Irene è una donna italiana che si è trasferita in Cina per amore, e che ci è rimasta perchè è diventata manager di un’impresa di abbigliamento, prima a Qingdao e ora a Shanghai, da dove ha risposto alle nostre domande. Grazie Irene !!!
Grazie a Flora per le foto di Shanghai
Sei arrivata in Cina per amore…dove l’hai incontrato l’amore?
Durante il periodo universitario ho incontrato quello che sarebbe diventato il mio futuro marito. Lui ha studiato cinese qundi per ovvi motivi una volta laureati ha ricevuto un’offerta di lavoro per aprire un ufficio di rappresentanza per una ditta friulana a Qingdao.
A quel punto ero giovane (25 anni), innamorata e non ancora del tutto avviata in una professione, quindi fare armi e bagagli è stata la decisione più naturale del mondo per entrambi. Per lui per mettere a frutto i suoi studi, per me per fare un’esperienza comunque nuova, diversa e sicuramente particolare. C’è da dire che volevamo stare insieme e se avessi detto di no lui probabilmente sarebbe rimasto in Italia con me.
Qual è la tua formazione, e come ti ha aiutata a trovare il lavoro che fai attualmente?
Questa è divertente. In realtà sono laureata in filosofia, nello specifico con indirizzo teologico…e faccio abbigliamento! La vita a volte ti presenta strade che non avresti mai preso in considerazione.
In breve una volta arrivata a Qingdao ho passato i primi mesi solo per capire come comprare i beni di prima neccessità (in quanto nessuno parlava inglese e io non parlavo cinese), potrei scrivere un libro sugli aneddoti di quei primi mesi.
Comunque una volta ambientata ho incontrato un italiano e un cinese soci in una fabbrica di abbigliamento che avevano bisogno di qualcuno di italiano per tradurre alcune informazioni in inglese dall’italiano (che arrivavano dai loro clienti), e per gestire alcune piccole cose che data la mia provenienza (italiana, quindi gusto e sensibilità per la moda e i colori in generale superiore alle altre nazionalità) avrei potuto fare facilmente.
Devo dire che devo molto ad entrambi perchè hanno visto quasi immediatamente la mia passione per questo mondo così lontano dalla mia formazione, e nel corso di tre bellissimi anni mi hanno formata e mi hanno insegnato un “mestiere”.
E’ stato difficile cominciare a lavorare, dal punto di vista amministrativo (visti, permessi di lavoro, conto in banca, etc.)?
La mia situazione è particolare. Sono arrivata come “moglie” di un espatriato quindi per tutto il tempo a Qingdao mi sono appoggiata a mio marito per il mio visto o per aprire conto in banca o affittare la casa.
Diverso qui a Shanghai e prima a Hong Kong (dove sono rimasta solo 8 mesi).
In generale se hai un lavoro con un contratto valido non ci sono grandi diffcoltà.
Il visto di lavoro o il permesso di residenza si ottiene se si è assunti da un Ufficio o un’azienda regolarmente registrati. Comporta un paio di procedure particolari come una mattinata di visite mediche tra cui radiografia ai polmoni, test dell’AIDS, ecografia alla pancia, esami del sangue, tutte cose che fai solo la prima volta che richiedi il permesso di residenza che poi di anno in anno viene semplicemente rinnovato finchè hai il contratto valido con l’azienda per cui lavori.
La cosa bella è che ti danno anche il risultato degli esami quindi in pratica fai un bel check up a costo basso e velocissimo.
Aprire un conto in banca non è difficile come non lo è affittare una casa, una volta ottenuto il visto.
Ci sono però delle limitazioni, ad esempio qualunque straniero non può cambiare una cifra superiore agli 80.000 dollari in un anno. Ogni volta che si cambiano i soldi in banca o negli hotel richiedono il passaporto e viene registrato il cambio, quindi raggiunta la cifra tetto per il privato diventa impossibile cambiare di più. A meno che non si vada al mercato nero.
Per un azienda immagino sia diverso ma io dirigo un ufficio di rappresentanza che ha una struttura un po’ ibrida, non ha la possibilità di fatturare, quindi in parole povere dal punto di vista legale è più paragonabile a un ufficio di controllo che sta a metà tra clienti stranieri e fabbriche cinesi.
Com’è lavorare in un contesto culturale così diverso? Quali sono le difficoltà più grandi?
Partiamo dal presupposto che io in Italia non ho mai lavorato in questo ambito o con queste posizioni. Quindi in realtà sono (lavorativamente parlando) nata nel contesto Cina e cresciuta qui. Non ho mai avuto colleghi stranieri (al massimo capi) e non ho mai avuto altri mondi con cui confrontarmi (quello che facevo in Italia era comunque un lavoro totalmente diverso).
Sì, ci sono problemi e sono da entrambi i lati. Quello che vedo spesso sono degli occidentali convinti di arrivare qui per conquistare un paese e comandare. Senza rendersi conto di essere ospiti in un paese che gli sta dando il lavoro, invece. E dall’altra parte i cinesi sono molto chiusi nel cambiare posizioni. Si può discutere ma se hanno già un’idea o sanno che andrà così c’è ben poco che tu possa fare. Ci sono momenti in cui pensi che basta che ti distrai un attimo e le cose ti sfuggono di mano.
Poi ci sono i problemi generali che si avrebbero con qualsiasi cultura così differente. Come i punti di vista o le cose che dai per scontate. Il fatto che tu risolveresti un problema in un modo e loro lo risolvono in un modo totalmente diverso da quello che immagini creando più confusione di prima perchè tu non hai mai pensato di specificare che “non si può camminare con le mani al posto dei piedi”.
Immagino che nel tuo lavoro userai soprattutto l’inglese, ma che una certa conoscenza del mandarino sia comunque auspicabile e importante. Lo parli? Come l’hai imparato?
Mi vergogno moltissimo del mio mandarino che non è per nulla buono, anzi. Non lo leggo nè lo scrivo e parlo quello che mi basta per vivere, muovermi e lavorare. Avrei dovuto imparare molto di più ma con l’inglese e il fatto che sono fondamentalmente un po’ pigra su alcune cose e non portata per le lingue, il risultato è 7 anni e un mandarino appena accettabile
Sì, per capire meglio questo popolo bisogna imparare il mandarino. Le conversazioni più interessanti che si possono fare sono quelle con i tassisti e con le persone che si incontrano per strada. Come in tutti i posti, del resto. Che senso avrebbe vivere in un paese e non sapere almeno un paio di parole nella lingua del posto? Che intergazione sarebbe?
Comunque i primi mesi a Qingdao ho avuto un insegnante che mi insegnava più come vivere in Cina che la lingua. Il resto l’ho imparato parlando con le persone e ascoltando. Ovviamente capisco più di quanto parlo…
Adesso sei a Shanghai, quindi (immagino) una realtà piuttosto diversa da quella di Qingdao. Dove ti sei trovata meglio, e perché?
Difficile dare un parere. Ho passato degli anni bellissimi a Qingdao ma non riesco a scinderli dal contesto in cui vivevo. A Qingdao ero con un compagno in una comunità di stranieri da tutto il mondo, senza locali dove andare la sera se non pochissimi, e con il mare di fronte alle finestre
A Shanghai sono single, circondata da italiani e piena di locali e ristoranti dove uscire la sera. Quindi sono due stili di vita totalmente diversi (probabilmente un percorso lineare di vita li avrebbe messi al contrario rispetto a come si sono succeduti in realtà).
Di Qingdao mi mancano le cene a casa con quaranta persone da tutto il mondo. Mi manca la pasqua, era tradizione farla dagli italiani (noi) con piatti tipici di tutto il mondo e i bambini che cercavano le uova di cioccolato in giardino. Mi mancano la spiaggia o le piscine all’aperto d’estate e il fatto che avessi molti più amici cinesi di quanti ne ho a Shanghai (dove in realtà praticamente non ne ho).
Mi sono trovata benissimo da subito. A Qingdao anche i cinesi sono più semplici, meno frenetici e tutto ha l’aria di essere un po’ più tranquillo e ordinato.
Shanghai d’altronde è una città meravigliosa. La trovo bella, stimolante a suo modo, piena di contraddizioni. A Shanghai puoi fare la vita che vuoi che sia dai locali ogni sera a una vita tranquilla con pochi amici e qualche cinema e museo. Forse in questo senso è perfetta per questo periodo della mia vita, come Qingdao era perfetta per il periodo precedente.
Quindi la risposta è non saprei. Come ovvio Qingdao sarà sempre il posto in cui ho lasciato il mio cuore e questo va al di là della Cina. E’ il posto che mi ha fatto innamorare di questo paese e mi ha dato una vita e un lavoro qui, in in certo senso Qingdao mi ha dato la Cina.
Shanghai è la vita quotidiana che meglio si addice alla persona che sono diventata e alle cose che voglio fare. Nonchè appunto una bellissima città. Quindi immagino la risposta sia entrambe. Se si può dire, mi sono trovata meglio in entrambe per il momento in cui vivevo.
Com’è gestire uno staff di persone di cultura differente dalla tua? Nel tuo stile manageriale cerchi di introdurre elementi della tua cultura madre, o tendi ad essere attenta ai valori della cultura locale, e ad integrarli nella tua forma di leadership?
Gestire non mi piace molto come parola anche perchè sono fondamentalmente una persona molto disordinata quindi la metterei più su un piano di confronto e collaborazione continua. Tendo a mantenere i valori che ritengo possano calzare per entrambi le parti. Dalle feste che anche in modo minore faccio celebrare (a Natale abbiamo messo l’albero in ufficio e ho spiegato come si usa un calendario dell’avvento, un esperimento fallito, hanno mangiato tutti i cioccolatini in un giorno 🙂 ), al capodanno cinese ad esempio facciamo la cena d’ufficio con fiumi di birra e se ci scappa il karaoke.
Non so dirti che tipo di leader sono. Cerco di prendermela il meno possibile ma perchè penso in generale che irritarsi e urlare sia controproducente. D’altro canto potrei sembrare meno “capo” perchè strillo di meno o sono socievole. Da quel poco che ho visto del “capo” cinese di solito è una figura molto autoritaria per nulla socievole o partecipe.
Ma il mio stesso staff parte dal presupposto che non sono cinese qundi immagino che mi perdonino alcune “stranezze” perchè le giustificano con il fatto che sono straniera, e la stessa cosa vale per me.
Sicuramente non capirò mai fino in fondo questo paese nè i suoi abitanti perchè non sono nata e cresciuta qui, quindi rimarranno sempre delle incomprensioni e delle cose che mio malgrado dovrò imporre perchè diversa e a “capo” comunque di una struttura. Penso debba vincere il buonsenso di ognuno di noi. E fare le cose come riteniamo vengano meglio, alla cinese o all”italiana…dipende dal caso.
Devo dire anche che molte volte nell’approccio e discussione con le fabbriche lascio che sia lo staff a parlare o prendere gli accordi, sempre con la mia supervisione, ma cercando anche di capire da loro come è meglio agire per non portare situazioni alla rottura inevitabile.
A volte si rischia di agire nel modo sbagliato solo perchè non si sa che si doveva fare altrimenti. E per non sbagliare quando non sono sicura che sia l’approccio giusto parlo sempre con la mia merchandiser manager, che è l’anima dell’ufficio nonchè una persona meravigliosa.
Come influisce il fatto di essere donna, e per giunta straniera, nei tuoi rapporti coi colleghi?
Essere donna nel mondo dell’abbigliamento è comune.
Il problema arriva nei primi approcci alle factories, per quanto in Cina le donne facciano quasi tutti i tipi di lavoro e se mi è concesso dirlo con maggior successo degli uomini, in alcune posizioni di “comando” un uomo è sempre visto meglio di una donna. Quindi il mio arrivo in nuove factories e il primo incontro con il padrone ha sempre lo step da superare che sono una donna, poi cerco di conquistare il rispetto sul campo dove posso, al limite anche di fronte ad una bevuta di birra, una bella mangiata e un pacchetto di sigarette da fumare insieme (funziona).
Colleghi veri e propri non ne ho qui. Ne ho a Bangkok dov’è la sede centrale dell’azienda, ci sentiamo via skype e qualche volta vengono loro qui o vado io. E con loro mi trovo molto bene. Per il resto della vita quotidiana sono sola in ufficio con il mio staff.
Come vedi il tuo futuro? Il lavoro ti tratterrà in Cina, o la Cina farà sì che ci sarà sempre lavoro per te in questo paese?
La verità? Ogni anno prima o sotto il capodanno cinese dico “questo è l’ultimo, alla fine di quest’anno cambio paese e faccio una nuova esperienza.”
Ogni anno arriva il capodanno cinese e dopo sono ancora qui.
La risposta è non lo so.
Probabilmente un giorno mi alzerò e farò la valigia.
Intervista raccolta da Claudiaexpat
Giugno 2010