Tempo fa abbiamo lanciato un sondaggio in cui chiedevamo alla nostra comunità cosa manca loro di più della vita di prima. Ne è uscita una bellissima fotografia delle donne di Expatclic, ma anche di quello che magari prima davamo per scontato, e ora ci appare così incredibilmente bello (per “prima” s’intende, naturalmente, prima del COVID-19).
C’è da stupirsi? Viaggiare è al primo posto come cosa che manca della vita di prima alle nostre belle Expatclicchine. Da sempre abituate ad avere una valigia in mano, oltre ai regolari cambi paese, le nostre donne amano profondamente viaggiare in lungo e in largo, sia per scoprire angoli inesplorati del loro paese d’accoglienza, o zone a lui limitrofe, sia per visitare i parenti in patria e gli amici in altri angoli del pianeta.
La dimensione affettiva, e che ci tiene spesso ancorate in una vita fatta di gente e luoghi sempre nuovi, è stata duramente intaccata da questo maledetto virus. Non è un caso infatti, che la seconda cosa più votata sia il “poter rientrare in Italia a vedere amici e parenti”. E naturalmente anche gli amici vengono inclusi, tant’è che al terzo posto tra quello che più manca c’è “Invitare amici a casa”. Seguito, del resto, da “Avere progetti di vacanza, d’incontri” e da “Socializzare facilmente”.
Tutte cose che, naturalmente, sono importanti per chiunque, ma che per le espatriate assumono una valenza ancora più profonda. Sappiamo quanto grande sia l’implicazione emotiva del doversi ricostruire un intorno affettivo, e quanto gli amici in espatrio, in qualsiasi paese del mondo, assumano un ruolo che va molto al di là del cameratismo e della condivisione. Spesso diventano dei veri e propri sostituti della famiglia, e vanno a formare quella rete che, in mancanza di nonni, parenti e amici d’infanzia, diventa fondamentale per sentirci meno vulnerabili in terra straniera.
Della vita di prima manca anche abbracciare le persone, soprattutto quelle che non si vedono da tanto tempo. E sicuramente questo violento stop a un’affettività che si esprime anche attraverso manifestazioni fisiche, ha contribuito alla sensazione di desolazione che ha dipinto le nostre vite a tutte le latitudini, recentemente.
La malinconia della vita di prima è generale, ma si esprime anche in cose specifiche: c’è a chi manca l’andare per musei, ai concerti, al cinema, o semplicemente farsi un aperitivo con gli amici. Anche alcuni sport sono stati messi in stand-by, ad esempio il nuoto. E questa nuova dimensione che ci costringe allo sport in casa o allo sport fai da te, non la digeriamo proprio.
Così come non digeriamo la mancanza di libertà, in senso molto generale ma anche specifico, come il poter parlare liberamente (e cioè senza incentrarsi sempre sul COVID) e l’andare in giro senza mascherina.
All’inizio di questa emergenza, avevamo fatto un sondaggio (con annesso articolo, in inglese) per capire cosa ci sosteneva di più durante il primo lockdown. Sembrano passati secoli da allora. Quelle primissime settimane in cui non si usciva, si applaudiva ai balconi e insieme alla paura c’era anche un po’ di stupore, forse per qualcuno anche un gusto nascosto per dei ritmi più umani e meno pressanti, hanno costituito un’esperienza a sé. In questo momento quello che prevale è la stanchezza – per tutti, naturalmente, ma per le espatriate ancora più forte. E ancora più marcata di fronte a un Natale che sarà diverso per tutti.
Speriamo almeno che questo terribile periodo sia servito a farci rivalutare cose che prima davamo per scontate. A farci ricalibrare valori, importanza e priorità. E che sia servito a creare intorno a noi un’atmosfera più bella, inclusiva e serena. Quando sarà possibile.