Home > Europa > Germania > Maria, un cuore che parla più lingue

Per questo aggiornamento speciale sugli Espatri extra-ordinari, voglio onorare la memoria di una donna eccezionale, che ho incontrato in Perù mentre ci vivevo e che purtroppo ci ha lasciati lo scorso agosto. Maria mi era stata presentata da amici comuni, e ci eravamo piaciute immediatamente. Il poco tempo che abbiamo trascorso insieme è stato pieno di affetto e di rispetto. Come leggerete nell’articolo, Maria era profondamente toccata dal destino degli Ashaninka, per i quali e con i quali ha lottato fino all’ultimo giorno della sua vita. Vi prego di aiutarmi a ricordare questa incredibile donna prendendovi il tempo di scoprire cosa sta succedendo a questo gruppo in Perù.

Riposa in pace, Maria.

Claudiaexpat

 

Tra le tante cose belle che questi ultimi mesi di soggiorno in Perù mi stanno regalando, c’è sicuramente l’incontro con Maria, una donna eccezionale che mi ha raccontato la sua incredibile esperienza di vita e d’espatrio. Sono lieta di offrirvi questa splendida testimonianza come mio personale regalo di Natale…

Maria è una donna fuori dal comune, non solo per la sua storia che, come vedrete, è molto singolare, ma anche perchè passati gli ottanta ha una mente fresca e aperta, curiosa e lucida.

Sono state la sua lucidità e presenza di spirito a colpirmi come prima cosa in lei. Quando, dopo il nostro primo incontro, l’ho chiamata per chiederle se potevo intervistarla, si è ricordata subito di me (e dire che io, che ho poco più della metà dei suoi anni, mi dimentico sempre di tutto e tutti !!!!) e con estrema gentilezza mi ha accordato il suo tempo per raccontarmi la sua interessantissima storia.

Maria nasce a Parma nel gennaio del 1927. Figlia di un ufficiale dell’esercito, sin da piccola si sposta di città in città, fino a quando la guerra la catapulta in un incubo: il padre, rifiutatosi di combattere per Mussolini e Hitler, viene mandato in un campo di concentramento in Polonia, e si perdono le tracce anche del fratello, giovane ufficiale.

Nella casa di campagna vicino a Parma Maria e il resto della famiglia sono ormai convinti che non rivedranno più i loro cari. Maria racconta a lungo di  di come il padre sia sfuggito alla morte in più occasioni e di come abbia fatto ritorno a casa ridotto a pelle e ossa ma vivo. Un epilogo felice perchè anche il fratello rientra, e la vita riprende pian piano un corso normale.

Maria si iscrive alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere alla Bocconi, e quando giunge il momento di scrivere la tesi, in inglese, decide di recarsi a Cambridge in cerca di materiale. Lì stringe amicizia con una ragazza austriaca, e sarà proprio mentre è in visita da lei qualche tempo dopo, a Innsbruck, che conosce il suo futuro marito, un giovane tedesco.

Immaginati  come poteva reagire mio padre, dopo tutto quello che aveva passato durante la guerra, all’idea che sua figlia sposasse un tedesco !“, mi dice Maria, ridendo. “Per un periodo ci siamo frequentati di nascosto. Io lavoravo a Milano in una ditta di import-export e lui viveva a Monaco. Un giorno mia madre si è decisa ad affrontare l’argomento con mio padre, che ha acconsentito al matrimonio“.

ashaninkaMaria si trasferisce a Berlino con il marito, che ha un posto di assistente universitario.

E’ la fine degli anni cinquanta, e la sua solitudine è pari a quella che ancora oggi provano tante coraggiose donne che accompagnano i mariti per il mondo.

Maria ha studiato inglese e francese, ma il tedesco le è estraneo. Non riuscire a farsi capire dalle persone che la circondano la fa sentire poco considerata, isolata.

Per diversi mesi oscilla tra il desiderio di tornare in Italia e quello di restare accanto al marito. Poi arrivano i figli, una bimba prima, seguita da un maschietto. Maria si dedica a loro a tempo pieno, e quando arrivano all’età scolare, decide di attivarsi per riprendere a lavorare.

Dato che ha una laurea in lingue straniere e ha già insegnato inglese e italiano in un ginnasio di Parma, decide di tentare la via dell’insegnamento.

Quando ho chiesto se potevo usare la mia laurea per insegnare in Germania mi è stato risposto che il mio pezzo di carta lì non aveva alcun valore, a meno che volessi usarlo per accendere un fuoco. Tanta rudezza mi ha davvero ferita, umiliata e riempita di rabbia. E’ cominciato un periodo di frustrazione, fino a quando un giorno sono andata coi miei bambini a Parigi, a trovare un’amica tedesca che abitava là. Anche lei viveva male il fatto di essere moglie a seguito e non trovar lavoro. Insieme ci siamo fatte venire delle idee. Suo marito, molto collaborativo, mi ha fatto capire che l’unica strada per me sarebbe stata riprendere gli studi. Mi ha suggerito la Facoltà di Antropologia Sociale, e a me l’idea è piaciuta ! L’antropologia è la scienza che studia le minoranze sfavorite, e in quel momento io mi sentivo esattamente parte di una minoranza sfavorita!“.

E’ il 1968 quando Maria si iscrive all’università a Berlino. Il marito, dirigente d’azienda, si oppone, è spaventato. Teme che Maria, moglie di un personaggio che in quel momento incarna i mali contro quali studenti e operai combattono, venga osteggiata, derisa, se non peggio. Ma lei non demorde. Torna a studiare, e si appassiona alla materia.

Anche il rapporto con gli studenti non presenta problemi, anzi. Maria è viva e curiosa, studia Marx con diligenza, organizza incontri di studio e riflessione a casa sua con gli altri studenti, riuscendo alla fine a vincere lo scetticismo del marito e a coinvolgerlo.

Tra i corsi che Maria frequenta ce n’è uno sul Perù. Tale è il suo interesse per questo corso, che  riesce ad ottenere una borsa di studio per recarsi sul posto a far ricerca su un aspetto di sua scelta.

Maria è molto interessata all’educazione bilingue. Si reca dunque in Perù, a Huanta, vicino ad Ayacucho. E’ il 1973 e gli anni del terrorismo non sono ancora iniziati, anche se Abimael Guzman, il fondatore di Sendero Luminoso, è già attivo all’università di Ayacucho per preparare gli anni di lotta, che si trasformeranno in anni di sangue, violenza e miseria per i peruviani più isolati.

In quel momento, quando Maria arriva in Perù, si è in piena riforma agraria. Lei alloggia a casa di un proprietario terriero, zio della futura moglie di Abimael Guzman, che tenta di convincere Maria ad andare ad Ayacucho a conoscere il leader carismatico. Per una serie di circostanze Maria lascia il Perù senza averlo incontrato, e oggi se ne rallegra.

ashaninka2Quando Maria torna a Berlino il suo matrimonio si sfascia. Segue un periodo molto duro, Maria è depressa, non riesce a riprendersi. Ha bisogno di trovare qualcosa che la aiuti a superare questo periodo e ridia un senso alla sua vita.

Quando la GTZ (cooperazione tedesca) le offre di ritornare in Perù per avviare un progetto di insegnamento bilingue, Maria accetta senza indugio, anche se questo implica perdere la nazionalità italiana per ottenere la tedesca. All’epoca non era infatti possibile conservare entrambe le nazionalità, e la GTZ poteva impiegare solo personale tedesco.

Fino a quel momento avevo resistito con il mio passaporto italiano. E ti parlo dell’epoca in cui a Berlino c’era il muro, entrare e uscire non era semplicissimo senza un passaporto tedesco. Il passaporto italiano mi faceva sentire accomunata alle masse di emigrati che venivano dal sud dell’Italia e lavoravano in condizioni davvero dure, per me era importante conservarlo. Ma tanto era il mio bisogno di partire in quel momento, che acconsentì a prendere la nazionalità tedesca. Ricordo ancora quando mi chiamarono da Lima, una volta che ero già in Perù. L’addetto passaporti dell’ambasciata tedesca sventolava il mio nuovo passaporto tedesco, e mi chiedeva di mostrargli l’italiano. Glielo diedi con una certa riluttanza, e infatti appena l’ebbe tra le mani mi tese quello tedesco e si tenne il mio caro passaporto italiano“.

A partire da quel momento Maria ha dunque la nazionalità tedesca, ma il cuore resta italiano e anche il calore con cui i peruviani l’accolgono è quello tipico riservato ai nostri connazionali.

Il lavoro di Maria prevede la ricerca di scuole in cui poter cominciare il progetto di insegnamento in quechua o aymara e spagnolo. A nessuno piace partire alla ricerca di scuole nei luoghi più sperduti, mentre Maria accetta di buon grado, e in questo modo conosce gli angoli più reconditi e affascinanti del Perù.

Resta a Puno 4 anni, la durata del progetto, e allo scadere di questo si rende conto che non ha nessuna voglia di tornare in Europa. Il Perù le è entrato nel sangue e si sente profondamente coinvolta dai problemi del suo popolo. Accetta quindi un lavoro sempre sull’insegnamento bilingue, ma questa volta nella selva, con gli Ashaninka (etnia dell’Amazzonia, di cui ci ha parlato a lungo Patrice, geologo francese, in questa intervista).

La sua base è una piccola comunità lungo il Rio Tambo, che con l’Apurimac, da cui origina, e l’Ene, in cui si trasforma, costituisce uno dei principali corsi d’acqua dell’Amazzonia peruviana.

In quella comunità e in quella capanuccia di canne di bambù, costruita esattamente come quelle in cui vivono gli Ashaninka, Maria vivrà dieci anni, dedicandosi attivamente al progetto dell’istruzione bilingue e conoscendo a fondo gli Ashaninka.

Il mio compito era di implementare l’insegnamento bilingue in tutto e per tutto“, racconta Maria. “Dal contatto con la scuola, al convincere i genitori a mandarci i figli, fino alla ricerca dei maestri adatti e alla produzione di materiale scolastico semplice.  Non è facile produrre materiale per una lingua agrafa. Cercavo delle semplici scene da rappresentare in disegni, ma non era così semplice. Io disegnavo un pappagallo con la coda lunga, e mi veniva rimproverato il fatto che il pappagallo noto ai bambini ashaninka ha la coda corta…bisognava trovare degli elementi famigliari alla loro vita. E’ stato un progetto assolutamente interessante, come interessante e coinvolgente è stato vivere tutti questi anni con gli Ashaninka. Loro mi raccontavano le loro storie, mi mettevano in guardia dai pericoli che avrei incontrato nei boschi… Hanno una cultura ricchissima di miti e mostri, alcuni tra i più divertenti, e vivere a stretto contatto con loro per tutto questo tempo mi ha permesso di conoscerla a fondo. Ho sviluppato una vera e propria passione per la selva, andare a Lima mi costava, quando mi toccava farlo, per motivi di lavoro, non vedevo l’ora di tornare al mio Rio Tambo. Tutto questo è andato avanti finchè non è arrivato Sendero“.

ashaninka3Sendero Luminoso, il movimento terrorista che durante gli anni ’90 ha seminato morte e terrore in Perù, sceglieva i posti più isolati per compiere le proprie missioni. Nelle montagne più nascoste della serra e nelle zone più recondite della selva uccideva, saccheggiava, violentava, sequestrava, e ripartiva lasciandosi alle spalle intere famiglie e comunità terrorizzate e disperate.

Il giorno in cui Sendero arriva alla comunità dove viveva Maria, con lei non c’è quasi nessuno. Molti membri della comunità sono infatti scesi lungo il fiume con la barca per sbrigare alcune faccende, lasciandola sola con il maestro, sua moglie e un paio di altre persone.

Maria è stesa sul letto e riposa quando all’improvviso vede la canna di un fucile entrare tra le foglie di bambù della sua capanna. Esce e si trova davanti a sette fucili puntati contro di lei. Sendero la porta nella stanza che alloggiava il dispensario medico e la mette sotto processo. Maria, sostenuta da una forte carica di adrenalina, spiega loro quello che fa nella e per la comunità.

L’unico momento in cui ho  avuto davvero paura” racconta, “è stato quando il capitano di Sendero ha chiesto ai due ashaninka presenti se li trattavo bene o male. Gliel’ha chiesto in spagnolo, lingua che loro conoscevano molto poco, quindi non ero affatto sicura che avessero capito bene la domanda. Per un attimo sono stata assalita dal terrore. Gli ashaninka mi hanno guardato negli occhi e han detto “bene”. Ho tirato un sospiro di sollievo che ricordo ancora oggi ! A interrogatorio finito mi hanno preso parte della stecca di sigarette che avevo con me, e sono ripartiti“.

Nella comunità però non sanno come comportarsi. Sendero ha lasciato i segni del suo passaggio, ha sporcato di rosso le capanne e issato bandiere. Toglierle significherebbe incappare nella loro ira, nel caso tornassero, lasciarle potrebbe invece far insospettire la pattuglia di Sinchi (corpo speciale di polizia istituito da Fujimori per combattere il terrorismo: anche loro responsabili di morti e orrori nelle zone più remote) installata poco più in basso sul fiume.

Maria e alcuni membri della comunità decidono di ritirarsi a Lima per un certo periodo, almeno fino a quando le cose saranno più chiare. Una decisione che le salva la vita. Tre giorni dopo la sua partenza, infatti, arriva alla sua comunità una seconda colonna di Sendero Luminoso, questa volta con intenzioni tutt’altro che amichevoli: cercano la “gringa” per ucciderla.

Maria resta dunque a Lima, da dove segue angosciata, come può, le vicende della selva in quel periodo così doloroso e difficile. I racconti che arrivano dai sopravvissuti sono raccapriccianti: le esecuzioni sommarie di Sendero sono tra le più crudeli e cruente, molti giovani vengono sequestrati per combattere, le sevizie e le torture a cui viene sottoposto chi si oppone sono troppo violente persino per essere raccontate.

Gli ashaninka resistono come possono, fino al giorno in cui decidono di reagire con le armi. Maria ricorda la visita di Emilio, capo di tutti gli ashaninka della zona, che, non si sa come, era riuscito ad arrivare a Lima. Forse in cerca di una sorta di benedizione da parte di Maria, Emilio la va a trovare per informarla che le comunità ashaninka hanno deciso di armarsi e respingere Sendero Luminoso.

E ci riescono. Sono l’unica comunità che riesce a resistere e respingere Sendero dalle proprie zone. Parte di questa lotta è documentata nel magistrale racconto di Fray Mariano Gagnon, I guerrieri in paradiso, disponibile in francese, inglese e spagnolo. Un libro che vi prego con tutto il cuore di leggere.

Maria ha sviluppato con gli Ashaninka un’empatia straordinaria. Continua la lotta per loro, testimoniando la loro resistenza, il loro valore e la ricchezza della loro cultura come può, da Lima. Li accompagna al tavolo della riconciliazione, anni dopo, quando il terrorismo è stato sconfitto e si tenta di trovare una via per uscire dall’orrore di quell’epoca.

Alla domanda “cosa significa per voi riconciliazione?” i rappresentanti degli Ashaninka seduti a quel tavolo rispondono: “potersi di nuovo guardare negli occhi“. Ci vorranno anni perchè ciò succeda. E nel frattempo gli Ashaninka combattono contro altri nemici.

Maria mi racconta che attualmente nel pongo di Paquitza Pango (il “pongo” è un punto in cui il fiume si apre un passaggio tra due montagne) si sta costruendo un’enorme diga per la produzione di elettricità, diga che inonderebbe almeno cinque comunità di Ashaninka che vivono in pace e in armonia con la natura.

Sempre nella stessa zona è stato trovato il petrolio, che ha risvegliato immediatamente interessi senza scrupoli: si stanno per aprire cinque pozzi per l’estrazione.

E come se tutto ciò non bastasse, le imprese del legname arrivano sempre più in profondità per tagliare i preziosi alberi e arricchire così un lucroso business, che niente ha a che vedere con la filosofia e le abitudini di vita degli Ashaninka, che da sempre vivono in totale rispetto della natura, e in armonia con essa.

Tutte queste notizie riempiono Maria di pura angoscia. Alla fine dell’intervista mi chiede infatti di parlare il più possibile degli Ashaninka e della lenta distruzione che li attende nell’indifferenza più totale. Mi regala un libro di racconti Ashaninka, illustrato da quello che fu il suo autista durante il suo soggiorno nella selva. Con Maria decidiamo di usare questi disegni per illustrare la sua intervista. Per regalare a queste meravigliose comunità un pochino di spazio in più nel web, e, nel nostro piccolo, attirare l’attenzione sulle difficilissime condizioni nelle quali vivono, costantemente minacciati, questi esseri liberi come uccelli, che lontani dal progresso e dalla modernità custodiscono uno dei pochi tesori che ancora ci rimane: una natura e una cultura incontaminate.

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Lima, Perù
Dicembre 2008

 

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