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Sono passati esattamente 5 anni, 6 mesi e 27 giorni da quando scesi dall’aereo di Iberia e salutai Lima, quella che sarebbe stata la mia casa negli anni a venire. La prima impressione di un luogo non si scorda mai. Nel mio caso ricordo perfettamente l’umidità che rendeva lucida e scivolosa la pista dell’aereoporto Jorge Chavez, e questa sensazione di pioggerellina che nulla aveva a che vedere con una vera e persistente pioggia. Era la “garua”, condensa di umido che cade sulla città durante tutta la stagione invernale che, come avrei avuto modo di scoprire, dura per un periodo che sembra infinito.
Quando si vive così a lungo in un paese sembra quasi che le sensazioni dell’inizio e quelle della fine coincidano nella loro dolorosa lucidità, e per rendersi conto di quanto si è fatto, vissuto, imparato e conosciuto è proprio necessario disfar casa e far mente locale sui momenti passati. Un esercizio che ho percorso a fondo, conscia, per esperienza, del fatto che è meglio soffrire e dar l’addio a un paese quando ancora si è sul suo suolo, che non a posteriori, quando i dolci sorrisi, gli odori e i profumi che facevano parte del nostro quotidiano sono ormai diventati irrimediabilmente ricordi.
Adesso mi sento serena e sono cosciente del fatto che questo periodo ha costituito per me un privilegio immenso. Non vi annoierò con le cose che ho imparato fino all’ultimo vivendo in un paese così profondamente intrigante come il Perù. Quello che voglio fare è salutare il “mio” Perù, ringraziarlo e raccontargli quello che mi ha dato.

Non mi sei piaciuto subito, devo essere onesta. La tua grigia capitale all’inizio mi soffocava perchè mi pareva insopportabilmente triste. Non ho voluto cercar casa in altri quartieri che San Isidro, dove eravamo approdati, perchè quando percorrevo l’Angamos per portare a scuola i bambini mi sentivo afferrare da una profonda tristezza per il grigiore, la povertà, la confusione, la mancanza di colore. Ecco, soprattutto la mancanza di colore. Come se il clima di Lima arrivasse a scolorare anche i volti dei suoi abitanti, e passasse una patina di grigio sulle auto, sui cartelloni, sulle case, sui cani.

Photo Credit ©LorenzoMoscia

Poi, lo sai, l’incontro dei miei figli con la tua cultura machista e un po’ caciarona è stato molto duro. Le pesanti pacche sulle spalle, i “maricon”, “cholo”, gli scherzi al limite del violento, e tutto il codice comportamentale e comunicativo che la tua generazione di tredicenni di classe medio alta sfoggiava in quel momento, sono stati per il mio sensibile figlio una tortura che ha marcato per sempre il suo soggiorno da te. In questo non sei diverso dagli altri paesi che ti circondano. Alle riunioni sociali le donne stanno da una parte e parlano di cucina, figli e manicure, e gli uomini da un’altra, e parlano di calcio, politica e lavoro. Le donne sono quelle che lavorano fuori e dentro casa, che subiscono violenze, che si preoccupano dei figli e che tirano avanti in tutte le avversità. Che donne, le tue! Quanto ho imparato da loro! No, non parlo di quella minoranza di simil attrici bionde, rifatte, con il 4×4 fiammante, che passa dalla palestra al salone di bellezza mentre i figli vengono cresciuti dalle tate… quelle le hai tu come le hanno il resto dei paesi dell’America Latina, e per me non sono interessanti. Non ci ho quasi mai avuto nulla a che fare, tra l’altro. Quando le incontravo le schivavo.

Photo Credit ©LorenzoMoscia

Sto parlando della donna peruviana che va avanti, che porta avanti la sua molteplice identità di lavoratrice, moglie, madre e amica, che è forte come una roccia, che si alza al mattino prestissimo per sistemare le cose in casa, esce a lavorare tutto il giorno, torna e si rimbocca di nuovo le maniche. Quella donna che quando manca il lavoro e  mancano i soldi si fa sempre venire delle idee e le mette in pratica. Parlo delle donne del Comedor Paraiso Alto, delle volontarie del Prosa, di quelle che vivono nei coni marginali, di quelle che attraversano la città per andare a lavorare, o che vanno a lavorare dalle famiglie ricche, dormendo da loro, e rinunciando a vedere la loro famiglia per sei giorni su sette. Se c’è una cosa che ho imparato da loro è la determinazione. Non sono fataliste, le tue donne. Sono realiste e determinate. Non importa quanto dovranno faticare per raggiungere quello che vogliono, loro vanno dritte alla meta. E hanno una fibra d’acciaio che non si spezza.

Da subito mi è piaciuta la tua cucina (e come no???), scoprire il ceviche, il chupe de camarones, il chicharron e la causa è stata per me una delle sorprese più grandi e inaspettate. Non dimenticherò mai i gloriosi momenti intorno alle tue tavole, la tua cucina intorno alla quale ruota la tua storia, e l’orgoglio dei tuoi abitanti, che appena sanno che sei straniero ti chiedono “e come ti è sembrata la cucina peruviana?”, tanto che alla fine questo diventa un clichè tra gli stranieri, che ne parlano quasi con un po’ di noia. Ma come darti torto. Dopo cinque anni e mezzo di pesce alla tua tavola, ho storto il naso davanti a un fritto misto ligure, che mi sembrava secco e insapore. Le tue patate sono meravigliose, come gli altipiani sui quali le coltivi, e mi rammarico di non averne mangiate di più, perchè so che di sapori così non ne troverò più, in tuberi ad altre latitudini.

Con lo stomaco a posto è stato facile organizzarsi una vita soddisfacente e lanciarsi un po’ più in là nello scoprirti. Mentre pian piano incontravo sempre più gente, conoscevo anche le tue bellezze storiche e naturali. E tu lo sai, perchè l’ho detto e ripetuto, di fronte al Machu Picchu mi sono commossa per la prima volta come non mi succedeva da quando stavo in Africa, ed era questa una cosa che mi faceva sentire in credito con l’America Latina, e che tu hai soddisfatto.

E’ stato girando, per quanto ho potuto, che ho scoperto quanto sei meravigliosamente ricco e variegato, e quanto le tue genti si distinguano e siano interessanti dalla costa alla selva, nonostante un pugno di privilegiati si ostini a pensare che il Perù è a Lima e tutto il resto è un po’ di folklore che fa bene al turismo. Io mi sono sentita in profonda sintonia con il Valle Sagrado e altrettanto con Iquitos e la riserva di Pacaya Samiria. Ho apprezzato enormemente Huaraz e la Cordillera Blanca, la semplicità delle sue genti, i suoi spettacolari paesaggi. Mi è piaciuta Arequipa, mi sono piaciute Trujillo e Paracas, magica quest’ultima.

Ma soprattutto mi è piaciuto scoprire la tua Lima nascosta, quella Lima che molti non sanno nemmeno che esista, quei luoghi che si celano dietro le facciate abbandonate del centro, quegli incredibili personaggi che ti fanno sentire su un altro pianeta quando ci entri in contatto. I primi tempi quando tornavo dal centro città mi sembrava di essere stata via per giorni. Poi mi sono abituata e ho capito che proprio questo è Lima: un gigante microcosmo che pulsa in un’incredibile marasmatica diversità.

Con Rosa sulla porta di casa cinque minuti prima della partenza

Non è facile fare amicizia con i tuoi abitanti. Soprattutto le persone della capitale sembrano molto aperte all’inizio, ma quando tenti di andare un po’ più in profondità avverti la guaina protettiva nella quali si sono avvolti. Quando però questa guaina non c’è, o quando si riesce a penetrarla, che gioia! Che ricchezza umana, che scambi intellettuali ed emotivi! Anche se li conto sulla punta delle dita, i peruviani che mi hanno aperto il loro cuore non li dimenticherò mai. Hanno costituito un tesoro preziosissimo, mi hanno insegnato tanto su di te e sulla vita. E pur non riuscendo a farsi una batteria di amici locali, che stupenda sensazione di umanità si prova vivendo nella tua capitale… come sono tutti gentili, affettuosi, pronti al sorriso, pronti a darti una mano. I tuoi taxisti sono una categoria a parte, e pur essendo tutti uomini tranne una (la mitica Liliana che tante volte ha accompagnato a scuola i miei figli), non mi hanno mai indisposta o spaventata. Ricordo con tantissimo affetto le chiacchierate infinite con molti di loro, commentando il momento politico, la vita a Lima, l’Italia e naturalmente la cucina peruviana. Questa grande carica umana, che mi ha accompagnata per cinque anni e mezzo in qualsiasi momento del quotidiano, sarà sicuramente una delle cose che mi mancherà di più. Che sia sui taxi, per le strade, nei negozi, negli uffici o nei mercati, il cuore della tua gente pulsa vivace, e basta sollecitarlo per trovare una reazione partecipe e divertita.

Della tua Lima mi mancheranno anche i servizi, quell’attenzione al cliente, quell’ingegnarsi per risolvere i problemi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Mi mancherà anche la tua arte di arrangiarsi e del mettere un tocco di scanzonata fantasia nell’approfittarsi della gente, nel tentare di “sacar provecho” dalle situazioni. Ne ho sganciati tanti di soldi solo perché mi lasciavo incantare dalle storie che mi inventavano per spillarmi due lire, e lo rifarei sicuramente ancora. L’ho sempre detto, Lima assomiglia a Napoli in questo, e la cosa mi ha divertita da subito.

Ecco Perù, ti lascio così, in bilico tra una potente crescita economica e una crisi finanziaria di grandi proporzioni, ti lascio mentre butti giù case e tiri su palazzi, mentre si apre il divario tra poveri e ricchi e ci sono sempre meno soldi per la cultura. Per me i ricordi sono intimi, legati al mio quartiere, alla mia Rosa, alle passeggiate col cane e ai lunghi viaggi in famiglia alla scoperta delle tue ricchezze. Sono, alla fine, ricordi legati alle tue genti, com’è giusto che sia. E nel ringraziarti per le opportunità che mi hai dato, di sentirmi per un pezzettino della mia vita parte di te, di essere io quella che accoglieva i nuovi arrivati a Lima, cercando di trasmettere loro un po’ della mia passione per questa tua caotica capitale, ti prometto che nel mio cuore avrai per sempre un posto speciale, e che quanto tu di speciale mi hai dato, cercherò sempre di trasmetterlo a chi incrocerò sul mio cammino.

Ciao, Perù.

 

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Aprile 2009

 

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