Home > Vita d'Expat > Salute mentale > Tra crisi d’identità e nuove appartenenze

Per la serie di articoli sulla separazione dal paese d’origine, Pinaexpat torna a riflettere, e questa volta si focalizza sulle crisi d’identità e le nuove appartenenze.

Nel precedente articolo, dedicato al lutto migratorio, ho scritto che la separazione dal proprio paese comporta il cambiamento dei riferimenti esterni in rapporto ai quali si è costruita la propria identità e che questo implica un cambiamento anche a livello identitario.

In questo approfondirò questa tematica che, insieme al lavoro del lutto, è uno dei processi psicologici più importanti dell’espatrio.

La formazione dell’identità si realizza attraverso l’integrazione delle identificazioni e differenziazioni che l’individuo opera in tutto l’arco della vita. La risultante di questo processo è il sentimento di essere se stessi e allo stesso tempo di condividere dei tratti che ci accomunano agli altri. Il sentimento di identità si sviluppa proprio attraverso un dialogo continuo tra sé e l’Altro, possiamo affermare che il legame con gli altri è alla base del sentimento d’identità.

Amin Maalouf, scrittore libanese di lingua francese residente in Francia dal 1976, di lingua madre araba ma religione cristiana ortodossa, dedica uno splendido libro alla problematica identitaria partendo proprio dalla sua costruzione identitaria così ricca di appartenenze molteplici.

Scrive Maalouf in “Les identités meurtrières” (che credo sia stato tradotto anche in italiano):

“Grazie a ciascuna delle mie appartenenze, prese separatamente, ho una certa parentela con un gran numero di miei simili; grazie agli stessi criteri, presi tutti insieme, ho la mia propria identità che non si confonde con nessun’altra.” (Pag. 27, ed. Grasset & Fasquelle, 1998).

Leon e Rebeca Grinberg, due psicoanalisti argentini che attualmente vivono in Israele, sostengono che il sentimento di identità è il risultato di un processo di interazione continua fra tre vincoli di integrazione: spaziale, temporale e sociale.

Questi tre vincoli sono fondamentali nella costruzione dell’identità perché favoriscono rispettivamente:

– Il sentimento di individuazione: io sono io e non un altro;

– Il sentimento di essere se stessi nel tempo: anche se negli anni cambio continuo a rimanere sempre io;

– Il sentimento di appartenenza al gruppo sociale: altri mi conoscono e mi confermano chi sono.

Ebbene, l’emigrazione li colpisce tutti e tre nel loro insieme e costringe ad una ridefinizione identitaria. In particolare il vincolo sociale del sentimento di identità è quello implicato in modo più manifesto nel processo migratorio poiché il cambiamento più rilevante riguarda proprio il rapporto con l’ambiente circostante.

Per cogliere la portata di questo cambiamento basti pensare al fatto che in un nuovo paese non ci sono più testimoni del proprio passato, della propria storia!

Ciò è particolarmente significativo quando si parte da soli, senza famiglia al seguito, nel caso della maggior parte delle donne di Expatclic questo aspetto è attutito dalla presenza della famiglia, ma l’esterno è comunque senza testimoni. Per coloro poi che non lavorano nel nuovo paese l’assenza di una memoria che venga dall’esterno durerà per un tempo più lungo.

La messa in crisi, con l’espatrio, dei tre vincoli che avevano una funzione organizzatrice del sentimento di identità, costringe alla ricerca di nuovi riferimenti che garantiscano la possibilità di continuare a sentirsi se stessi.

Se teniamo conto che contemporaneamente si è impegnati a elaborare le perdite connesse all’abbandono del paese d’origine, che ora siamo in grado di leggere anche come perdite dei pilastri identitari, possiamo capire quanto tali cambiamenti costituiscano un pericolo per la stabilità personale.

Il senso di straniamento, di sconvolgimento dell’abituale rapporto con la realtà è efficacemente descritto da Barbara sui forum di Expatclic: “A volte io e la mia piccolina vagavamo come “zombie” per le strade della città”.

L’identificazione di sé e della sua bambina con degli esseri alieni esprime quanto il senso di estraneità sia vissuto come interno: non è la città ad essere “strana” ma lei che non ritrova i riferimenti, interni ed esterni, che le restituiscono il sentimento di essere se stessa.

L’impatto con il paese sconosciuto ha dunque un effetto “perturbante” che mette in crisi la propria identità. Tale crisi comporta senza dubbio disagio e sofferenza ma rappresenta anche un’occasione di arricchimento della propria identità che dovrà integrare nuove identificazioni e nuove appartenenze.

La capacità di risoluzione della crisi identitaria dipende anch’essa, come l’elaborazione del lutto, da un lato da fattori legati alle condizioni nelle quali si realizza l’espatrio, dall’altro dalle risorse interne di ciascuno.

Per quanto riguarda le prime rinvio all’articolo sul lutto migratorio poiché sono le stesse che determinano la profondità delle perdite e che rendono più impegnativo il lavoro del lutto. In linea generale, tuttavia, posso dire che l’importanza della crisi identitaria è in stretta relazione con la discontinuità esistente tra il “prima” e il “dopo” espatrio e con la qualità di tale cambiamento. In altre parole quanto più cambia la propria posizione in rapporto al mondo esterno, tanto più profondo sarà il lavoro di ridefinizione identitaria.

Le risorse interne che aiutano ad affrontare la crisi sono invece legate all’integrazione delle identificazioni precedenti e alla capacità di queste di resistere al cambiamento, quindi di fornire continuità e stabilità nel cambiamento.

Ritengo importante accennare qui anche al fatto che la migrazione, proprio per i processi che attiva, ha un ruolo facilitatore dell’emergere di problematiche e sofferenze preesistenti all’espatrio ma fino a quel momento rimaste sotto silenzio. Anzi a volte la decisione di lasciare il proprio paese è in relazione a costruzioni identitarie basate su appartenenze fragili o conflitttuali che non si è riusciti fin lì ad integrare. L’approdo in un paese nuovo allora, con la crisi identitaria che comporta, può rappresentare l’occasione per rivedere le vecchie appartenenze contemporaneamente alla costruzione e integrazione di quelle nuove.

Scrive ancora Maalouf:

“Nell’era della mondializzazione, con la mescolanza accelerata, vertiginosa, si impone una nuova concezione dell’identità – d’urgenza! (…) Se i nostri contemporanei non sono incoraggiati ad assumere le loro multiple appartenenze, se non possono conciliare il loro bisogno di identità con un’apertura franca e disinibita verso culture differenti, se si sentono costretti a scegliere tra la negazione di sé e la negazione dell’altro, noi staremo formando delle legioni di pazzi sanguinari, delle legioni di persone smarrite.” (Pag. 44, edizione già citata).

Spero di essere riuscita a rendere l’idea della complessità dell’azione migratoria che non può essere ridotta al caso o alla necessità poiché essa si iscrive nella storia dell’individuo, della sua famiglia e delle generazioni che l’hanno preceduto.

Se rivolgiamo ora l’attenzione alle appartenenze veicolate da Expatclic, possiamo constatare che ve ne sono tre che predominano:

– L’identità di espatriata: accomuna le persone che hanno lasciato il paese d’origine per vivere in altri paesi;

– L’identità di genere: accomuna le donne sulla prospettiva da cui si guarda all’espatrio e le differenzia dagli uomini;

– L’identità linguistica: accomuna persone che parlano la stessa lingua a prescindere dalla nazionalità d’origine e dal paese in cui vivono.

Questo arricchimento è dato dalla costruzione di nuove identificazioni che si integrano con quelle vecchie. Il genere sessuale ad esempio ci accompagna dal concepimento, anche se l’identità di genere l’abbiamo costruita nell’arco dell’infanzia fino all’adolescenza, ciò non toglie che nell’età adulta scopriamo dimensioni nuove dell’essere donna.

L’essere donna, espatriata, che parla due o più lingue si integra con l’essere italiana, (o francese, spagnola ecc.) moglie, single, professionista, cattolica (o laica, musulmana ecc.)… e la lista continua all’infinito.

Posso concludere questo mio contributo dicendo che l’espatrio rappresenta un’esperienza in grado di destabilizzare la propria identità e insieme una sfida per ri-stabilizzarla attraverso un nuovo equilibrio, più complesso e senz’altro più ricco. Ha scritto Claudia in un post:

“Ad un certo punto l’espatrio è diventato LA MIA VITA”

Nell’espatrio Claudia ha quindi trovato una sua nuova appartenenza.

Riferimenti bibliografici

Algini M.L., Lugones M. (A cura di) Emigrazione – sofferenze d’identità – Quaderni di psicoterapia infantilie n.40 1999 Ed. Borla.

Grinberg L. e R. Psicoanalisi dell’emigrazione e dell’esilio 1990 – Franco Angeli – Milano.

Maalouf A. Les identités meurtrières – 1998 Grasset & Fasquelle.

Pina Deiana
Roma, dicembre 2006

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