzata e tradotta dal francese da Claudiaexpat
Lima, Perù
Febbraio 2005

 

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