Un riassunto e una riflessione di Barbaraexpat sull’incontro del gruppo di supporto di febbraio, sul tema: il dolore in espatrio.
Che l’incontro di febbraio sarebbe stato particolarmente intenso e difficile me lo aspettavo.
Affrontare la malattia e la morte di una persona cara è un evento che porta a galla, oltre al dolore per la perdita e al senso di impotenza di fronte alla sofferenza, una marea di emozioni contrastanti.
Quello che invece non mi aspettavo, o almeno, non mi aspettavo ad un livello così profondo, è stata la mia reazione di fronte alle storie, alle esperienze e, soprattutto, all’intima connessione che si è creata in brevissimo tempo tra le 10 donne presenti.
Nonostante mi ritenga se non proprio esperta, almeno abbastanza navigata, dopo 4 anni di gruppo, l’effetto che l’incontro di ieri ha avuto su di me mi ha colta di sorpresa.
La mia è una posizione privilegiata e anche se a volte mi sembra di essere una maestrina, il mio ruolo di ascoltatrice e facilitatrice (concedetemi questa parola inesistente…empatia linguistica?) mi permette di concentrarmi sulle storie, sulle esperienze, senza distrazioni.
Ogni incontro è speciale, ma questa volta ho sentito da subito un raccoglimento, una presenza e attenzione che, secondo me, ha creato un’atmosfera particolarmente consona ad accedere a quei sentimenti che vengono solitamente oscurati.
Ho notato un particolare desiderio di andare a fondo, di condividere qualcosa di importante e di offrirlo al gruppo quasi come un dono, perché ognuna di noi potesse trarne beneficio.
Benché la malattia e la morte facciano parte della vita di ogni essere umano, nel caso di noi espatriate questi eventi fanno oscillare le nostre sicurezze, mettono in dubbio le nostre scelte, risvegliano quegli assopiti sensi di colpa.
Addirittura mettono in discussione la legittimità del nostro dolore.
Tornano quei pensieri sabotatori:
Tu te ne sei andata
Tu non ci sei quando abbiamo bisogno
Tu non sai quanto è difficile
Pensieri che, in alcuni casi, si trasformano in sms o parole di persone care, messaggi velati o meno che colpiscono; in altri sono semplicemente frutto della nostra mente che parte all’attacco appena abbassiamo le difese.
Le decisioni da prendere sono difficili, spesso il compromesso è quello di mettere in sospeso la nostra vita, lasciare figli piccoli, mettere da parte lavoro e carriera, cambiare piani e correre dall’altra parte del mondo.
Ma anche per chi sceglie di tornare la strada è cosparsa di ostacoli da superare, barriere da abbattere.
La burocrazia, un sistema a cui non siamo più abituate, una certa diffidenza da parte della famiglia, e ancora quella sensazione di non essere abbastanza, di aver sbagliato nel scegliere di partire.
Riflettendo sono giunta alla conclusione che, oltre alle testimonianze, quello che più mi ha colpito e commosso, è stata la genuinità con la quale queste donne si sono raccontate, mostrando la loro parte più fragile e vulnerabile.
La generosità di esporsi e rivelarsi, per offrire un sostegno, un punto di appoggio a chi ne aveva bisogno.
Nei volti e gli sguardi attraverso lo schermo ho visto un legame, intenso e profondo e un sollievo nel ritrovarsi in quelle storie così simile alle nostre.
Un momento di empatia che ha superato i continenti e mi ha fatto sentire parte di qualcosa di speciale ed unico.
Barbara Amalberti (Barbaraexpat)
Melbourne, Australia
Febbraio 2019
Foto: Pixabay