Home > Europa > Romania > Il mio espatrio a Bucarest ai tempi del Coronavirus

Ringraziamo di cuore Giuliana per questa splendida testimonianza sul suo espatrio a Bucarest in questo momento così duro.

 

È da un po’ che mi ripropongo di scrivere un articolo sul mio espatrio a Bucarest, in Romania.

Sono tornata qui dall’Italia dopo qualche giorno di vacanza a Milano con i miei due bambini il 21 febbraio, proprio nelle ore in cui nella bassa lodigiana si stava alzando il velo sul disastro in cui noi e il mondo siamo poi piombati. Dopo esserci illusi per troppo tempo che quanto era accaduto in Cina, lì sarebbe rimasto.

Rientrata in Romania sono stata due settimane in quarantena, lasciando scorrere lunghi giorni con la prospettiva di riprendere la mia vita velocemente. Pensavo che allora, e solo allora, avrei davvero potuto scrivere del mio espatrio, della nostra vita qui e di questa città e di questo paese che amo. Troppo brutto scrivere di Bucarest in un momento in cui non la vivevo, in cui ero tagliata fuori dalla sua vita vivace.

espatrio a bucarest

Poi, due giorni di scuola e di nuovo a casa. Tutti.

Anche qui i casi stanno crescendo e il paese, del tutto impreparato a un’emergenza sanitaria delle proporzioni di quella che si è abbattuta sull’Italia, ha paura. Ed è stato il primo in Europa dopo di noi a chiudere le scuole. E ora anche i locali e i ristoranti.

E così, mi ritrovo a scrivere adesso. Anche se qui ancora la gente un po’ esce, noi viviamo due settimane avanti, per dir così. Sappiamo cosa succederà e ci stupiamo del fatto che la Romania e gli altri paesi adottino misure con una gradualità che era, forse, giustificabile per noi, il primo paese europeo colpito, ma non per loro.

Passiamo il tempo in casa, i bambini sono impegnati con la didattica online, mio marito lavora per lo più alla scrivania della nostra stanza, dove di solito scrivevo io.

Le composizioni tipiche in vendita a Bucarest per il Martisor, festa della primavera

Da qui osserviamo la primavera esplodere, gli alberi fiorire, senza di noi.

Eh sì, perché se avessi parlato del mio espatrio a Bucarest solo qualche settimana fa, avrei raccontato dei suoi parchi verdi e curatissimi, dei suoi contrasti stridenti e affascinanti. I casermoni fatiscenti, il grigiore di certe strade, ma anche giardini fioriti e i palazzi liberty, con il tetto in ardesia alla francese. Avrei raccontato di come capita di scorgere i segni della storia difficile di questo paese, ma anche di coglierne la vivacità, l’entusiasmo, la velocità di una città caotica sì, ma difficile da non amare. Avrei descritto gli uffici nei palazzi di specchi e i centri commerciali dove i marchi italiani vanno per la maggiore, i fili che rendono questo paese il primo in Europa per velocità di connessione aggrovigliati intorno ai pali per le strade o che penzolano da balconi che sembrano cadere a pezzi. Le ragazze bellissime, con le borse firmate, le lunghe ciglia finte e le unghie laccate e le signore anziane dal viso segnato e incorniciato dal foulard che arrivano chissà come dalla campagna alla capitale con qualche uovo dal guscio candido e qualche fiore colorato da vendere sulle scale della metro.

Certo, avrei parlato di tutto ciò che ha reso speciale questo mio espatrio, di tutto ciò che mi ha fatto sentire a casa da subito, accolta da gente dai modi talvolta un po’ bruschi ma profondamente ospitale nella sostanza, in un paese in cui tutti parlano benissimo l’inglese, ma spesso anche l’italiano, il francese e chi più ne ha più ne metta.

E invece. Invece scrivo in un momento diverso, in cui ho conosciuto la parte brutta, difficile dell’espatrio in modo inaspettato.

Mi ritrovo a vivere un po’ divisa in due, tra qui e l’Italia, dove i miei genitori, come tutti, sono chiusi in casa da settimane.

Non è che tornassimo in Italia ogni minuto, ma l’idea che Bucarest e Milano fossero quotidianamente ben collegate da tanti aerei mi faceva sentire tranquilla, mi accompagnava per mano in tutte le mie bellissime giornate qui.

espatrio a bucarest

L’idea di poter essere dalla mia famiglia nel giro di qualche ora era rassicurante. Ora mi sento un po’ prigioniera. E questo, insieme alle notizie terribili che arrivano dall’Italia e a quelle che peggiorano di giorno in giorno qui, qualche volta mi fa mancare un po’ l’aria.

È strano sentire la propria vita travolta da qualcosa di così grande, dal sapore di una di quelle cesure da libro di storia. Un evento che in qualche modo annulla le distanze, perché tutta l’Europa, anzi, tutto il mondo, sta vivendo lo stesso dramma e respirando le stesse paure, e che al tempo stesso le rende infinite, perché ci è tolta la possibilità, o anche solo il pensiero della possibilità, di spostarsi.

Mentre ascolto le lezioni dei miei bambini e le call di mio marito, mentre penso a cosa fare per pranzo e mi dico che non riuscirò mai più ritrovare la concentrazione per scrivere e neppure per leggere, mentre insomma cerco di domare l’ansia, mi rendo conto che questo è il momento di ripensare alle proprie radici ma anche di stringere a sé tutto il bello e il nuovo che l’espatrio ha portato nelle nostre vite.

Forse vivere da espatriati ai tempi del corona virus significa imparare a muoversi come funamboli tra appartenenze diverse: il paese da quale arriviamo, quello in cui siamo e il mondo intero, mai come oggi unito in un’unica grande battaglia.

 

Giuliana Arena
Bucarest, Romania
Marzo 2020
Foto ©GiulianaArena

 

Giuliana Arena vive dal 2018 con il marito e i due bambini a Bucarest. Dopo aver collaborato per diversi anni con l’Università di Milano, si è dedicata alla sua passione per la scrittura. Nel 2015 ha pubblicato Mamme no panic (Sperling&Kupfer), ispirato a Il Blog di Giuliana su mammeamilano.com. Nel 2019 è uscito per Edizioni San Paolo Il nido di vetro, un memoir in cui racconta il percorso nel mondo della Terapia Intensiva Neonatale accanto al suo secondo bambino, nato prematuro. Scrive storie anche insieme alle amiche e colleghe di Raccontandosi.it.

 

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