Home > Europa > Spagna > Yoga a Barcellona: la storia di Alvise il veneziano

Ringraziamo di cuore Isabella Da Re, amica di lunghissima data di Expatclic, per aver intervistato il suo caro amico Alvise, italiano nomade e attualmente a Barcellona, dove insegna yoga. In fondo all’articolo trovate una serie di link per approfondire il suo lavoro, e una sorpresina per le donne di Expatclic!

Vorrei condividere con voi la storia di Alvise. Alvise è un uomo affascinante e ricco in tutto: profondità, simpatia, intelligenza, sensibilità e bellezza interiore (ed esteriore). Nomade per scelta, parte da Venezia ed arriva (dopo moltissime tappe intermedie) a Barcellona, dove deciderà di crescere i suoi bellissimi bimbi. A 40 anni chiude una splendida carriera accademica per dedicarsi all’insegnamento dello yoga a Barcellona, dove apre una scuola  in cui insegna teoria e pratica e la teoria dello yoga tradizionale.

 

Alvise, cosa ti ha portato a Barcellona?

Sono arrivato a Barcellona nel 2005 dopo molti anni vissuti in vari paesi, Inghilterra, Israele, Stati Uniti. Il dottorato internazionale che stavo studiando (Analisi e governance dello sviluppo sostenibile nelle aree costiere del Mediterraneo) mi imponeva la scelta di una città europea per l’ultimo anno di studi. Non avrei voluto espatriare in quel periodo, avevo appena trascorso diversi anni in Israele, e avevo voglia di “casa”, almeno per un periodo.

In questo senso Barcellona rappresentava per me una scelta di “non espatrio”: assomigliava un po’ alla mia Venezia, affacciata com’è sul mare a levante, è facilmente raggiungibile da Venezia; inoltre vi vivevano già diversi amici veneziani e in un certo modo mi ricordava un po’ anche Tel Aviv, città che rappresenta un altro pezzo di me. La vedevo come una città giovane, una città che sa osare, cosmopolita ed allo stesso tempo con una dimensione umana.

Foto: Pixabay

Ci arrivai, dunque, un po’ per caso. Fu una scelta di compromesso: vado all’estero, ma rimango un po’ a casa. Devo aggiungere che essendo gay, desideravo vivere come mi era già successo in Inghilterra e in Israele in una città che non facesse del mio orientamento sessuale una questione caratterizzante. A Venezia la mia omosessualità è stata sempre accettata, dalla mia famiglia e dai miei amici, tuttavia anche lì come in generale in Italia, l’essere gay resta ancora e purtroppo un elemento identitario, spesso accettato (talvolta solo tollerato), ma ancora estremamente rilevante nel definirmi. Alla Barcellona in cui arrivai, questo aspetto non interessava, Zapatero aveva da poco introdotto il matrimonio gay, notavo che in generale l’omosessualità era un “non-issue”: avevo la sensazione di respirare normalità nella diversità, proprio quello che cercavo.

Come vivi ora questo espatrio che mi sembra essere definitivo, e ti piacerebbe tornare a vivere a Venezia?

Nella mia tesi di dottorato sui fenomeni diasporici mi sono occupato a fondo della questione dell’alienazione che incarna l’essere figlio di una diaspora. E nella vita soffro profondamente questa sensazione. Come emigrato diasporico mantengo sempre un desiderio di tornare, ed un legame con la mia identità culturale. A volte si tratta di un desiderio utopico, sei cosciente che non lo realizzerai, però nel tuo cuore rimane il desiderio di ritorno. Un emigrato diasporico vive lontano dalla sua homeland, la terra che è casa e si accontenta di una hostland una terra ospitante, quella che accoglie. Per questo il figlio di una Diaspora, vive sempre nella malinconia, in un certo senso è un condannato alla malinconia.  Non è mai pienamente se stesso.

Tutto ciò è ancor più vero per un veneziano, perché la Venezia che desideri, quella che porti nel cuore e che ti caratterizza, già non esiste. Eppure, non sei te stesso neppure come spagnolo. Parlo fluentemente il catalano, sono pienamente immerso e abbraccio la cultura della città che mi accoglie, ma non sono loro, e non sono nemmeno veneziano ormai. Sono un alienato.

Mantengo la mia identità, la voglio trasmettere, ma mai imporre. Per questo il senso di malinconia mi accompagna sempre e non mi infastidisce: è parte della mia identità.

Non so se potrei tornare a vivere a Venezia, però sicuramente mi sento ancora profondamente veneziano. I miei figli li voglio crescere come catalani, ma con un padre veneziano, uno che ancora si commuove sentendo l’odore di laguna che spesso i turisti chiamano puzza, uno a cui ogni muro, ogni mattone della città in cui è nato è cresciuto parla e ascolta. La mia cultura è e rimane quella della mia città e del mio Paese, ma i miei figli sono nati qui e avranno le loro tradizioni e le loro radici qui. Racconto loro sovente di Venezia, parlo loro in dialetto, festeggiamo le ricorrenze lagunari, ma non li metterei mai in una scuola italiana. Trasmetto le mie tradizioni, che sono le mie, non le loro. Non voglio che crescano con un senso di malinconia, potranno sceglierlo come ho fatto io, ma non glielo imporrò.

Foto ©MattiaFerrario

Arriviamo al momento in cui decidi di lasciare tutto il tuo percorso lavorativo e di studi per dedicarti unicamente allo yoga?

Diciamo che allo yoga mi ha portato la mia irrequietezza personale. Mi sono sempre occupato dell’altro, della comprensione dell’altro: l’altro come specchio di me stesso, l’altro  con cui, come emigrante, ho sempre voluto comunicare non come straniero, ma come ospite. Per questo ho trovato imprescindibile, nei vari espatri, conoscere già la lingua della terra di accoglienza, condizione che mi ha permesso una conoscenza molto più profonda delle persone e delle città ospitanti (ndr: Alvise parla correntemente l’ebraico, lo spagnolo, il catalano, l’inglese e  si esprime bene in portoghese e francese).

Ho vissuto una vita spirituale molto tormentata, sono nato e cresciuto in un ambiente cattolico (seppur riformista) con un certo rigore nella proposta dei precetti religiosi. La famiglia di mia madre ha radici ebraiche elemento non secondario nel mio rapporto con la spiritualità ebraica negli anni vissuti in Israele. Nella mia adolescenza e giovinezza ho frequentato a lungo un monastero (ndr: Monastero di Bose), dove imparai il valore del silenzio e dell’introspezione e dove, proprio sul dialogo attorno a queste questioni posi le radici alle amicizie più rilevanti della mia vita che ancora mi accompagnano trent’anni dopo.

yoga a barcellonaTuttavia, vi fu un momento in cui soprattutto il mio percorso accademico mi impose il rifiuto dei precetti religiosi, come atto di ribellione e come risposta a un desiderio di libertà.  Non posso negare che fu un momento di profonda solitudine, e fu proprio questa sensazione di sradicamento che mi portò a poco a poco verso la ricerca di un approccio laico alla necessità di spiritualità.

Lo yoga comincia così, ancora una volta quasi per caso, come percorso che mantiene quell’equilibrio tra ragione e irrequietezza spirituale. Gli Yoga-sutra di Patañjali, il grande libro dello yoga, cominciano affermando che lo yoga è la sospensione delle alterazioni della mente (pensieri, emozioni, sensazioni, giudizi, vergogne, colpe…) nella ricerca di silenzio interiore, perché solo quando sarai in grado di fare silenzio, solo nel controllo della tua mente sarai in grado di percepire una realtà più profonda, una realtà che è sinonimo di libertà.

Lo Yoga è un insieme di tecniche che ti aiutano ad arrivare ad una verità, la tua verità. Si tratta di un percorso difficile, spesso doloroso, ma pur sempre un cammino di libertà, e io anelo a sentirmi libero da sempre.

Lo yoga si basa su un concetto di uomo diverso rispetto a quello cui ero abituato, ossia il “cogito ergo sum”, paradossalmente lo yoga propone un approccio inverso: quando le tue azioni sono mera conseguenza delle alterazioni della tua mente, allora non sei libero. Nessuno è in grado di controllare i flussi dei propri pensieri, siamo schiavi delle nostre menti, e se non sei in grado di controllare il flusso dei tuoi pensieri, non sarai nemmeno in grado di controllare le tue azioni. Dunque il silenzio come risposta, il silenzio come ribellione, come atto di libertà.

In questo senso, lo yoga mi ha insegnato ad accettare il dolore come percorso di libertà. Riconoscere il dolore che ha un senso da quello che semplicemente gira su se stesso in un circolo vizioso. Yoga per me è stato un dire “basta!”. Un cambio nella mia vita che ancor’oggi rappresenta un momento pieno di bellezza, pur non privo di sofferenza. Per questo ho voluto insegnare.

Il passo è stato tanto rivoluzionario (rispetto alla mia vita di prima, mi trovavo al culmine della mia carriera e rispetto alle aspettative mie e di quanti stavano attorno a me sulla mia vita) quanto velocissimo; e questo cambio di vita lo devo in parte a Barcellona: a Venezia avrei avuto molta più difficolta a fare il passo, certamente avrei sofferto la sensazione di tradire le aspettative di chi mi voleva bene, certamente sarei stato assalito da sensi di colpa. La distanza mi ha offerto la possibilità di svincolarmi da questi legami, per essere più profondamente me stesso.

yoga a barcellona

La mia vita oggi non è una vita ideale: ho i miei problemi, i miei alti e bassi, ma vivo una vita semplice, con il mio lavoro che mi appaga profondamente, con i miei figli che adoro e mi adorano, il mio compagno ed i miei affetti più cari. Lo yoga mi ha fatto apprezzare di nuovo questa semplicità, la stessa che avevo apprezzato da giovane. Da giovane, complice uno splendido gruppo di amici, ho avuto il privilegio di crescere nella semplicità e di apprezzare la felicità che l’essenzialità racchiude in sé. Con il gruppo di persone con cui sono cresciuto non avevamo bisogno di nulla che non fosse il nostro stare assieme, una chitarra ed un bicchiere di buon vino per essere felici. Nei viaggi, nelle letture, negli scambi intellettuali ci siamo sempre mossi con semplicità, con essenzialità e questo bastava.

Quella impronta è rimasta indelebile ed ora mi ritrovo, seppur più maturo, in quella stessa fase di quasi-spensieratezza. Ho meno aspettative di allora, ma la stessa curiosità, la stessa voglia di sperimentare, di conoscere e non smettere mai di imparare. E vivo un profondo senso di gratitudine per questa città, che non sarà perfetta, ma sa accogliere e non ha paura di provare. Ha un bel mare, è bella da passeggiare, da girare in bici, è ricca di biblioteche, di offerta culturale, artistica, sportiva. Per me Barcellona non è perfetta in nulla, ma sa rispondere a tutte le esigenze, sa essere completa nella sua imperfezione, oltre ad avere il gran pregio di distare un’oretta e poco più di volo dalla mia adorata laguna.

In questo periodo Alvise, oltre ai corsi di Mahama in presenza a Barcellona ha aperto, per gli amici lontani ed insieme a Valentina, una delle sue prime allieve, un corso on line, comprensivo di 5 ore di yoga e pranayama in italiano la settimana. Qui il link per saperne di più: http://www.alvisevianello.com/duribanchi
La pagina web personale di Alvise è http://www.alvisevianello.com
Alvise fa lezione in presenza tutti i giorni a Maha Ma http://www.mahamayoga.com  a Barcellona e online (in spagnolo) oltre alle lezioni online e presenziali su Duri i banchi yoga (in italiano)
E sarebbe felice di offrire una lezione alle ragazze di Expatclic, sia in presenza a Barcellona, sia via internet. Per avere un pass per una lezione gratuita scrivete a nosotros @ mahamayoga.com (spagnolo) o duribanchiyoga  @ gmail.com (italiano) mettendo “expatclic” nel soggetto. 

 

Intervista raccolta da Isabella Re
Dicembre 2020
Foto ©AlviseVianello, tranne dove altrimenti specificato

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